Le sorelle Sciacca, libraie che salvano pezzi di storia di Catania

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Maria Carmela e Angelica Sciacca sono sorelle. Sono le proprietarie della libreria Vicolo Stretto, ma il loro nome a Catania è legato da poco meno di due anni alla riapertura dell’antica Legatoria Prampolini. Nelle tre botteghe, dalla grande insegna dorata, si entra dal 333 della via Vittorio Emanuele II. Siamo nel cuore del centro storico etneo.

Quell’attività alza le serrande sul finire del XIX secolo e rimane per i catanesi punto di riferimento letterario, culturale e artistico, per oltre un secolo. E, questo, malgrado le guerre e le crisi economiche del Novecento. Il 2018 è l’anno della chiusura definitiva. Con la liquidazione pare svanire pure l’ultimo tentativo di salvare la libreria che aveva ospitato, tra gli altri, personaggi come Giovanni Verga, Luigi Capuana, Vitaliano Brancati, Ercole Patti. Si spengono le luci su un pezzo di storia della città, coi suoi volumi e le edizioni preziose che quegli scaffali custodiscono da sempre.

È nel settembre del 2019 che però qualcosa accade. Anche questa volta è una storia di donne. Ad averla vinta sono, infatti, la forza, la passione e il coraggio delle sorelle Sciacca che rilevano la Romeo Prampolini Editore Libraio e ne fanno la loro più grande scommessa. Si tratta dell’ennesima sfida femminile in un settore che al momento è in perdita ed è estremamente frammentato, anche in termini geograficiL’Istat (dati 2017) rileva sui 3.977 esercizi specializzati nel commercio al dettaglio di libri solo il 10% si trova nelle Isole. Quasi la metà di quelle attività sono invece distribuite nel Nord-Italia, il 23,4% nel Centro, il 22,1% nelle regioni del Sud. Proprio le librerie indipendenti rappresentavano, prima della pandemia, il canale maggiormente utilizzato dagli editori per la commercializzazione dei titoli pubblicati.

Da dove viene Maria Carmela Sciacca, o meglio da dove vengono le sorelle Sciacca, come libraie?
Angelica e io abbiamo due percorsi di studio e di vita molto diversi. Io ho sempre sognato la vita fuori dalle mura di casa e dall’isola dove siamo nate. Lei, nonostante avesse la possibilità di andar via, ha deciso di rimanere in Sicilia. Dopo anni di separazione, per via delle mie scelte di studio e di lavoro, sono tornata nell’isola  e ci siamo ritrovate a lavorare insieme. Le librerie sono arrivate entrambe per caso. Stiamo diventando libraie con il tempo e con l’esperienza sul campo, come è giusto che sia.

C’è stato un tempo in cui avete immaginato “la vostra” Legatoria Prampolini. Oggi com’è?
È uno spazio di socialità, è una libreria con caffetteria, è un legame con la città. È una fenice che risorge dalle sue ceneri. È la storia di tantissime generazioni di catanesi; è stata aperta nel 1897 e da allora genitori, figli, studenti, commercianti e artigiani hanno un ricordo in quel luogo. La rinascita di cui parliamo non è fatta solo dalla riapertura ma anche, e soprattutto, da un minuzioso lavoro di restauro. Il nostro progettista e artigiano Marco Terranova ha disegnato ogni singolo dettaglio della libreria, così da restituire alla cittadinanza uno spazio accogliente dove poter prendersi il proprio tempo.

Il nuovo che ripercorre e abbraccia il vecchio, per riscoprirlo insomma. Venite da Vicolo Stretto, com’era nata quell’esperienza?
La Vicolo Stretto è arrivata per caso, nessuna delle due aveva mai immaginato di diventare libraia o di avere una libreria a Catania. A un anno dell’aperura l’ex proprietario ci propose di rilevarla, noi ne vedemmo una possibilità di lavoro e ci tuffammo in questa pazza avventura. Quest’anno compie dieci anni, dal giorno di apertura a oggi abbiamo attraversato almeno tre vite e oggi ne viviamo una entusiasmante insieme alle donne che lavorano con noi.

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Le donne, appunto. Da dove parte una donna che voglia lavorare tra i libri? E quali problemi incontra che non siano anche degli uomini?
Per lavorare coi libri, oltre alla passione, ci vuole competenza e tanta consapevolezza; lo diciamo noi che di errori ne abbiamo fatti tantissimi in questi anni. Il problema che incontrerà una donna in qualunque settore operi è quello di non vedere riconosciuta la sua autorevolezza e la sua professionalità.

E c’è un consiglio che dareste alle giovani che volessero seguire il vostro stesso percorso?
Il consiglio è che quello spazio di credibilità non va dimostrato a nessuno, ma va rimarcato e definito giorno per giorno.

Un’esperienza nuova, questa, che è venuta dopo Vicolo Stretto. Com’è stata la vostra evoluzione? C’è differenza tra il primissimo impegno e la Legatoria Prampolini?
Sì e no. La Vicolo Stretto ci ha fatte sudare, piangere e gioire ma è stata, ed è, una grandissima scuola. La Legatoria Prampolini ci dà la possibilità di mettere in pratica in maniera meno “traumatica” tutta la professionalità maturata nonostante e soprattutto in questo ultimo anno. Le librerie hanno pubblici molto diversi per cui le scelte da fare sono tarate su questa diversità.

Avrete certamente incontrato delle difficoltà nel realizzare questo progetto così ambizioso, di che tipo?
In realtà la Legatoria Prampolini è stata una delle esperienze più fluide di questi dieci anni di lavoro. Tutto si è svolto nel modo più naturale possibile. La vera difficoltà è stata immaginare quotidianamente strategie per attirare lettori durante questo ultimo difficilissimo anno. Una prima parte della Legatoria Prampolini (la caffetteria non è stata ancora aperta) è stata inaugurata il 15 settembre del 2019 e a marzo del 2020 è iniziata l’epidemia Covid-19; grazie però al sostegno della comunità che si è venuta a creare in tutti questi anni ogni giorno la saracinesca della libreria viene alzata.

Già, molte cose quest’anno sono cambiate. Con il lockdown e con le relazioni sociali ridotte al minimo, il rapporto che avevate costruito con i lettori ne ha risentito, come si è modificato?
Abbiamo dovuto mettere in piedi in meno di 48 ore tutta una serie di strategie, comunicative e non, per non perdere la relazione con i nostri lettori. Abbiamo fatto le piroette per non far mancare a nessuno di loro una storia con cui finire la giornata o un libro per un esame universitario. Quel rapporto con i lettori e le lettrici non si è mai interrotto e siamo grate a ognuno e ognuna di loro per il sostegno che ci dimostrano.

Il contatto con le altre librerie indipendenti del Paese è importante. C’è un progetto dietro alla rete che avete costruito?
Tanto tempo fa grazie a Tribùk, una manifestazione che si svolge ogni anno, abbiamo conosciuto un gruppo di librai italiani che ormai oltre ad essere colleghi, da noi molto stimati, sono diventati amici. Nel Marzo del 2020 poi è nata una rete straordinaria fatta di editori e librai. Si chiama Libri da Asporto e ci permette ogni giorno di andare incontro ai lettori in tutta Italia grazie a un’agevolazione sulle spese di spedizione. Dopo un anno è ormai una realtà solida, ricca di contenuti e di idee nate da una collaborazione quotidiana.

C’è, perciò, secondo le sorelle Sciacca, ancora spazio per sperimentare? Cos’è, ad esempio, oggi un gruppo di lettura?
Non si smette mai di sperimentare. I nostri gruppi di lettura sono partecipati e diventano sempre più un luogo di approfondimento e confronto. Ci vediamo su Google Meet e grazie all’online abbiamo partecipanti da tutta Italia. Anche quando potremo tornare a incontrarci non abbandoneremo quello strumento, vorrebbe dire abbandonare chi ci ha seguito fino ad ora. Dietro ogni difficoltà si cela sempre un’opportunità, anche quando è difficile vederla non bisogna mai dimenticare: “lLinverno si trasforma sempre in primavera” (Nichiren Daishonin).

Il messaggio è di ottimismo e di energia, che si fanno quasi tangibili. E se lo spazio e il luogo sono le coordinate di ogni viaggio, non potrà che essere così anche in questo. A percorrerla oggi, la via Vittorio Emanuele, partendo dal mare della stazione, scivola sul suo basolato nero di lava tra alcune delle più antiche costruzioni cittadine. Da Palazzo Pedagaggi, sede universitaria, al Duomo, fino in fondo verso la libreria che è nella parte più alta dove la strada si incunea nel quartiere del Fortino, dominato da un’imponente Porta Ferdinandea. Se poi ci si passa che è sera, le luci delle tre botteghe che le libraie lasciano accese oltre la chiusura, per scelta, sono un segno di generosità e di attenzione al quartiere che le ospita. La libreria è un faro in una città che sconta, forse più di altre, i problemi di un’infinita crisi economica, aggravata dalla pandemia.

Ma se Catania recupera con le sorelle Sciacca un pezzo del suo patrimonio, continua a perderne molti altri, tasselli inestimabili. Chiude, nell’indifferenza dei più, in questo inizio del 2021 la storica Libreria Bonaccorso. Stretta tra piazza Duomo e piazza Università, resta travolta oltre che dalla pandemia, dalla grande distribuzione, dagli store e dai contenuti digitali in cui gli editori hanno investito in misura crescente. La libreria Bonaccorso, costretta a lasciare la sede storica, da pochi giorni prova a continuare nei nuovi locali di via Erasmo Merletta numero 15. “La percentuale di opere pubblicate a stampa disponibili anche in versione digitale – sottolinea l’Istat – è passata in soli due anni dal 35,8% nel 2016 (circa 22 mila titoli) a quasi il 40% del totale delle opere librarie stampate nel 2018 (più di 30 mila titoli)”.

Di storie come quelle di Angelica e Maria Carmela vorremmo certamente raccontarne molte di più e ci auguriamo di poterlo fare. Non possiamo tacere, però, che la strada per un settore così centrale sembri, oggi più che mai, tutta in salita.

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Donne di editoria” è un viaggio a puntate di Alley Oop, ideato e curato da Manuela Perrone, tra le professioniste che a vario titolo lavorano nel settore dei libri: editrici, libraie, scrittrici, bibliotecarie, comunicatrici, traduttrici. Tutte responsabili, ciascuna nel proprio ambito, di disegnare un pezzo importante del nostro immaginario e della nostra cultura.

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