L’illustratrice Daniela Iride Murgia: “L’albo è una matrioska, un atto di responsabilità”

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Fare libri non è un gioco, è divertente, ma anche una grande responsabilità.
Daniela Iride Murgia pensa che un albo illustrato debba fare riflettere “come una matrioska che ne contiene altre all’infinito”. È un’artista coinvolta per la prima volta da Carthusia Edizioni, casa editrice specializzata in libri per ragazzi, nella creazione delle immagini dell’albo illustrato “Un pianoforte, un cane, una pulce e una bambina”, nato dall’intesa creativa tra Elisabetta Garilli, compositrice e ideatrice di rassegne di spettacoli teatrali, il Palazzetto Bru Zane, Centro di Musica Romantica Francese di Venezia, e della pianista Nathalia Milstein.

L’intento è far conoscere la musica di Mel Bonis (1858 – 1937), in particolare le composizioni pianistiche che la musicista francese dedicò ai suoi più giovani ascoltatori, attraverso un percorso giocoso ed evocativo fatto di note, immagini e parole: nasce un libro da leggere, guardare e “ascoltare”, di “musica disegnata”, ispirato all’album “Pour les tout-petits” di Mel Bonis.

Mélanie Bonis coltivò con determinazione e talento la sua passione per la composizione, in un’epoca in cui per le donne era difficile farne un professione.
Fu allieva di César Franck e al Conservatorio di Montmartre divenne collega di armonia e composizione di Claude Debussy e Gabriel Pierné. Ma non potendo aspirare al lavoro, Mélanie decise di trovare uno pseudonimo che non rivelasse necessariamente la sua identità femminile: Mel. Una compositrice con uno sguardo sociale, di vita quotidiana: verso il futuro e nel tempo che sta vivendo. Ha scritto circa trecento opere, di cui sessanta solo a quattro mani.

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In “Un pianoforte, un cane, una pulce e una bambina” i divertenti e surreali
testi in rima di Elisabetta Garilli si intrecciano alle brevi composizioni raccolte
da Mel Bonis nell’album, raccontando di un cane, una pulce e una bambina, e
dei buffi personaggi che incontrano sulla strada in tram verso il teatro dei burattini.
Un’avventura che è già in sé una storia-canzone, uno spettacolo per un pubblico
di piccoli e vivaci spettatori, che Daniela Iride Murgia ha illustrato ricorrendo
a un tratto raffinato e lussureggiante, a uno stile che richiama gli ambienti e le
atmosfere del periodo in cui visse la compositrice, a cavallo tra Ottocento e
Novecento. La ricchezza e la profondità delle venti piccole magie musicali di
Mel Bonis rivive nellinterpretazione della pianista Nathalia Milstein, nelle
tracce che accompagnano a ritmo l’albo illustrato.

Come è entrata dentro al mondo di Mel Bonis, compositrice d’avanguardia?
Mi capita di passare giornate intere a immaginare come nasce l’opera di un’artista: mi piace pensare che il seme da cui germoglia sia stato gettato nell’infanzia della sua autrice. Mi interessa capire quel viaggio che il seme fa fino a noi. Per illustrare questo libro su Mel Bonis, “scassinando” il suo mondo di musicista e di donna sulla soglia della modernità, ho guardato al mio passato, trascorso per anni in teatro, e al mio presente, che si ispira al teatro del Bauhaus. Ma è il coraggio che abita la musica di Mel ad avere guidato tutto.

A cosa si è ispirata?
Avrei potuto interpretare in molti modi, come in una stratificazione di sensi la musica di Mel Bonis, ma sono andata a scandagliare la sua vita stessa, quella travagliata di una donna che sceglie di chiamarsi con uno pseudonimo, perché al suo tempo non era concesso suonare la propria musica. Mi sono confrontata con un testo in rima e il ritmo di uno musicale. Mi sono ispirata alla vita coraggiosa, sofferta di Mel Bonis, che cade nella depressione. Ho cercato elementi che fossero corretti, audaci e coerenti.
È un albo che porta dentro lo spettacolo, una sorta di epifania da preparare. Un albo illustrato è per antonomasia una partitura musicale. Le forme sono elementi di gioco. Ci sono le marionette per dare movimento, ma anche David Bowie, la Pop Art ispirata al “Balletto Triadico” di Oskar Schlemmer, re della “optical art”.

Qual è il suo sguardo di illustratrice?
Normalmente attento. Lavoro su progetti che raccontano l’artista bambino, come per esempio con Marchel Duchamp, Max Ernst. Mi sembrava interessante ritrarre una musicista con uno sguardo diverso. Quando è arrivato il testo di Elisabetta Garilli, che ho trovato squisito, molto equilibrato e con grande ritmo, è iniziato il lavoro di illustratrice, che per me si basa sulla fiducia. Ho lavorato in autonomia, ascoltando le tracce e servendomi del testo.

Come è nata la sua passione per l’illustrazione?
La mia vita è eclettica. Vengo originariamente dalla Sardegna, e sono arrivata a Venezia per studiare lingue orientali. Mi sono laureata all’università Ca’ Foscari, e ho sempre avuto un desiderio spassionato per l’arte e gli artisti. Vivo tra Venezia e la Danimarca. L’arte è sempre stata la cosa che mi interessa in assoluto: è una calamita.
Le mie letture sono spesso sugli artisti, l’arte, e mi piace dedicarmi quasi totalmente alla scrittura e all’illustrazione. Ho fatto tante cose, anche teatro: ecco perché ho potuto illustrare questo testo con uno sguardo diverso, avendo calpestato la scena per anni in gioventù.

Quali svantaggi e benefici ci sono nella professione dell’illustratrice?
È un lavoro molto impegnativo. Ci sono molti giovani che desiderano diventare illustratori, ma in realtà è una cosa complessa, che richiede studio. Scrivere, illustrare, è un gesto di grande responsabilità, non va fatto con leggerezza.  È una professione totalizzante. Uno svantaggio è che ancora questo lavoro è riconosciuto sulla carta, ma remunerato molto poco, e riguarda sia le donne che gli uomini. Un libro di riferimento è “Le figure per dirlo. Storia delle illustratrici italiane” di Paola Pallottino, edito da Treccani.  

Quali sono i fronti da aggredire per migliorare la situazione?
Sappiamo che la fetta di scrittura legata all’editoria e ai libri è poco corrotta, forse perché non circola tanto denaro. C’è l’illustratore per magazine, riviste, quello che fa packaging. Ma gli albi illustrati sono una vera e propria disciplina, e quello dell’editoria per l’infanzia è un campo in ascesa. Alcune case editrici non specializzate si sono buttate a fare libri per bambini, ma non è una cosa semplice, perché non tutti hanno fatto degli studi specifici. Fare libri non è un gioco, c’è un aspetto legato al divertimento, ma anche alla responsabilità. È la società, la visione, il modo di guardare del singolo, che dovrebbero cambiare, mentre noi illustratori proviamo a modificare lo sguardo, e a offrire dei libri che propongano un punto di vista complesso, perché oggi è tutto troppo semplificato.

C’è un lavoro che l’ha fatta sentire fiera?
Non uno in particolare. Io mi astraggo, mi tolgo, come se uscissi fuori dal mio corpo quando guardo gli albi terminati, e ogni volta è una sorpresa. Penso di essere affezionata a tutti, e ancora di più a chi può avere dei difetti, zoppicare. La contentezza e la gioia arrivano quando c’è il riscontro del lettore, che è il mio coautore. Quando ricevo la sua conferma, e dice “io ho visto questo, quello, sono andato avanti nella storia”, è una soddisfazione.

La comunicazione, cogliere il messaggio, è qualcosa che può quasi commuovere.
I lavori ai quali sono più legata sono gli albi dove racconto degli artisti importanti ai bambini, perché posso studiare e narrare l’arte agli altri. Prima si descrivevano dicendo dove sono nati, spiegando le opere, ma io ho iniziato a proporre una prospettiva diversa: ho ritratto spesso l’artista come bambino. Gli albi dedicati a Max Duchamp e Max Ernst bambini, sono quelli che più mi stanno a cuore. Quando si scrive e si illustra, è inevitabile che sia tutto autobiografico, ma bisogna sapere bene stratificare e non lasciare intendere che ci sia autobiografismo. Penso che l’autobiografia esplicita sia poco interessante, diverso è quando è il proprio vissuto a essere elaborato. Lavoro molto con l’estero, il Sudamerica, la Grecia, e mi ha accolta bene il Messico, perché ha una conoscenza del surrealismo molto forte. La piattaforma italiana degli illustratori nel mondo è resistente. Siamo tra i più profondi. L’illustratore è una figura di cui si parla poco, ma ha una cultura molto ampia: scrivere testi per ragazzi è complesso, e quelli dell’albo illustrato sono molto brevi, ma frutto di un lavoro attento e anni di studio.

Come è nata la passione per il disegno?
Ho una passione per il disegno fin da bambina. Ho un vissuto complesso, sono orfana, e di questo parlano anche le mie opere. Il disegno mi ha sempre accompagnata, parlavo poco, ma ero una grande osservatrice. Per me non avrebbe senso comunicare solo i sentimenti, ma significa sapere che si legge insieme, e che tutto il processo porta alla creazione di un libro, che poi continua a unirci, a stare insieme: chi scrive, chi illustra, chi legge.

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“Donne di editoria” è un viaggio a puntate di Alley Oop, ideato e curato da Manuela Perrone, tra le professioniste che a vario titolo lavorano nel settore dei libri: editrici, libraie, scrittrici, bibliotecarie, comunicatrici, traduttrici. Tutte responsabili, ciascuna nel proprio ambito, di disegnare un pezzo importante del nostro immaginario e della nostra cultura.
Qui la prima intervista alla libraia Samanta Romanese.
Qui la seconda intervista alla filosofa ed editrice Maura Gancitano.