Salari più bassi per le donne, arriva la direttiva europea

Perché alle donne importa così poco il fatto di guadagnare meno dei colleghi uomini a parità di ruolo, competenze e lavoro? In Europa devono aver pensato che molto dipende dal fatot che le donne spesso non lo sanno. Che probabilmente, quando sentono parlare del gender pay gap (al 12,5% in Italia), credono non sia il loro caso. Proprio per questo l’Ue ha deciso di partire dalla trasparenza e dalla consapevolezza in tema di retribuzione fra uomini e donne.

La Direttiva europea

La direttiva europea per la parità di retribuzione fra uomini e donne è definitivamente ufficiale con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. L132 del 17 maggio 2023. Si trattava dell’ultimo passaggio formale per dare sostanza ad un’azione (Direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023) “volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione“.

Ma come si è arrivati a decidere che fosse necessaria una direttiva? Nell’Unione Europea le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto ai colleghi uomini e il divario retributivo di genere è rimasto sostanzialmente immutato nell’ultimo decennio. Sebbene questa differenza sia imputabile a una serie di fattori, la discriminazione retributiva è riconosciuta come uno dei principali ostacoli al conseguimento della parità di retribuzione in base al genere. La disparità retributiva espone le donne a un maggiore rischio di povertà e contribuisce al divario pensionistico dell’UE, che nel 2018 si attestava intorno al 30%, scrive il Consiglio Europeo.

Cos’è il gender pay gap?

Il principio della parità retributiva per un lavoro uguale o di pari valore è sancito dal Trattato di Roma ed è sistematicamente recepito nella legislazione dell’Unione Europea.Ciò non toglie che nella realtà questa differenza perduri. Ma come si misura?

C’è nella differenza salariale fra uomini e donne una discriminazione di genere, che è quella componente non spiegata del gender pay gap che non dipende dalla produttività ma dall’appartenenza di genere, cioè dai pregiudizi e dagli stereotipi che non hanno fondamento economico e che danneggiano le donne, le imprese e la società. I ricercatori la calcolano facendo la differenza fra quanto una donna guadagna realmente e quanto guadagnerebbe nella stessa situazione se fosse un uomo, come spiega bene la prof.ssa Luisa Rosti dell’Università di Pavia.

In poche parole: la busta paga delle donne è, in media, più leggera di quella degli uomini semplicemente perché sono donne.

Il divario in Italia

Per altro, parlando di Italia, le differenze di genere nelle retribuzioni sono più alte nel privato che non nel pubblico: nel pubblico fra i dipendenti con età minore di trent’anni la retribuzione media della componente femminile supera, e non di poco (-11,4%), quella media della componente maschile. Questo vantaggio iniziale si rovescia però, col passare degli anni, a favore della componente maschile, fino a raggiungere il 5,3% per le persone con più di cinquant’anni. Nel settore privato, invece, il gender pay gap presenta fin dall’inizio un consistente vantaggio della componente maschile (8,2%), che cresce regolarmente al crescere dell’età fino a raggiungere il 24,4% per gli individui con più di cinquant’anni.

Se si va ad analizzare, poi, le retribuzioni fra i professionisti, il divario è davvero impressionante: i dati OECD mostrano infatti che nel nostro Paese il gender pay gap riferito al reddito medio annuo da lavoro autonomo tocca il 45%.

Cosa stabilisce la Direttiva Ue

La Direttiva stabilisce innanzitutto il “campo da gioco”: all’articolo 2 viene specificato che “si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato” e “a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro”.

  • Obblighi del datore di lavoro: In base alle nuove norme i datori di lavoro avranno l’obbligo di fornire alle persone in cerca di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, riportandole nel relativo avviso di posto vacante o comunicandole prima del colloquio di lavoro.

Ai datori di lavoro sarà inoltre fatto divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro .Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno inoltre accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera, che devono essere oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.

  • Trasparenza sulle retribuzioni: Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a riferire annualmente all’autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione. Per le imprese più piccole (inizialmente quelle con più di 150 dipendenti), l’obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale.

Se dalla relazione emerge un divario retributivo superiore al 5% non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.

  • Risarcimento: i lavoratori e le lavoratrici che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere possono ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura.

Sebbene l’onere della prova, nei casi di discriminazione retributiva, sia stato solitamente a carico del lavoratore o della lavoratrice, spetterà ora al datore di lavoro dimostrare di non aver violato le norme UE in materia di parità di retribuzione e trasparenza retributiva. In caso di violazioni, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive e comporteranno delle ammende.

  • Discriminazione intersezionale: Per la prima volta, la discriminazione intersezionale (ossia fondata su una combinazione di molteplici forme di disuguaglianza o svantaggio, come il genere e l’etnia o la sessualità) è stata inclusa nell’ambito di applicazione delle nuove norme. La direttiva contiene inoltre disposizioni volte a garantire che si tenga conto delle esigenze delle persone con disabilità.

I prossimi passi

La direttiva sulla trasparenza retributiva è entrata in vigore con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Ora gli Stati membri avranno tre anni per “recepire” la direttiva, adeguando la rispettiva legislazione nazionale per includere le nuove norme.

Due anni dopo il termine di recepimento, l’obbligo di comunicare informazioni sulle retribuzioni in base al genere ogni tre anni sarà esteso alle imprese con più di 100 dipendenti (inizialmente l’obbligo di comunicazione si applicherà solo alle imprese con almeno 150 dipendenti).

La legge italiana

In Italia quest’obbligo già sussiste: un decreto ministeriale va a scandire i tempi di marcia per l’attuazione delle modifiche apportate dalla legge n.275 – entrata in vigore il 3 dicembre 2021 – all’articolo 46 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Tutte le aziende del settore privato come del settore pubblico con oltre 50 dipendenti «sono tenute a redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta».

Per il biennio 2020-2021 la presentazione del rapporto 2022 è avvenuta entro il 30 settembre. Per i bienni successivi è prevista la presentazione entro il 30 aprile dell’anno successivo. Quindi ad aprile 2024 si avranno i dati del biennio 2022-2023. Nel frattempo vedremo come verrà declinato il recepimento della Direttiva europea.

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  • Monica D'Ascenzo |

    Buongiorno, nel paragrafo che cita trova il link all’articolo della prof.ssa Luisa Rosti, che cita come fonte Istat e sono pubblicate anche le tabelle nello specifico. E nel suo articolo c’è il link diretto al report Istat: https://www.istat.it/it/archivio/255300
    Buona lettura

  • Sara |

    Buongiorno, ho una curiosità in merito a questo articolo.
    Da dove avete estrapolato i dati presenti nel seguente paragrafo?
    “Per altro, parlando di Italia, le differenze di genere nelle retribuzioni sono più alte nel privato che non nel pubblico: nel pubblico fra i dipendenti con età minore di trent’anni la retribuzione media della componente femminile supera, e non di poco (-11,4%), quella media della componente maschile. Questo vantaggio iniziale si rovescia però, col passare degli anni, a favore della componente maschile, fino a raggiungere il 5,3% per le persone con più di cinquant’anni. Nel settore privato, invece, il gender pay gap presenta fin dall’inizio un consistente vantaggio della componente maschile (8,2%), che cresce regolarmente al crescere dell’età fino a raggiungere il 24,4% per gli individui con più di cinquant’anni.”
    Grazie,
    Cordiali saluti,
    Sara

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