Tutti in piedi per le ragazze, perché è questa la postura con cui si vigila sui diritti per custodirli e soprattutto espanderli. Una necessità che, a guardare i dati, si fa urgenza: nel 2023, in Italia, sono stati 6.952 i reati a danno di minori. Le bambine e le ragazze sono le più colpite: nel 61% dei casi sono loro le vittime. A spingere questa percentuale sono soprattutto i crimini sessuali: a partire da violenza sessuale e violenza sessuale aggravata, che registrano rispettivamente l’89% e l’85% di vittime femminili, passando per gli atti sessuali con minorenni (il 79% di vittime è femmina), detenzione di materiale pornografico e corruzione di minorenne (entrambi con il 78% di vittime di genere femminile), fino alla prostituzione e pornografia minorile (in entrambi le vittime sono al 64% bambine o ragazze). I numeri, elaborati dalla Direzione centrale polizia criminale, sono stati resi noti dalla Fondazione Terre des Hommes e chiariscono l’obiettivo profondo di “Stand Up for Girls!”, l’evento organizzato da Terre des Hommes al Teatro Nazionale di Roma: ripartire dai diritti delle bambine e delle ragazze per costruire una società più equa e consapevole.
«Nascere femmine in alcuni Paesi significa essere obbligate a lasciare la scuola perché a quattordici anni ci si deve sposare; non poter gestire i propri risparmi o avere un proprio conto corrente; essere sottoposte a mutilazioni genitali», sottolinea dal palco Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes Italia, che richiama alla responsabilità maschile: «Anche in Italia il genere segna i sogni e le carriere delle bambine: se lo stereotipo perdura è perché noi uomini davvero non ci siamo ancora messi in gioco».
Il potere collettivo delle storie
Per rendere concreto il cambiamento “Stand Up for Girls!”, organizzato nell’ambito della campagna Indifesa, ha chiamato all’appello speaker provenienti dal mondo dello spettacolo, della cultura e dello sport: l’obiettivo è rimettere al centro i diritti di bambine e ragazze cambiando lo sguardo sulle questioni di genere attraverso storie ed esperienze condivise.
Sul palco dell’evento – condotto dall’attrice Laura Locatelli – si sono alternate Maria Grazia Angeletti, direttrice artistica della scuola di danza di Cisterna di Latina “MGA Studios” e coreografa; Takoua Ben Mohamed, graphic journalist e socia-fondatrice di BM Entertainment, con una sessione di live drawing; Aurora Caporossi, fondatrice di Animenta e Comestai; Espérance Hakuzwimana, scrittrice; Lorenzo Maragoni, campione mondiale di poetry slam; Giulia Mei, cantautrice, con un’esibizione musicale live; Valentina Melis, attrice, conduttrice e attivista; Laura Sgrò, avvocata e scrittrice.
Dalla violenza di genere all’esigenza di essere viste per chi si è, il potere delle parole è stato protagonista di tutti i talk che hanno condiviso storie di riscatto, consapevolezza e pari opportunità: alle ragazze servono modelli.
«Sentirsi importanti per quello che siete, non per quello che fate: questo è l’obiettivo», ha sottolineato Miriam Baldassarri, presidente di Assodanza (partner dell’evento) che, rivolgendosi alle scolaresche presenti, ha aggiunto: «L’origine della forza sta nel credere del potercela fare. Se c’è questa consapevolezza. ancora più importante per le ragazze, tutto il resto arriva».
L’importanza di essere viste e sentirsi rappresentate
«Non sottovaluto la capacità di un bambino di capire cosa sono i diritti umani»: Takoua Ben Mohamed è fumettista, graphic journalist e attivista. Da quando ha quattordici anni, grazie al progetto Fumetto Intercultura, parla di pregiudizi, stereotipi e discriminazione utilizzando ironia e fermezza. «Sono figlia di due rifugiati politici. Esiliati perché lottavano per i diritti umani. Sono nata e cresciuta per otto anni in Tunisia – racconta nel suo speech – Ho ereditato dai miei genitori il mio attivismo: dal 1999 a oggi lotto contro gli stereotipi e per diritti delle donne».
Dopo il suo primo fumetto, “Sotto il velo” (2016, Beccogiallo), Takoua Ben Mohamed non si è più fermata e usa parole e arte visiva per affermare un diritto preciso: ampliare le rappresentazioni. «Il fumetto restituisce una certa dignità alle persone perché hanno la possibilità di raccontarsi e non farsi raccontare. C’è una bella differenza tra queste due cose», sottolinea ad Alley Oop la fumettista, che racconta: «Il fumetto è stato anche il mio primo mezzo di comunicazione quando sono arrivata in Italia: mi consentiva di comunicare con le maestre, con i miei compagni di classe. Ma soprattutto mi ha permesso di condividere le mie emozioni, raccontare la mia storia, le guerre che vedevo. Ho affrontato tanti traumi nella mia vita grazie al fumetto e alla scrittura: mezzi di comunicazione ma anche autoterapia».
Il bisogno di raccontare, essere viste e fare in modo che altre potessero “vedersi” è quello che ha portato sul palco anche la scrittrice Espérance Hakuzwimana. Nel suo percorso umano e professionale sono quelle che definisce «micce» ad aver cambiato la sua vita: piccoli e significanti episodi che le hanno consentito di capire che cosa desiderasse profondamente e chi fosse. Una consapevolezza difficile da raggiungere, più complessa per le ragazze oppresse dagli stereotipi. Ancor più ostacolata per le ragazze nere che non si vedono rappresentate. «Vengo salvata dal genocidio in Ruanda e arrivo in Italia con un volo di fortuna – racconta la scrittrice – Mi fanno male gli occhi perché tutto quello che mi circonda è tutto bianco. Non riesco a vedere niente e soprattutto non riesco a vedere me».
Questa è stata una delle micce che hanno portato Hakuzwimana alla scrittura: «Avverto il silenzio. Nessuno riesce a dire che sono nera. E questo mi priva della mia parola». Così inverte la rotta e si riappropria della sua identità a partire dalla parola e scegliendo la strada più incerta ma sentita «Ho scelto la strada meno battuta, quella della scrittura, ed è questo che ha fatto la differenza», dice alla platea di ragazzi e ragazze. «Cercate le micce. Mettiamole insieme».
Creare il proprio spazio nel mondo
Dal potere dalle rappresentazioni a quello di creare spazio oltre gli ostacoli. «Quello che auguro alle giovani donne è di essere perseveranti, ma anche di fare attenzione quando si capisce che quella che si credeva la propria strada non lo è: essere perseveranti, senza essere ottuse»: Laura Sgrò è un’avvocata che, come conferma ad Alley Oop, gli ostacoli legati al genere li conosce bene.
«Mi muovo professionalmente in un contesto complicato che è quello del Vaticano, per antonomasia un luogo maschile. Il governo è di un uomo e i ruoli di potere sono quelli di cardinali e vescovi. C’è poco spazio per una donna libera e indipendente», afferma l’avvocata che, nonostante il contesto professionale «poco a misura di donna», porta avanti battaglie di giustizia e verità. È dall’esperienza professionale che parte nel suo speech per richiamare l’attenzione delle ragazze sul valore della verità. Pretenderla nel lavoro come nella vita, sottolinea Sgrò, significa vivere una vita autentica e giusta: «Cercare la verità è quello che sto facendo da anni con la famiglia Orlandi e che faccio con le vittime di abusi che hanno bisogno di sentirsi ascoltate, capite. Senza verità non si può avere giustizia».
Avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, alla ricerca della verità, è il filo conduttore che attraversa le esperienze generazionali. Da Sgrò ad Aurora Caporossi: fondatrice di Animenta e Comestai, da giovanissima ha trasformato un ostacolo in opportunità. Come ha condiviso dal palco, il suo spazio nel mondo lo ha creato partendo proprio da ciò che rischiava di annientarla. A sedici anni si ammala di anoressia nervosa e a ventiquattro fonda Animenta: un’associazione che lavora per costruire una rete di professionisti in grado supportare le persone che soffrono di disturbi alimentari perché, afferma Caporossi, «Questi disturbi non riguardano il corpo e il cibo. Ma disagi più complessi». Creare uno spazio protetto: le ragazze ora sanno che è possibile.
Violenza di genere, rispetto e responsabilità: azioni chiave per contrastarla
Non si può parlare alle ragazze e ai ragazzi ignorando l’elefante nella stanza: la violenza di genere che riguarda sempre più le giovani generazioni. Durante l’evento la coreografa Maria Grazia Angeletti ha ricordato le sue ex allieve vittime di femminicidio. Desirée Mariottini, che nel 2018 a sedici anni è stata violentata mentre era sotto effetto di droghe e lasciata morire in uno stabile occupato a San Lorenzo, Roma. Nello stesso anno, a Cisterna di Latina, Alessia e Martina Capasso, tredici e sette anni, sono state uccise a colpi di pistola dal padre.
Nel 2024, Nicoletta Zomparelli e Renée Amato, madre e sorella di una ragazza che stava lasciando il compagno, sono state uccise in casa a Cisterna dal maresciallo della guardia di finanza Christian Sodano. «Alessia, Martina, Renée e Desirée erano mie allieve, le ho viste crescere, sognare, danzare. E adesso sono qui a parlare di loro al passato- ha raccontato Angeletti, lanciando un messaggio chiaro: «La violenza non è solo un pugno, è uno sguardo che spoglia, è una parola che ferisce, è una porta chiusa a chiave, è un amore malato che controlla, umilia e isola, è un telefono che vibra di insulti, un no che non viene ascoltato. È uno stupro, un femmincidio, un padre che uccide le figlie, è un fidanzato che si crede padrone, è una società che spesso guarda altrove».
A riguardo, il riconoscimento della responsabilità maschile non è più un’opzione rimandabile: «È il momento per noi uomini di farci delle domande e darci delle domande» dice nel suo speech Lorenzo Maragoni, campione mondiale di poetry slam. Tra maschi, invece, ci si parla ancora poco. E ci si interroga ancor meno: «È ora di una presa di responsabilità e di cambiamento concreto del nostro comportamento – dice ad Alley Oop Maragoni -. Farci delle domande è giustissimo, però poi serve che quello che cambia siano i nostri comportamenti: altrimenti il rischio è che rimanga tutto teoria e nulla cambi nelle nostre vite quotidiane».
E le relazioni sono il primo spazio da cui partire e imparare ad abitare diversamente: «Ho parlato di relazioni perché è quello da cui sono partito per esplorare la gestione del rifiuto, la gelosia, il consenso – spiega Maragoni – Non voglio parlare per tutti gli uomini ma sicuramente questi sono temi di cui facciamo ancora fatica a parlare. Ci vergogniamo delle nostre emozioni, ma opprimerle non serve: dobbiamo darci il permesso di condividerle. Nella coppia, con gli amici, con i genitori. Non dobbiamo vergognarci di dire che spesso ci sentiamo inadeguati». Da questo è necessario ripartire per coltivare quello che Gino Cecchettin, nel suo saluto in collegamento con la platea, definisce la chiave di relazioni libere e paritarie: il rispetto reciproco, da cui evolve l’amore per la libertà altrui.
«Libera, voglio essere libera», un inno all’autodeterminazione
Libertà e autodeterminazione, evocate in tutti gli speech, sono un diritto non ancora e non sempre garantito per le ragazze. Intanto, per sentirsi libere e sicure, le ragazze hanno imparato a fare squadra: lo ha sottolineato l’attrice e attivista Valentina Melis nel suo intervento, scegliendo proprio “Sorellanza” come parola chiave e comune alle storie di donne citate che hanno indirizzato la sua vita. La stessa che canta Giulia Mei nella sua “Bandiera”: la canzone “inno”, che ha chiuso l’evento, ha accompagnato nell’ultimo anno manifestazioni di piazza, in università, per le strade delle città. «Libera, voglio essere libera» cantano le ragazze mentre lasciano esplodere la rabbia per un’altra coetanea ammazzata.
La cantautrice Mei la riporta sul palco di “Stand up for girls” richiamando alla necessità di «Rendere la libertà non solo un nome, ma qualcosa di concreto capace di essere toccato». E, ad Alley Oop, dice: «Il fatto che una canzone del genere, con il suo messaggio, abbia avuto un grande impatto anche in un mercato discografico con le sue criticità (penso ai testi misogini e sessisti), è il mio successo morale. Non parlo di numeri, ma di anima e di cuore». Quello delle ragazze che, quando si mettono in piedi per i loro diritti, batte forte.
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