8 marzo, ecco i libri che ci hanno aperto gli occhi

Ciascuna di noi ha avuto un “8 marzo” nella sua vita: un momento epifanico in cui si è resa conto, non importa se da piccola, da adulta o persino da anziana, di non essere l’unica a provare certe sensazioni. Di disagio, di mancanza, di ingiustizia, ma anche solo di differenza. Qualcosa che non tornava. Simone de Beauvoir, indimenticabile autrice de “Il secondo sesso”, lo ha raccontato in “A conti fatti”, spiegando come a un certo punto avesse cominciato a rifiutare con rabbia il suo status di “bambina” e il destino da “femmina” incarnato dalla mamma: “A volte l’avvenire mi terrorizzava: avrei dovuto condurre, un giorno, l’esistenza grigia e piatta di mia madre”.

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Nella premessa del saggio “Sputiamo su Hegel” (et al., 2013), pubblicato per la prima volta all’inizio degli anni Settanta per “Scritti di Rivolta femminile”, Carla Lonzi chiariva subito la genesi: “Questi scritti (che ancora oggi rappresentano il manifesto del femminismo radicale romano, ndr) segnano le tappe della mia presa di coscienza dalla primavera del ’70 ai primi del ’72, stimolata dalla scoperta dell’esistenza del femminismo nel mondo e dai rapporti con le donne di Rivolta Femminile. Il rischio di questi scritti è che vengano presi come punti fermi teorici, mentre riflettono solo un modo iniziale per me di uscire allo scoperto, quello in cui prevaleva lo sdegno per essermi accorta che la cultura maschile in ogni suo aspetto aveva teorizzato I’inferiorità della donna. Per questo la sua inferiorizzazione appare dei tutto naturale”.

Fu Lonzi a descrivere il “soggetto femminile” come “soggetto imprevisto”, un’irruzione trasformativa nella storia. “Nessuno a priori è condizionato al punto da non potersi liberare, nessuno a priori sarà così non condizionato da essere libero” fu la sua rivelazione. Una scossa per tante di noi, e anche per me, negli anni a venire. Per questo abbiamo voluto raccogliere qui per Alleybooks, a pochi giorni dalla Giornata internazionale della donna, i libri che ci hanno fatto lampeggiare l’idea di essere un “noi” oltre che un “io”, una collettività che oltre al sesso condivideva storie e spazi meno visibili e meno centrali che meritavano di emergere, condizionamenti e stereotipi  da sfatare, nuovi diritti da conquistare, linguaggi e codici da inventare. I libri che ci hanno fatto sentire meno sole.
(Manuela Perrone)

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“Medea” di Christa Wolf, traduzione di Anita Raja, edizioni e/o, 2000

Non c’è un solo modo di guardare la realtà. Christa Wolf è stata una delle mie epifanie, perché me lo ha mostrato come uno schiaffo che risveglia. “Medea” è stata tra le prime donne che ho guardato con altri occhi, quelli che andavano oltre la cultura maschilista e patriarcale, cioè di tutti i giorni. C’è un altro modo di guardare la realtà, non credere a ciò che ti dicono. Medea, viene fuori, non è la donna orribile che ha ucciso i suoi figli, non è l’assassina travagliata di Euripide e molti altri. Le voci che la raccontano, nelle pagine di Christa Wolf, raccontano di una donna sì delusa, ma che non è disposta a tutto (perfino ad uccidere i suoi figli!) per gelosia e per punire l’uomo che l’ha lasciata. No, Medea ama, con passione e forza, ma la sua vita non ruota solo intorno a Giasone. Medea è forte, è saggia, guarisce. E’ intensa, cerca la verità. Da migrante in terra straniera cerca un suo luogo, un suo ruolo, un suo posto. Non si adegua alla cultura che vuole l’uomo eroe e la donna a fargli da corollario. Medea non accetta la violenza maschile, il silenzio, il segreto e diventa un capro espiatorio facile, troppo facile. Medea l’ho letta e riletta, non riuscivo a lasciarla andare, la leggevo in autobus, camminando, a letto, a tavola, ovunque. Ogni tanto mi serve ancora ricordarmi che c’è. (Chiara Di Cristofaro)

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“Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley, traduzione di Flavio Santi, Harper Collins, 2019

Non sono mai stata una pasionaria, ma dacché io ricordi ho sempre avuto i sensi all’erta rispetto alle ingiustizie. Il fatto di essere una femmina, educata in una famiglia italiana con origini meridionali e profondamente religiosa, ha fatto sì che io cominciassi a fare domande molto presto sulle differenze che vedevo, per esempio, tra la mia libertà e quella di mio fratello. Inutile dire che la risposta “Perché lui è maschio” ha acceso molto presto in me la miccia del femminismo. Perché femminismo era, anche se non ragionato, non definito, non razionale. C’è stato poi un momento preciso in cui quei miei pensieri sparsi e quel senso di ribellione costante hanno trovato un filo cui avvolgersi per sbrogliarsi.

Una presa di coscienza che è cominciata con la lettura di “Ancora dalla parte delle bambine” di Loredana Lipperini (Feltrinelli, 2007). Per la prima volta vedevo chiaramente, davo un nome alle intuizioni e riordinavo le ingiustizie liberandole dall’emotività e razionalizzandole. Ma c’è stata poi un’altra epifania, nello stesso periodo, meno razionale ma forse proprio per questo più potente. Una persona appassionata di fantasy mi convinse a leggere un libro. Io snobbavo totalmente il genere, lo ritenevo (stoltamente) un’evoluzione delle fiabe per bambini (come se nelle fiabe per bambini non ci fosse profondità e apprendimento).

Il libro è “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley, pubblicato per la prima volta nel 1979. Una deflagrazione totale che mi fece vedere il mondo con colori totalmente nuovi. Si tratta di una riscrittura del ciclo delle vicende arturiane, che fino a quel momento credevo anche di conoscere. Ma la narrazione ha il punto di vista di Morgana, sorella di Artù. Il suo racconto approfondisce le varie donne che compongono la costellazione di potere di questa storia immensa. Igraine, Morgause, Viviana, Ginevra: ognuna di esse, in modo diverso ma attraverso una scelta più o meno consapevole, agisce un ruolo all’interno del sistema, sceglie dove posizionarsi rispetto al potere maschile. Se accettare il proprio posto in una gerarchia patriarcale come fa Ginevra, o se rivendicare anche con un uso spregiudicato del proprio potere un ruolo paritario, come Viviana. In mezzo a questi due estremi Morgana si posiziona con la sua presa di coscienza, talvolta anche dolorosa, rifiutando di rinunciare al potere femminile che ha appreso col suo sacerdozio ad Avalon, ma anche rifiutando chi quel potere lo usa per manipolare le vite altrui. Nella frattura vissuta da Morgana, ma soprattutto nella sua capacità di vivere attivamente e pienamente il proprio femminino, all’epoca ho trovato molte risposte. Morgana è una donna potente, e lo è in modo profondo, radicato, consapevole. Un’eroina importante e necessaria nel percorso di ogni donna verso la libertà. (Letizia Giangualano)

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“Taglia e cuci” di Marjane Satrapi, traduttrice Daniela Papa, Rizzoli Lizard, 2019

Il pranzo si conclude, gli uomini si allontanano e rimangono solo le donne. La giovane Marjane prepara il samovar e raggiunge nonna, mamma, sorelle, vicine di casa e amiche in salotto per una lunga sessione di chiacchiere, scambi di idee, pettegolezzi. Uno dei tanti cerchi d’amore fra donne che rappresentano, nella vita di ognuna di noi, l’appiglio più forte. In una società patriarcale, maschilista (siamo in Iran negli anni Settanta), un gruppo di donne trova la chiave per resistere e farsi spazio nel mondo: confrontarsi, raccontarsi, sorridere, stringersi l’una all’altra. Con profonda ironia, e attraverso le pagine di questa seconda graphic novel della scrittrice, spettegolano di una donna che ha creduto in un uomo romanticissimo, che le ha promesso un futuro radioso e invece scappa con la dote poco dopo il matrimonio; ridono, raccontando di un’amica non più vergine, che per ingannare il marito durante la prima notte di nozze, infila una lametta tra le gambe e finisce per ferirlo; si confrontano sulla scelta di una madre che impone un uomo alla figlia; confessano interventi estetici a cui si sottopongono e l’effetto (esilarante) che hanno sui mariti. Sono donne che resistono, non solo nelle grandi battaglie che segnano la storia, ma nelle piccole conquiste quotidiane, insieme. (Francesca Giannetto)

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“Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf, traduzione di Maria Antonietta Saracino, Einaudi, 2016

Lo spazio che non si chiede ma si prende. La libertà intellettuale che dipende da cose materiali e “la poesia che dipende dalla libertà intellettuale”. Perché sono così poche le donne che scrivono? Virginia Woolf risponde nel 1929: “Perché una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé se vuole scrivere”. In una “Una stanza tutta per sé” Woolf fa migrare la parola stanza in dimensioni diverse e trasversali – spazio fisico, metafisico e mentale – disegnandola come un luogo privato e politico insieme: la stanza tutta per sé è lo spazio protetto di realizzazione e sottrazione.

Nel suo perimetro – angusto e immenso allo stesso tempo – si realizza il lavoro, la scrittura, la propria voce. Abitarla significa riconoscere e difendere la sottrazione: dai luoghi pubblici, da quelli degli uomini, dagli obblighi familiari e dalle attese tradizionali. Se l’8 marzo è una giornata di rivendicazione precisa, Woolf l’aveva immaginata quasi cento anni fa: uno spazio dove riconoscersi per farsi riconoscere. Dove scrivere “da donna, ma da donna che ha dimenticato di essere donna […] con quella curiosa qualità sessuale che appare solo quando il sesso è inconsapevole di sé”. Diventare così consapevoli da potersi permettere l’inconsapevolezza: “pensare alle cose in sé stesse”, afferma Woolf, è un fatto estremamente concreto. Da qui, la libertà di dirsi e di dire: per farlo, servono spazio, soldi e desideri. Le stesse coordinate che, secoli dopo, indicano la traiettoria. La storia delle donne si tramanda nel tempo: può riscriverlo ma, soprattutto, può scriverlo. (Nicoletta Labarile)

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“Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti, Feltrinelli, 2013

Quando ho letto “Dalla parte delle bambine” ero già grandicella, non una donna matura ma adulta sì e anche da un pezzo. È quindi con un po’ di pudore che racconto ora quale rivoluzione abbia scatenato in me l’incontro con questa pietra miliare del femminismo. Siamo tutte figlie di Elena Gianini Belotti, scomparsa per altro qualche settimana fa. Tutte figlie del suo libro rivoluzionario, il primo manifesto divulgativo della mappa geografica degli stereotipi che affossano un genere a beneficio dell’altro. Se mancano gli occhiali per vedere, questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1973, prima ti schiaffeggerà e poi te ne fornirà di potentissimi. Lo leggi una volta e non lo dimentichi più, anche se sfogliarlo di tanto in tanto ti riporta a casa in un istante.

È un libro necessario, definitivo, bellissimo. Insieme a “Donne che corrono con i lupi” di Pinkola Estes non dovrebbe mancare sul comodino di ciascuna di noi. Per ricordarci non chi siamo, ma chi vorrebbero che fossimo e che non saremo mai. “Dalla femmina ci si aspetta che diventi un oggetto, ed è considerata per quello che darà. Due destini del tutto diversi. Il primo destino (quello maschile, ndr) implica la possibilità di utilizzare tutte le risorse personali, ambientali e altrui per realizzarsi, è il lasciapassare per il futuro, è il benestare per l’egoismo. Il secondo prevede invece la rinuncia alle aspirazioni personali e l’interiorizzazione delle proprie energie perché gli altri possano attingervi. Il mondo si regge proprio sulle compresse energie femminili, che sono lí, come un grande serbatoio, a disposizione di coloro che impiegano le proprie per inseguire ambizioni di potenza”. (Flavia Landolfi)

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“Invisibili” di Caroline Criado Perez, traduzione di Carla Palmieri, Einaudi, 2020

Viviamo in un mondo disegnato per gli uomini. Dalle dimensioni degli smartphone alle terapie per le malattie più comuni, gli stereotipi di genere sono ovunque. E non riguardano solo la posizione culturale o sociale delle donne, i lavori che possono fare o le libertà che si possono permettere. Pubblicata per la prima volta nel marzo del 2019, l’indagine di Caroline Criado Pérez è attualissima. Anche con nel mezzo una pandemia, lo scoppio di una guerra in Europa, l’elezione della prima vicepresidente negli Stati Uniti e la prima premier in Italia, a meno di guardare molto attentamente, è difficile trovare oggi qualche aspetto che sia visibilmente migliorato per le donne. Praticamente nessuna parte di questo libro risulta obsoleta. “Invisibili” è una lettura che aiuta a capire come anche piccoli elementi della vita quotidiana del XXI secolo siano pensati sempre e prima di tutto per uno standard maschile. (Maria Paola Mosca)

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“L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza, Einaudi, 2008

Modesta è una figura femminile originale e potente, anticonformista, determinata, dalle scelte forti e talvolta profondamente amorali per la morale comune. Nata in una famiglia povera, vittima di uno stupro e rinchiusa in convento, la protagonista dell’“Arte della gioia”, è una continua scoperta soprattutto se si pensa che lei è una donna siciliana del Novecento e la sua storia è calata in un contesto culturale profondamente patriarcale. Una figura che continuamente sfida la cultura patriarcale, la mafia, il fascismo. Si confronta con omosessualità, amore, educazione dei figli.

Disegnata dalla penna potente di Goliarda Sapienza, scrittrice sottovalutata in vita, questo romanzo viene pubblicato postumo e lascia il segno per chi vuole approfondire la questione femminile, d’ispirazione e d’esempio. Rifiutato da tanti editori italiani, comincia la sua storia in sordina, stampato in poche copie per poi diventare un caso di successo prima in Europa e solo dopo in Italia. Modesta è, in sostanza, tra tante contraddizioni ed eccessi, una donna libera, un invito alle donne a esserlo. “E va bene Prando, te l’ho detto e te lo ripeto: io voglio essere indipendente dagli uomini”, dice Modesta, una “carusa tosta” che non si piega ai conformismi e alla cultura imperante. (Simona Rossitto)

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“Sex differences in cognitive abilities”, di Diane F. Halpern, Lawrence Erlbaum Associates Publishers, 2000

Questo libro spiega che l’intelligenza di uomini e donne può manifestarsi in modi diversi, ma “differenza non significa carenza”. Ne ho tratto la convinzione che l’esigua presenza di donne in posizione apicale rappresenti un costo per la società: il costo del mancato utilizzo di metà della potenziale intelligenza di cui il sistema produttivo può disporre; pertanto, le politiche di pari opportunità saranno necessarie fino a quando le regole che governano i percorsi di carriera non produrranno una rappresentanza femminile nelle posizioni di vertice della società che rifletta la pari distribuzione di intelligenza tra i generi; fino ad allora, ogni posizione apicale lasciata libera da una donna di talento sarà occupata da un uomo meno capace di lei, e questo risultato è individualmente ingiusto (dal punto di vista delle donne) e socialmente inefficiente (dal punto di vista della collettività). (Luisa Rosti)

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“Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, traduzione di Camillo Pennati, Ponte alle Grazie, 2019

Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale, 1985) di Margaret Atwood è uno dei più femministi romanzi di fantascienza. Immagina un mondo dove una catastrofe nucleare ha reso la maggior parte della popolazione sterile e si esercita un controllo totale sul corpo delle donne ancora in grado di procreare: costrette a fare le concubine di uomini potenti, finché non restano incinte senza nessuna possibilità di scelta. Ogni propaganda contraccettiva e abortista è punita con la morte e le lotte femministe sono viste come un lontano ricordo perduto delle generazioni precedenti. Come non reagire nel presente con la lotta per le proprie libertà, pensando come in certi Paesi alle donne siano riconosciuti non tanti diritti in più rispetto alle protagoniste del romanzo? (Filomena Spolaor)

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“Le parole per dirlo” di Marie Cardinal, traduzione di Natalie Banas, Bompiani, 2017

La scrittura può restare attaccata sulla pelle. È una cosa che accade, in spregio alle leggi della fisica. Una fila di lettere che mischiate in un certo modo creano immagini. Quelle prendono forma, si solidificano e cominciano a occupare la nostra memoria, fecondandola. È esattamente ciò che succede con “Le parole per dirlo” di Marie Cardinal. Il libro esce nel 1975 ed è di quelli che segnano un confine e insieme disvelano barriere. La narrazione, tutta in prima persona, coinvolge la lettrice sin dalle prime pagine. E la porta su un terreno scomodissimo, del quale non si parla. Il tema è attualissimo: il ciclo mestruale è tabù antico, quel sangue che cola è oltraggio, peccato, vergogna. Allo stesso modo è il silenzio a dover soffocare la malattia mentale, la tara che quando deflagra lascia macerie in molta parte inesplose, che restano in agguato senza tempo. Ma se il tarlo corrompe il fisico, può inevitabilmente coinvolgere la vittima in una guerra che subito si dimostra impari.

Qui però l’autrice (che certamente attinge alla sua formazione di filosofa), traccia una traiettoria netta. E ci suggerisce la sola via d’uscita: è solo accettando fino in fondo il rischiosissimo esercizio di inabissarci e raggiungere le profondità della nostra vera essenza, che possiamo riportare in superficie dolori antichi e finalmente debellare, col male, i suoi molti sintomi. Il libro di Cardinal insomma ci dà le parole per dirci e dunque è davvero il libro di tutte. (Maria Concetta Tringali)

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“Becoming” di Michelle Obama, traduzione di Chicca Galli, Garzanti, 2018

“Becoming” è l’autobiografia di Michelle Obama, First Lady degli Stati Uniti dal 2009 al 2017. È un viaggio della storia personale di Michelle Obama ma anche la storia di tutte noi donne tra la paura di “non essere abbastanza” e l’ambizione di poter diventare quello che si vuole. (Francesca Devescovi)

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