Che lavoro fanno i giovani che lavorano?

Group of people working out business plan in an office

L’Italia è attualmente il Paese più anziano dell’Unione europea[1], e questa caratteristica demografica si riflette anche sull’occupazione: la quota dei giovani sul totale degli occupati nel nostro Paese è infatti la più bassa d’Europa (Figura 1). Questa già esigua quota di lavoratori con meno di 40 anni (33% contro 40% della media europea) si riduce ulteriormente se si considerano le sole professioni ad elevata specializzazione[2], allargando così il divario tra l’Italia e tutti gli altri Paesi europei (27% vs. 39%).

Figura 1 – Quota di giovani (15-39) sul totale degli occupati (15 e più) – EU27 – 2020

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Ns. el. su dati Eurostat https://ec.europa.eu/eurostat/web/lfs/data/database

La quota dei giovani varia in modo molto marcato a seconda della professione svolta: nella rielaborazione INAPP dei dati Istat riferiti al periodo 2016-2018 i giovani sono in media il 34% degli occupati, ma variano da 0 a 98% a seconda della professione considerata.

Al primo posto tra le professioni più giovani ci sono gli atleti (hanno meno di 40 anni nel 98% dei casi), seguiti dai tecnici del web (76%) e dal personale non qualificato nei servizi ricreativi e culturali (74%). Al quarto posto si posizionano i bagnini (70%), e al quinto i camerieri (67%). Seguono (con qualche sorpresa) allibratori, croupier e professioni assimilate (65%)[3], e poi baristi (64%), hostess e steward (61%), e commessi di vendite al minuto (58%).

Altre professioni in cui più della metà degli occupati ha meno di 40 anni sono gli addetti all’installazione di ponteggi e i tecnici dell’organizzazione di fiere ed eventi culturali (entrambi al 58%), gli addetti all’informazione nei call center, gli addetti all’accoglienza nei servizi di alloggio e ristorazione, e i venditori a domicilio e a distanza (tutti con 57%). E poi, gli addetti agli sportelli delle agenzie di viaggio (56%); gli allenatori di discipline sportive (55%); i cuochi, gli addetti alla sorveglianza di bambini e i cassieri (tutti con 54%). Seguono i conciatori e gli addetti alle consegne (entrambi al 53%); e infine i grafici e disegnatori, i vetrinisti e i dimostratori (tutti al 52%).

Quali sono, invece, le professioni in cui i giovani rappresentano solo un’esigua minoranza degli occupati (meno del 10%)?

Inutile cercarli tra imprenditori e amministratori di grandi banche, assicurazioni, agenzie immobiliari e di intermediazione finanziaria: la loro quota è 0. La situazione non cambia tra imprenditori e amministratori nel settore dei trasporti e nei servizi di informazione e comunicazione: anche qui la loro quota è 0. Ce ne sono alcuni, anche se pochissimi, tra i docenti universitari in scienze della vita e della salute, e in scienze ingegneristiche e dell’architettura (3%)[4]; raramente compaiono tra i direttori generali delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici locali, e tra gli Imprenditori e amministratori di grandi aziende nei servizi alle imprese e alle persone (6% in entrambi i casi).

I giovani rappresentano anche un’esigua minoranza tra bidelli e professioni assimilate (5%), e tra i riparatori di apparecchi radio e televisivi (8%), e si può capire, ma perché sono così pochi, ad esempio, tra i tecnici dei servizi giudiziari (4%)[5] e tra i controllori fiscali (9%)[6]?

La scarsa presenza di giovani tra gli occupati del nostro Paese non può essere solo una conseguenza della struttura demografica della popolazione perché, ad esempio, la Germania, pur avendo un’età mediana simile a quella italiana, ha una quota di giovani che supera la nostra di ben otto punti percentuali (41% contro 33%). E non può neppure essere determinata dalla lunga durata dei percorsi formativi, perché l’Italia ha una quota di laureati tra le più basse d’Europa: 20% contro il 29% della media europea (nella classe d’età 15-29 anni). Il problema italiano è dato soprattutto dai giovani che non studiano e non lavorano (NEET): i dati rappresentati nella Figura 2 mostrano infatti che in nessun altro Paese la quota dei NEET raggiunge il livello di quella italiana: 25%.

Figura 2 – Quota di individui in età 15-34 che non studiano e non lavorano (Neet) in % della popolazione della stessa classe d’età – EU27 – 2020

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Ns. el. su dati Eurostat http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=edat_lfse_20

La scarsa presenza di giovani nel sistema produttivo è un problema dal punto di vista economico perché sono prevalentemente le nuove leve che portano l’innovazione nelle organizzazioni, e i dati evidenziano il fatto che in Italia questo avvicendamento generazionale è carente, soprattutto nelle posizioni apicali.

La situazione di progressivo innalzamento dell’età degli occupati, conseguente alla scarsa consistenza delle nuove leve, richiede interventi strutturati e coerenti di age management (Ocse 2006) volti a ristabilire una composizione più equilibrata delle risorse umane per classe d’età che non metta in conflitto “esperienza” e “innovazione”. In azienda c’è bisogno sia dell’esperienza specifica maturata dai dipendenti con elevata anzianità di servizio, sia delle competenze più generali, ma anche più moderne e innovative, fornite dai neoassunti.

Le professioni in cui l’età media degli addetti cresce senza soluzione di continuità vedranno progressivamente ridursi il flusso di energie e di conoscenze di cui i giovani sono specifici portatori, e le aziende in cui le nuove assunzioni sono eliminate, ridotte o procrastinate, non potranno disporre delle risorse necessarie a sostenere il processo di innovazione e la competizione internazionale con i Paesi che non hanno un invecchiamento demografico altrettanto pressante.

In un sistema economico nel quale sono compresenti più generazioni, il trasferimento di conoscenze non deve essere unidirezionale ma reciproco, l’alternanza tra periodi di formazione e cambiamenti di mansione deve essere prevista e regolata, la conciliazione vita-lavoro non deve riguardare solo le donne, e i percorsi di carriera devono essere compatibili con le opzioni di avvicendamento tra momenti di massimo impegno in azienda e fasi di lavoro meno intenso in relazione alle esigenze di conciliazione e di formazione. È in questa programmazione che trova la sua ragion d’essere la politica di age management, e in tale contesto l’assunzione di giovani si impone come strumento necessario per attivare, grazie alla cooperazione tra generazioni, lo sviluppo del potenziale produttivo dei dipendenti di ogni classe d’età.

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[1] – Nel 2020 l’età mediana della popolazione italiana era di 47 anni, contro i 44 anni della popolazione europea (Eurostat 2022).

[2] – Dirigenti, amministratori delegati, direttori amministrativi, alti funzionari e professionisti inclusi nel primo e secondo gruppo di professioni della classificazione ISCO08.

[3] – Le professioni comprese in questa unità accettano puntate e scommesse in denaro sui risultati delle corse negli ippodromi e nei cinodromi, registrandole su libri ufficiali; pagano le somme dovute in caso di vincita.

[4] – È da notare il fatto che la quota dei giovani non è così bassa in tutte le discipline accademiche: ad esempio, sono giovani il 15% dei Docenti universitari in scienze economiche e statistiche, e il 16% dei Docenti universitari in scienze matematiche e dell’informazione, fisiche, chimiche e della terra.

[5] – Le professioni classificate in questa unità curano gli aspetti amministrativi ed esecutivi delle decisioni delle corti di giustizia; organizzano il materiale documentario e probatorio e documentano lo svolgimento dei processi, riportando a verbale testimonianze, interventi delle parti e decisioni.

[6] – Le professioni classificate in questa unità coordinano e organizzano la circolazione delle merci da e per il Paese, organizzano i controlli sulle merci e le verifiche della corrispondenza alla documentazione presentata delle merci esportate e importate, organizzano i controlli sull’entrata o l’uscita dal Paese di merci vietate o non autorizzate.