La leadership non è questione di genere

«Se fai ritardo al lavoro per ragioni relative ai tuoi figli, come una febbre improvvisa o un problema a scuola, è preferibile che tu inventi una scusa. Dì che hai bucato una gomma o fatto un incidente. Professionalmente, sarà accettato di più». Proprio così. Virginia Magliulo si è sentita consigliare esattamente questo da uno dei responsabili incontrati lungo la sua carriera.

Eppure, non ha mai fatto un passo indietro. Anzi, di figli ne ha fatti tre e sul lavoro è arrivata a sfondare il famoso soffitto di cristallo, diventando presidente di ADP, multinazionale americana leader nella gestione del capitale umano. «Ho imparato che ciò che la leadership non è questione di genere e che non esistono sentieri impraticabili per le donne. Ma le aziende devono fare di più» afferma.

La geografia della diversity

Il suo desiderio di abbattere i pregiudizi è emerso fin da piccolissima. «Siamo quattro sorelle e mio padre si sentiva ripetere continuamente: “Poverino, ci dispiace!”. Per questo, ho combattuto tutta la vita contro l’idea che essere donne fosse uno svantaggio». Così, a undici anni afferma per la prima volta di voler diventare un ingegnere, a scuola, chiede di partecipare alle lezioni di educazione tecnica con i ragazzi, e al posto delle bambole sceglie di giocare con microscopi ed enciclopedie. Arriva agli anni dell’università, tra le aule di Ingegneria elettronica al Politecnico di Milano «dove – ricorda – le donne erano appena 20 su 400, con scarsissima solidarietà reciproca. E invece, il segreto per lavorare bene è essere alleate tra di noi».

Le prime esperienze professionali la portano all’estero: dall’Inghilterra a Israele, dove con caschetto e scarpe antiinfortunistiche si fa largo tra i cantieri. «Ho sperimentato la diversity by country: c’erano Stati come l’Italia o l’Irlanda in cui le donne come me erano delle mosche bianche, altri come Israele dove era tutto molto naturale».  E passando dai cantieri agli uffici, la situazione non è cambiata: «Ho incontrato colleghi diffidenti rispetto al mio ruolo da manager, ho partecipato a delle riunioni in cui io facevo le domande, ma le risposte venivano date solo agli uomini presenti al tavolo e ho sono intervenuta a convegni di settore in cui le donne presenti non si contavano neanche sulle dita di una mano. Ma ho sempre smontato i pregiudizi con i fatti» assicura.

E quanto alla famiglia, la soluzione non è certo fingere che non esista. Molto meglio integrarla con consapevolezza, senza lasciarsi dettare dagli altri cosa si può e non si può fare. «Quando ho avuto la mia terza figlia avevo 42 anni e c’è chi mi ha detto: “Quindi non vuoi più lavorare?” Io ho sempre risposto che: no, semplicemente, volevo avere un altro figlio, ma che questo non doveva avere a che fare con la mia carriera» confida Magliulo.

La leadership non ha genere

E così, è diventata lei il leader, anzi, la leader. Un ruolo che interpreta senza connotazione di genere. «La leadership ha a che fare con la fiducia e l’autenticità. È vero che le donne sono più empatiche, ma generalizzare non serve. Dobbiamo piuttosto imparare tutti a non temere le nostre vulnerabilità, a ridimensionare l’ego personale, a restituire ciò che abbiamo ottenuto, ricordandoci che la diversity è motore di innovazione» sostiene.

Nel guidare un team, per lei, la cosa più importante è saper ascoltare e trasmettere la visione in modo chiaro. «Avendo 39 Paesi da gestire, le risposte ai bisogni non possono essere univoche. È fondamentale comprendere quali sono le condizioni specifiche e agire di conseguenza, con un’attenzione prioritaria al work-life balance». Ciò significa, prevedere riunioni in America solo di martedì, così da poter utilizzare il lunedì per il viaggio, senza togliere del tempo alla famiglia nel finesettimana. O ancora, facilitare il rientro nel post maternità, risolvere situazioni che possono generare stress, garantire un supporto psicologico in azienda e, ovviamente, dare spazio alle donne che meritano di crescere.

«Il mio motto è: “lift as you climb”, ovvero nella tua scalata, porta con te le altre donne. E questo significa presentare dei role model ispiranti e realistici, lavorare sui pregiudizi inconsci che spesso condizionano molte di noi e sponsorizzare i successi delle altre donne in azienda creando percorsi di mentorship». Sì perché molto spesso sono proprio le donne ad autolimitarsi.

«Abbiamo chiesto alle nostre donne quante si sarebbero candidate per un ruolo dirigenziale se ci fosse stata la possibilità e ha risposto affermativamente solo una su due. L’equilibrio della vita lavorativa e lo sviluppo professionale sono le motivazioni per cui tutte le altre hanno risposto negativamente. Evidentemente, tendiamo a sottovalutarci, a essere troppo severe con noi stesse, per paura di ricevere un “no” o una critica. Ma questo non deve fermarci: ogni esperienza può essere occasione di crescita e apprendimento. E la carriera non è fatta solo di step verticali, ma anche orizzontali. L’unica cosa che non dovremmo fare è stare ferme».

La spinta delle nuove generazioni

I giovani, secondo Magliulo, l’hanno capito benissimo. A confermarlo è la ricerca “People at Work 2022: A Global Workforce View” realizzata dall’ ADP Research Institute su circa 33.000 lavoratori in 17 paesi, di cui 2000 in Italia. Un’indagine da cui emerge che più di tre quarti delle persone (75%) cambierebbe lavoro se scoprisse l’esistenza di un divario retributivo di genere o l’assenza di una politica di diversità e inclusione in azienda. Un’affermazione sostenuta per l’85% dagli under 24. Non solo: un dipendente italiano su 4 (23%) ritiene che la propria azienda abbia implementato negli ultimi tre anni una politica contro il gender gap e il gender pay gap, ma nonostante questo, secondo il 19% degli intervistati, la situazione è peggiorata.

«L’Italia non è un Paese che favorisce la conciliazione: in Francia, ad esempio, ci sono micro-nidi in tutti i condomini e agevolazioni fiscali che aiutano le famiglie. Per questo, in un contesto come il nostro, l’impegno delle imprese è ancora più importante» conferma Magliulo ricordando che in ADP hanno sviluppato un’iniziativa – #Breaktheceiling – con cui hanno portato a + 20% il numero delle donne executive.

«Oggi le imprese devono capire che hanno una responsabilità più ampia: devono poter migliorare la vita delle persone e work-life balance, diversità e inclusione sono leve fondamentali per riuscirci. Ambizioso? Certo – riconosce la presidente – ma non esistono altre opzioni perseguibili.  Solo un nuovo umanesimo ci salverà».

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