Censura, stigma, eros, empowerment: nella vita di Ilena Ilardo, editor e founder del progetto “Megazinne”, il personale è assolutamente politico. Nata e cresciuta a Latina, 29 anni, gli ultimi dei quali trascorsi a Londra per “seguire quello che mi ha sempre attratto” e imparare quello che serve su editoria e giornalismo. E quello che serve, per Ilardo, è una rivoluzione culturale che liberi i corpi delle donne in tutti i campi: non una rivendicazione âgé del femminismo anni Settanta, ma una battaglia che attraversa tempi e generazioni e che, nel frattempo, ha imparato a parlare linguaggi diversi.
Megazinne è un magazine sul seno nella cultura pop, pensato da Ilardo, insieme alla graphic designer Giulia Vigna, per cambiare la percezione del corpo femminile dei media. Si parla di tette e della loro incredibile semiotica: saggi, racconti, illustrazioni e foto di giovani artisti emergenti italiani raccontano vissuti sulla pelle e tutto quello che concerne lo stigma, l’eros e della parte più famigerata del corpo femminile. Il primo numero dell’e-zine, venduto online in collaborazione con Lilt Firenze Onlus, sezione provinciale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, ha raccolto oltre 11mila euro grazie ai quali sono state rese possibili 400 ore di assistenza psico-oncologica e 200 ore di riabilitazione fisica. Il secondo numero, invece, devolverà tutte le donazioni a D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, la prima associazione italiana di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne. Dall’idea nata in lockdown alla realtà di un progetto editoriale indipendente che raccoglie fondi a scopo benefico: la rivoluzione è una miccia che esplode all’improvviso dopo averla cercata.
Editor che lavora in ambito finanziario a londra, con una laurea in Interpretariato e Traduzione. Qual è la storia di Ilena Ilardo e come approda al mondo dell’editoria?
Il mio percorso è stato dettato più da una scelta di vita legata al luogo in cui avrei voluto vivere che da chiarissimi obiettivi professionali: dopo la laurea in Interpretariato, ho subito capito che quel mondo non avrebbe fatto per me. Quello che sapevo con certezza è che, da sempre, ero completamente attratta da Londra. Allora mi sono detta: “Mi trasferisco, faccio qualsiasi lavoro, ma intanto voglio essere lì”. In effetti è andata così: ho fatto mille lavori, dalla receptionist alla hostess, e poi sono approdata a Citywire, publisher finanziario londinese in cui ho respirato la vita di una grande redazione internazionale. Dal primo colloquio – a cui sono seguite altrettante prove di intelligenza e test attitudinali – mi sono innamorata di quel posto popolato da persone giovani e appassionate che, nonostante avessi poca esperienza nel campo, mi hanno insegnato tutto del mestiere dell’editor e del mondo del giornalismo. Per sei anni, ho avuto la fortuna di lavorare con persone italiane e team inglese: in questo modo, ho sperimentato entrambi gli approcci all’editoria e al giornalismo. Critico ma neutro, basato sui fatti. Poi, sono passata in un’altra compagnia, per una nuova posizione e totalmente in inglese: mi sono occupata di redigere guide finanziarie per addetti al settore che comparivano sul Financial Times. Oggi continua ad affascinarmi il content marketing e la scrittura per il marketing: una cosa è la scrittura fatta per vendere il prodotto, altra è quella dei giornali. Un approccio che ho utilizzato anche per Megazinne: usare il linguaggio per vendere e valorizzare contenuti. Linguaggi e scrittura sono, a tutto tondo, le mie grandi passioni.
Romana, per metà inglese, con la nostalgia per l’Inghilterra ereditata in famiglia: in che misura le donne della sua storia personale hanno ispirato e influenzato la sua vita, anche professionale?
Mia nonna è una sessantottina femminista, trasferitasi dall’Inghilterra in Italia negli anni 60: all’epoca era in corso una rivoluzione culturale ma, arrivata a Latina, non poteva indossare la minigonna senza attrarre commenti non richiesti. È lei che mi ha ispirata: mi ha cresciuta con l’idea che l’indipendenza economica fosse fondamentale e ho cercato di collegare tutti questi aspetti. Mi sono chiesta: “Perché oggi essere donna è così problematico?”. La prima cosa che mi è venuta in mente, mentre leggevo un articolo su una testata italiana dedicata agli uomini in cui si descrivevano i “7 modi in cui non toccare le tette di una donna”, è stata ribaltare la narrazione: come è possibile parlare dei corpi delle donne in modo così superficiale? Sono partita proprio da questo, analizzando come i media trattano i corpi delle donne e perché: il mondo del porno c’entra tantissimo perché, troppo spesso, è quello il linguaggio utilizzato nei media.
Racconta che, in cinque anni, è passata dal ruolo di correttrice di bozze a quello di editor, lavorando su guide finanziarie di cui si parla nel Financial Times: allora l’editoria finanziaria non è un club per soli uomini. Cosa significa essere “donna d’editoria” nel mondo finanziario?
Il sessismo esiste anche nella società inglese, ma è più velato rispetto al contesto italiano: in Italia parte già da come ti vesti e dal primo approccio che hai entrando in ufficio. Per quanto mi riguarda, l’ho sperimentato in prima persona: se non sei vestita in “uniforme da uomo”, ti approcciano diversamente e con una sorta di pregiudizio per cui è possibile prendersi più confidenza di quella concessa. In Inghilterra, non ho avuto questa percezione sul posto di lavoro: anche manager ai vertici ricordavano i nomi di tutte le persone che lavoravano lì. Tuttavia, alcune disparità restano trasversali: il gender pay gap, ad esempio, è un problema che esiste anche in Inghilterra. Molte donne occupano posizioni importanti, ma gli uomini ai vertici restano in maggioranza: la disparità di genere l’ho avvertita meno che in Italia, ma è comunque presente.
Da bond e spread a Megazinne, un magazine sul seno nella cultura pop: come nasce il progetto e con quali obiettivi?
Ho riadattato le mie competenze e tutto quello che ho imparato, dall’editoria al content marketing, a un concetto che mi interessava: la parità di genere. Volevo trovare un modo per utilizzare quello che sapevo e realizzare qualcosa di significativo. Le tematiche di genere mi hanno sempre appassionata e mi sembrava un argomento da affrontare adesso, con il tipo di approccio giornalistico che ho sperimentato: partendo dai dati, affrontando ogni discorso in maniera critica ma neutra, senza giudizio e cercando di aprire un dialogo. L’idea e la creatività sono esplose durante il primo lockdown. “Sarebbe molto figo scrivere un giornale dedicato interamente alla parità di genere”, pensavo. “Ma chi lo legge?”, mi rispondevo. Non è facile far leggere i giornali: se si tratta di mandare messaggi, se pur importanti da diffondere, per molti motivi le persone sono portate a non leggerti. Per questo, le tette: volevamo un approccio pop e divertente, oltre che informativo ed educativo.
Giulia Vigna è la graphic designer con cui Megazinne ha preso forma: un’alleanza professionale al femminile nata durante il lockdown. Qual è il valore aggiunto?
Conosco Giulia, per l’appunto, da quando non avevamo le tette. Anche lei ha un background internazionale: ha lavorato a New York e in tutta Europa e ci ritroviamo sulla nostra visione del mondo e sull’approccio pop del progetto. Abbiamo deciso di mettere insieme le nostre competenze per realizzare qualcosa in cui crediamo: non so se la nostra sinergia derivi dal fatto che siamo due donne, sicuramente conta moltissimo il fatto di conoscerci da quando siamo molto piccole. Entrambe molto capaci, sappiamo cosa stiamo facendo e, di conseguenza, non abbiamo bisogno di parlare troppo: conosciamo i nostri pensieri reciproci e, così, diventa più facile approcciare a un lavoro che è creativo ma anche molto strutturato. Abbiamo totale fiducia l’una nei confronti dell’altra e, anche quando siamo in disaccordo, ci affidiamo alle capacità in cui ciascuna eccelle: arriva sempre quel momento in cui ci diciamo: “Ok, mi fido di te”. Questo è quello che ci ha portate a lavorare velocemente e con totale passione e dedizione.
Ideare e lanciare un progetto editoriale che vuole abbattere i tabù sui corpi delle donne è una sfida coraggiosa, soprattutto quando comporta un cambio di rotta rispetto al percorso professionale. Chi è stata la prima persona a cui ha raccontato l’idea e come è stata accolta?
Probabilmente vivo in una bolla di persone che mi conoscono e mi incoraggiano, ma non abbiamo mai ricevuto critiche troppo pesanti sul nostro progetto. In fase di ideazione, ne ho subito parlato a Giulia e poi ho iniziato dal mio pezzo: sapevo che avrei voluto scrivere di censura e porno. Sono cresciuta a Latina, non proprio una realtà open mind: sin da piccola ho sperimentato l’ipersessualizzazione del corpo femminile. Ho messo insieme i tasselli per cercare di capire da dove proviene questa concezione del corpo femminile: c’è stato un momento in cui il corpo era più libero di adesso.
Il seno come “sineddoche”, la parte per il tutto. Simboleggiare l’intero corpo femminile per parlare del “variegato mondo delle questioni di genere”: a questo obiettivo rispondono tutti i contenuti multifirma. Di tette deve parlare chi le tette ce le ha?
Il dibattito politico è fondamentale per non rimanere nella stessa palude di idee vecchie e stantie: la costruzione di dialogo tra persone diverse è fondamentale, ma tanti temi che riguardano il corpo delle donne sono ancora oggi discussi e decisi dagli uomini. Si pensi ad aborto e tampon tax. Parlare di tematiche che ci toccano in prima persona – ipersessualizzazione del corpo femminile, stupro, molestie – significa parlare di quel che ci compete e che viviamo direttamente sul nostro corpo. Per Megazinne abbiamo raccolto punti di vista diversi: non è una questione di politically correct, ma di motivi concreti. Numerosi studi, citati negli articoli, hanno dimostrato che più diversità c’è tra le persone che governano un Paese, sia a livello di sesso che di classe sociale, migliori saranno le decisioni intraprese perché nate dal confronto dialettico tra idee diverse. Ciò nonostante, come ho potuto notare nelle fasi di proposta dei contenuti per Megazinne, le donne sono più insicure nel far emergere la loro voce: nonostante siano capacissime, c’è sempre quel substrato di insicurezza che porta a chiedere “permesso” prima di entrare. Vorrei che le donne smettessero di autocensurarsi, in tutti i campi: nel corpo, come nella loro professione.
Il primo numero di Megazinne è stato realizzato per supportare Lilt Firenze – Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. L’ultimo, invece, raccoglierà fondi per D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”. Editoria e sorellanza: che legame c’è?L’obiettivo con cui il progetto è nato è stato proprio questo: fare qualcosa di simbolico e raccogliere fondi per cause benefiche. Per il primo numero ho scelto Lilt Firenze perché è tra le uniche realtà in Italia a occuparsi a tutto tondo del recupero mentale e fisico delle donne a cui è stato asportato un seno o entrambi. Il seno è una parte del corpo profondamente simbolica e, quando viene intaccata, porta con sé un certo peso psicologico. Ho mandato loro delle idee, all’inizio pensavano potesse essere un tentativo un po’ folle ma poi ci siamo lanciate insieme: anche loro tutte donne, forti e coraggiose. Abbiamo iniziato a vendere la versione digitale e in pochi giorni siamo state travolte da un entusiasmo inaspettato. Tra cui, la partecipazione di 4Graph, stamperia online che, innamorata del progetto, si è offerta di stampare Megazinne per partecipare alla causa di beneficienza. Per il secondo numero, invece, volevamo approfondire il tema delle molestie e degli abusi domestici: lo abbiamo trattato con humor nero perché, per arrivare al punto, è importante affrontare tutto con leggerezza ma senza superficialità. D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, raggruppa più di 80 centri antiviolenza, fornendo sostegno concreto alle donne che subiscono violenza: accomunate dallo stesso obiettivo, si è creata subito una bella sinergia con le responsabili del progetto. Lavorare insieme per cause comuni e fidarsi, mettendo insieme idee e competenze diverse: in questo, c’è sorellanza.
Il messaggio di Megazinne non lascia spazio a equivoci: il corpo è politico. Il fatto che un prodotto editoriale come questo mancasse nel panorama editoriale italiano suggerisce che il corpo sia ancora tabù per l’editoria? Instagram censura i capezzoli (femminili). L’editoria?
I media tradizionali hanno ancora diversi tabù riguardo la sessualità femminile: Instagram ha una censura diretta, ma la disintermediazione giornalistica ci permette di avviare un confronto più diretto. La stampa oggi è più raggiungibile, tanti giornalisti rispondono via social: dovremmo avviare uno scambio più profondo e ragionare insieme sulla censura che il corpo femminile ancora ha nelle narrazioni mainstream. È un buon momento per farlo: tante giovani attiviste, molto seguite sui social, stanno avendo riconoscimenti dal mondo editoriale più tradizionale ed è un potenziale che può essere sfruttato per aprire dibattito. È importante che inizi a passare questa rivoluzione culturale, anche se include gli sticker su Instagram: d’altronde, ogni generazione ha i suoi mezzi. Amo i giornali e il profumo della carta, ma ci sono tanti modi per portare avanti idee e battaglie importanti.
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“Donne di editoria” è un viaggio a puntate di Alley Oop, ideato e curato da Manuela Perrone, tra le professioniste che a vario titolo lavorano nel settore dei libri: editrici, libraie, scrittrici, bibliotecarie, comunicatrici, traduttrici. Tutte responsabili, ciascuna nel proprio ambito, di disegnare un pezzo importante del nostro immaginario e della nostra cultura.
Qui la prima intervista alla libraia Samanta Romanese.
Qui la seconda intervista alla filosofa ed editrice Maura Gancitano.
Qui la terza intervista all’illustratrice Daniela Iride Murgia.
Qui la quarta intervista all’editor Flavia Fiocchi.
Qui la quinta intervista alle libraie Maria Carmela e Angelica Sciacca.
Qui la sesta intervista alla poeta Elisa Donzelli.
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