Avere figli e lavorare: le ragioni di una scommessa che stiamo perdendo tutti

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E’ stato da pelle d’oca veder ragionare per la prima volta in Italia di un decente congedo di paternità – non più giorni ma settimane, o addirittura mesi! – e però leggerne sui giornali come di un’“estensione del congedo di maternità”. Le parole sono importanti in molti modi, e in questo caso l’abuso del termine maternità ha colpito in almeno due direzioni:

1) i datori di lavoro che avranno distrattamente letto solo i titoli degli articoli avranno registrato l’informazione che assumere le donne conviene sempre meno: la loro assenza in caso di maternità infatti minaccia addirittura di allungarsi;

2) i padri, se avranno fatto lo sforzo di leggere oltre i titoli, avranno avuto conferma del fatto che in questo Paese la paternità ancora non esiste, ma è considerata come una devianza dalla più legittima e protetta maternità. Il tema, quindi, continua a non riguardarli, se non marginalmente, e coloro che vogliono dedicarvi del tempo ed esprimere questo aspetto così importante delle loro vite devono sapere che verranno stigmatizzati con l’orrendo appellativo di “mammi”.

Così anche una buona notizia, che apre un dibattito troppo a lungo lasciato indietro nel nostro Paese, può tradursi nella conferma di un’incapacità tutta nostra – della politica? dei media? – di andare oltre la solita pastasciutta degli stereotipi per vedere che cosa è veramente diventata la famiglia, e iniziare a raccontarcela in modo completamente nuovo.

Le famiglie con un solo reddito sono a rischio povertà, e in Italia sono una percentuale insostenibile: il 45% secondo i dati Istat.

Sappiamo poi che c’è una correlazione positiva tra occupazione femminile e natalità: contrariamente a quanto avveniva negli anni 70, le donne che non lavorano non fanno figli.

man-and-woman-carrying-babies-while-sitting-on-chair-1648396Eppure è difficile dare torto alle coppie che scelgono di non avere figli per non dover affrontare i costi di un Paese in cui si pensa che siano ancora solo “delle madri” e ci si comporta di conseguenza; ma la bassissima natalità – perdiamo circa 20.000 bambini all’anno – non viene ripagata da una migliore occupazione femminile perché, pur sapendo (se leggono i giornali) che è sempre più improbabile che vadano in maternità, i datori di lavoro penalizzano più o meno inconsciamente le lavoratrici sia per qualità di contratto che per retribuzione, e avviene sin dalla prima assunzione, perché “è possibile” che prima o poi abbiano dei figli. Il fenomeno è così noto e diffuso da far parlare di “pay-gap della maternità”.

landscape-people-street-sign-2385192Ricapitolando: le donne lavorano meno e guadagnano meno perché “fanno i bambini” (da sole, evidentemente) e quindi si assenteranno dal lavoro col congedo di maternità e comunque più di frequente anche successivamente perché si sobbarcano tre volte di più il carico di lavoro familiare degli uomini. Ne consegue che il reddito degli uomini “pesa” di più e diventa fondamentale per la sussistenza del nucleo familiare. Questo rende troppo caro pensare di dare anche agli uomini il tempo per occuparsi della propria famiglia.

La situazione di stallo non consente di far crescere il PIL attraverso il maggiore contributo dell’occupazione femminile e ha come effetto immediato la più logica delle conseguenze, quella che resta nelle mani dei singoli cittadini: fare sempre meno figli. Ma i soldi per riequilibrare la situazione, ovviamente, non ci sono e non ci saranno mai: come con una start up promettente, anche qui occorre trovare investitori che ne vedano il potenziale a medio-lungo termine e mettano i soldi “prima” per avere i risultati “dopo”.

Nessuno in Italia sembra avere né l’orizzonte temporale né la visione strategica necessari per fare questa scommessa sul futuro.

  • Maverick |

    Bravissima…hai colto il nocciolo della questione, questo trova riscontro dappertutto comunque, aziende private e enti pubblici.
    Meno lavoro per ogni singola persona per poter lavorare “tutti”…il motto dovrebbe essere questo, in alcuni paesi si sta riducendo l’orario durata della settimana lavorativa mantenendo inalterati gli stipendi…aumenta la produttività oraria e si ha più tempo per la cura della persona intesa in senso mentale e fisico, più tempo per i propri hobby e passioni (con beneficio per l’intera economia), e tempo ovviamente per gestire o pensare a formare un’eventuale famiglia…qua invece “campa cavallo”.

  • Sara |

    Io non credo di essere mai stata pagata meno perchè potevo avere figli. Anzi quando ero incinta sono stata anche promossa ad un ruolo direzionale. Il problema è che le aziende non hanno convenienza a concedere flessibilità e part time, che sono le cose che servono ai genitori per gestire i figli senza abbandonarli, nelle famiglie in cui lavorano entrambi. Provate a chiedere ad un’azienda quanto costano 2 contratti part time invece di 1 a tempo pieno, che farebbero lavorare il doppio delle persone con un orario più consono. E in seconda battuta il problema è culturale, perchè in troppe aziende ancora vige la regola che va premiato chi fa più ore, non chi è più produttivo, che se rimani fino alle sette di sera magari facendo 7 pause caffè sei più impegnato di una che esce alle 15 magari dopo aver fatto 7 ore a testa bassa. E che comunque se sei donna sei più adatta a fare la segretaria che non la dirigente, indipendentemente dai figli. Questi sono i nodi da sciogliere. Non (solo) l’estensione del congedo coi figli neonati.

  • Cecilia |

    Nel pubblico non va molto meglio….quando una collega va in gravidanza, e spesso si tratta di una gravidanza a rischio per cui viene messa a riposo subito fin dai primi mesi, la eventuale sostituzione viene inviata anche con 6 mesi di ritardo. Per cui nessuno vuole assumere le donne, perchè in caso di gravidanza ci sono enormi problemi e sovraccarico di lavoro per gli altri colleghi. Le sostituzioni dovrebbero essere in tempo reale.

  • Cristina Tomassini |

    L’articolo tratta in modo molto superficiale il tema
    Quando inizieremo ad affrontare il tema della natalità accanto a quella della genotorialita e del futuro di questo Paese, allora si potrà dire di poter dare un inizio al. Dibattito
    I bambini sono il futuro di un paese, la politica deve farsi carico di avere un progetto per questo Paese, strutturando un sistema di aiuto all’accudimento dei figli, che non vuole dire assistenzialismo, ma ad esempio defiscalizzazione dei costi sostenuti per la cura dei figli (nido, tate, attività diverse), agevolazioni per le aziende che investono (e non “spendono”) risorse in nidi, o che si impegnano a supportare i genitori nella ricerca della tata a cui affidare i propri figli, dovendo lavorare per mantenerli e per assicurare loro un futuro
    Non è difficile, ci sono Paesi che l’hanno fatto, come la Francia, dove la media dei figli per famiglia è 2,8 e non 0,8 figli
    Basterebbe fare una seria e tecnologica lotta alla evasione fiscale ed investire le risorse in queste politiche per la famiglia

  • Stefano Schiavon |

    ”Sappiamo poi che c’è una correlazione positiva tra occupazione femminile e natalità: contrariamente a quanto avveniva negli anni 70, le donne che non lavorano non fanno figli.“
    Conosco molte donne che rimarrebbero volentieri a casa dal lavoro e fare più figli, ma che non possono perché è necessario lavorare in due per sopravvivere. Ritengo che una della ragioni per cui le donne non fanno figli non sia dovuta al fatto che non lavorano, ma che il reddito familiare non lo consente. Poi, finché si continuerà a parlare di donne e talvolta di uomini anziché di famiglie, ovvero in un’ottica femminista, il problema della natalitá non si risolverà perché in questo modo gli uomini ne sono esclusi, a partire dalle scelte di tenere o meno il figlio e dalla conseguenze che ne derivano.

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