Migranti, cosa significa essere figli di un Paese plurale

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Quanto tempo ci vorrà perché i popoli della Terra vivano insieme senza provare l’avversione per lo straniero, sentito come “diverso”? In questo percorso lungo quanto la storia dell’uomo, molti passi sono stati compiuti, ma la strada da percorrere è ancora lastricata di difficoltà. Le migrazioni, e dunque gli incontri (e gli scontri) sono – letteralmente – nate con l’uomo, sin da quando viveva nelle caverne. In qualunque parte del globo, noi siamo il risultato di sovrapposizioni, di incontri, di avvicendamenti. Un video di qualche anno fa mostrava un esperimento interessante: 67 persone provenienti da tutto il mondo hanno fatto un test del Dna per poi scoprire di avere un bagaglio genetico assai più variegato e “misto”  di quanto credessero. “In un certo senso – si sente dire nel video – siamo tutti cugini”.

Di questo tema, del senso di appartenenza alla propria comunità, dei tentativi di aderire a un’altra, del senso di spaesamento e dell’essere in qualche modo “dissociati” tra due identità differenti, eppure costrette a convivere, racconta lo scrittore greco Petros Markaris nel saggio “Ospiti e Ospiti”, pubblicato da New Press Edizioni e tradotto da Andrea Di Gregorio.

Markaris è un greco “della diaspora”, ossia appartenente alla corposa comunità di greci sparsi per il mondo, poi rientrato ad Atene dopo una lunga esperienza all’estero. Ha sperimentato lui per primo che cosa significasse far parte di una minoranza, a Istanbul, tra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso. Quando, un giorno, vedendo giocare insieme bambini greci e figli di immigrati africani, provò a chiudere gli occhi, sentì parlare tutti indistintamente greco, e ne assaporò il piacere e la magia. Oggi le nuove generazioni vivono senza boundaries, non avvertono le differenze. Eppure, alcuni di loro scontano quotidianamente discriminazioni, più o meno velate, più o meno spinte da patetici venti di nostalgia, più o meno giustificate dalla dichiarata volontà di mantenere “pure” tradizioni culturali o linguistiche che si teme possano svanire nella contaminazione con usi e costumi differenti.

“Per una minoranza, la religione e la lingua non sono banalmente i due pilastri della fede e della cultura – scrive Markaris – sono i fondamenti intorno a cui si concentrano le tradizioni, la storia e la continuità. Sono i fondamenti della propria identità di minoranza. Ogni volta che sento i politici dell’Europa centrale che denunciano il fatto che gli immigrati musulmani si rifiutano di integrarsi, che difendono il loro modo di vivere, la30 loro religione e le loro tradizioni con spirito combattivo, mi vien da ridere. Le minoranze cristiane della Città (Istanbul, ndr) non erano da meno”.

In questo saggio agile ma densissimo, Markaris penetra la questione dell’“ospitalità” attingendo alla sua esperienza personale, a cavallo tra Oriente (Istanbul), Occidente (Vienna, dove ha vissuto e lavorato) e Atene (la giusta sintesi dei due mondi). Ospiti sono sia gli ospitati che i padroni di casa. Già. Ci avevate mai pensato? Markaris riprende questo tema, soprattutto quando si riferisce a un concetto molto diffuso e alimentato, quello della multiculturalità, a suo dire non “morto”, ma “mai nato”. Per il giallista greco, sarebbe più corretto parlare di società “multicomunitaria”. La nostra sarebbe pronta a dimostrarsi tale?

Sono oltre un milione, sono giovani e sono i Protagonisti di un Paese plurale. Il volume è uscito a maggio del 2021 per Seb 27 a Torino e il sottotitolo è già un manifesto: “Come sono diventati adulti i figli dell’immigrazione”. La riflessione è di Roberta Ricucci che insegna Sociologia della mobilità internazionale e Sociologia dell’Islam all’Università di Torino ed è componente del Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione (Fieri).

“Essere oggi giovani e stranieri o figli di stranieri può rappresentare un binomio identitario difficile da gestire nella declinazione del proprio futuro”: lo scopo del lavoro, che segue di poco Cittadini senza cittadinanza“, è la messa punto di un’analisi lucida. Al centro, un percorso di crescita e di inclusione, irto di difficoltà, ma anche stimolante, come la più alta delle sfide. Il tema è politico ed è affrontato con metodo e proprietà di strumenti.

L’introduzione prova a porre il lettore al riparo da pregiudizi e sin dalle prime battute lo invita a considerare come spesso si sia tentati di incasellare il mondo giovanile dentro schemi preconfezionati. Sono pochi gli elementi che hanno contribuito quanto l’immigrazione – scrive Ricucci – a trasformare la società italiana negli ultimi quarant’anni. È indubbio che i motivi che spingono i flussi siano innumerevoli e che abbiano fatto registrare importanti mutamenti. Un aumento dei ricongiungimenti familiari e una riduzione degli ingressi per lavoro fotografano nel nostro Paese una crisi economica che ha segnato gli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo. Oggi la presenza fissa di stranieri regolari in Italia riguarda il 9% dei residenti.

Ed è sulle seconde generazioni che la sociologa concentra lo sforzo, definendole in cerca di attenzioni. Sono in fondo i nostri ragazzi, cresciuti con i nostri figli, compagni di scuola se non di banco. Con loro condividono gli anni della crescita e della formazione, lo studio, il volontariato. Ci sono, certo, delle differenze che rendono personalissimo ogni percorso, dalla costruzione del proprio sistema di valori all’ingresso nel mondo del lavoro. L’intuizione di Ricucci è allora quella di cambiare etichetta, per parlare di giovani – figli dell’immigrazione e non – che crescono: allargare lo sguardo ai cambiamenti che interessano la condizione giovanile, per la prima volta considerata al di là dei passaporti.

Il testo ha poi un merito indiscutibile che è quello di proporre un’inversione di prospettiva. È un lavoro destinato a interessare tanto chi arriva, quanto chi accoglie. Non smetti mai di essere immigrato, se non vuoi. È un atteggiamento mentale”, dice Saud, italiano di origine egiziana di 28 anni.

I dati sono importanti: basterà considerare che il nostro Paese, mentre da una parte sconta un calo nel numero di studenti pari all’1% (tra il 2017 e il 2020 parliamo di ben 85.000 unità), dall’altra registra la crescita costante di quello degli studenti stranieri (184.000 persone negli ultimi dieci anni): che siano una preziosa risorsa lo dice a chiare lettere la sociologia, contro i rigurgiti del populismo.

Il saggio è una fotografia lucidissima: ciò che viene richiesto ai figli dell’immigrazione è un esercizio di equilibrismo, forse molto di più, di certo nulla di meno. Lo studio punta il faro anche sulla presenza femminile: “Le donne, già protagoniste di una società ristretta, si mettono in rilievo”, dallo sport all’associazionismo etnico, non più solo religioso, ma attento ai progetti di integrazione e inclusione.

Il volume ha un ritmo piacevole, forte della capacità di alternare i dati e le considerazioni alle suggestioni dei racconti di uomini e donne che Ricucci incontra e intervista. Come Sunday, 23 anni, origini nigeriane: Se sei straniero, sei diverso. Conta tutto: dove vivi, cosa fanno i tuoi genitori, da dove vengono, cosa studi, chi frequenti”. Perché i pregiudizi che si attaccano addosso a chi arriva senza un passaporto “forte” diventano ancora più difficili da superare se il luogo di approdo è una periferia.

L’idea che si possa giungere a una riforma, tanto attesa, sulla concessione della cittadinanza ai migranti e ai loro figli chiude il saggio e, in fondo, è la speranza di chi respinge l’odio e l’intolleranza, la propaganda e il populismo. Davanti a una componente della nostra società che è ormai strutturata e strutturale, un aspetto risulta innegabile: i toni attorno al fenomeno dell’immigrazione divengono ogni giorno più alti. E sono sospinti – non è un segreto – dal vento di una certa destra che fa leva su sicurezza e nazionalismo, con lo scopo di disegnare barriere e ostacolare l’inclusione che è ormai processo inarrestabile. La lettura combinata di Il fuorilegge di Mimmo Lucano potrebbe allora servire a comprendere il fenomeno nella sua accezione più politica, attraverso il modello Riace e il suo smantellamento feroce.

A cura di
Enza Moscaritolo
Maria Concetta Tringali

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Titolo: “Ospiti e Ospiti”
Autore: Petros Markaris
Traduttore: Andrea Di Gregorio
Editore: New Press Edizioni
Prezzo: € 12,00

Titolo: “Protagonisti di un Paese plurale. Come sono diventati adulti i figli dell’immigrazione. Storie di giovani cittadini nell’Italia delle nuove generazioni”
Autrice: Roberta Ricucci
Editore: Edizioni SEB27
Prezzo: € 16,00

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