Braccialetto elettronico, Nordio invita le donne “a trovare un rifugio”. Insorgono opposizioni e associazioni

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio

«Il braccialetto elettronico dà l’alert. Poi la vittima deve trovare un rifugio, in una chiesa o in una farmacia». Le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio in merito al braccialetto elettronico per prevenire i reati di violenza contro le donne, pronunciate in Senato durante il Question Time, spostano il baricentro della responsabilità nella protezione delle donne vittime di violenza: non garantita dal sistema pubblico di prevenzione, ma affidata alla capacità individuale della vittima di mettersi in salvo.

«Quando si verifica l’allarme, si presume che la persona offesa sia messa in condizione di trovare una forma di autodifesa e di riparo, magari rifugiandosi in luoghi sicuri come chiese o farmacie – aggiunge Nordio -. Lo Stato non può presidiare ogni abitazione privata: deve segnalare il pericolo e mettere la persona in condizione di difendersi, ovviamente con la massima tempestività».

Il 31,5% delle 16-70enni in Italia ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale (dati Istat): nonostante le donne abbiano imparato a difendersi – per necessità e per difesa – le associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere sottolineano come le parole di Nordio rispecchino l’assenza dello Stato nella tutela delle vittime. «Un’inaccettabile forma di scaricabarile istituzionale», sottolinea Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna.

Le associazioni: «Proteggersi non è un compito della vittima»

Gli stereotipi e i pregiudizi sulle donne vittime di violenza pesano sul discorso pubblico e politico: nonostante la rinnovata sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla violenza di genere – scaturita particolarmente dai femminicidi delle giovanissime Giulia Cecchettin, Ilaria Sula e Sara Campanella che hanno riempito piazze e università di rabbia e richiesta di giustizia – la responsabilità continua a ricadere sulle donne che subiscono le azioni violente invece che sui maltrattanti. La tesi sostenuta da Nordio legittima questa posizione, spostando la centralità che la prevenzione e la tutela da parte dello Stato dovrebbero avere nel contrasto alla violenza.

«Riteniamo irresponsabile che un ministro della Giustizia si esprima in termini così superficiali e approssimativi in merito alla sicurezza delle donne a rischio perché minacciate da un uomo maltrattante», spiega la presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, Cristina Carelli, che continua: «Ancora una volta la responsabilità ricade sulle donne che subiscono le azioni violente dei maltrattanti, anziché sullo Stato che non mantiene gli impegni presi. Le affermazioni del ministro ci fanno capire che purtroppo manca ancora una presa di coscienza di quello che è la violenza maschile alle donne e del fondamentale ruolo dello Stato nelle azioni di prevenzione e protezione». Assenti, nelle risposte di Nordio, i riferimenti all’attività fondamentale svolta dai centri antiviolenza. «Una donna che si senta a rischio non deve cercare una chiesa o una farmacia in cui rifugiarsi, ma deve chiamare un centro antiviolenza», conclude Carelli.

Una necessità che, chi lavora quotidianamente per la tutela e l’empowerment delle donne che subiscono violenza, conosce profondamente e da vicino. «La protezione delle donne non può dipendere dall’iniziativa individuale, peraltro sull’assunto che in Italia saremmo all’anno zero delle pratiche e dei saperi femministi di prevenzione della violenza di genere contro le donne – afferma Ercoli – ma deve essere garantita da risorse pubbliche, scelte politiche chiare e investimenti stabili in prevenzione, protezione e giustizia». Il punto non è fornire un rifugio alle donne che rischiano di subire violenza ma, secondo le avvocate Teresa Manente e Ilaria Boiano, responsabili dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna, «garantire il rispetto delle misure cautelari puntando al massimo della tutela per l’incolumità psicofisica delle donne che hanno subito violenza di genere».

 «Lo Stato non può abdicare al suo compito di protezione», le repliche politiche a Nordio

Insieme alle associazioni che si occupano di violenza contro le donne, anche le risposte politiche alle dichiarazioni del Guardasigilli ne sottolineano le criticità. «Lo Stato non può abdicare al suo compito di protezione», affermano i senatori del Partito democratico Filippo Sensi, Valeria Valente e Cecilia D’Elia. Membri della commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, richiamano Nordio alla responsabilità: «Il monitoraggio delle misure di sicurezza e l’intervento successivo spetta allo Stato, non alla vittima e il ministro Nordio non può scaricare le sue responsabilità».

D’altronde nessun posto è davvero sicuro per le donne. Lo sottolineano in una nota le parlamentari Movimento 5 Stelle, anche loro in commissione femminicidio, Stefania Ascari, Anna Bilotti, Alessandra Maiorino e Daniela Morfino: «Forse il ministro ignora che la maggior parte dei femminicidi avviene nelle case o in situazioni dove le vittime difficilmente riescono a mettersi al riparo dai loro carnefici», sottolineano le parlamentari. Che, rivolgendosi direttamente a Nordio, aggiungono: «Solo oggi, a distanza di poche ore, altre due donne sono state ammazzate. E allora prima di dire oscenità, pensi invece a come attivarsi seriamente per fermare questa scia di sangue, a partire proprio dal risolvere i problemi sui braccialetti anti-stalking e dal potenziare i centri antiviolenza e le case rifugio, dove le donne potrebbero davvero trovare riparo».

Una “leggerezza”, quella nelle parole di Nordio, evidenziata anche dalla capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera Luana Zanella: «Il ministro Nordio ha parlato del braccialetto elettronico con parole di estrema leggerezza, è stupefacente vista l’estrema gravità dell’argomento» afferma Zanella che, riconoscendo l’importanza di un corretto funzionamento del dispositivo, aggiunge: «Il ministro di questo dovrebbe occuparsi, dando risposte, anziché lanciare messaggi sulla sua inutilità. Oppure dia una alternativa ma davvero non è tollerabile questa sciatteria istituzionale».

Braccialetto elettronico, criticità e best practice: cosa funziona davvero

«Mia sorella non era in chiesa né in farmacia, ma era in casa e non era al sicuro, esiste un posto più sicuro della propria casa? Non so se sia un problema di gps o di linea, ma le parole del ministro dimostrano che il sistema è sbagliato e che il braccialetto è inutile e serve solo a stressare la vittima. Facciano misure più efficaci e restrittive, perché gli aggressori non possono restare in libertà e tenere la vittima in un continuo stato di paura». Le parole di Raffaella Marruocco, 61 anni, sorella di Concetta Marruocco, la donna uccisa dal marito nel 2023 a Cerreto d’Esi (Ancona), spiegano tutto quello che non va nel funzionamento dei braccialetti elettronici: l’uomo che ha ucciso la sorella, pur sottoposto alla misura del braccialetto elettronico, entrò in casa e accoltellò la donna senza che la sua presenza fosse rilevata in tempo.

In Italia l’articolo 97 ter, inserito dal Dl 178/2024 nelle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale, prevede la verifica della fattibilità tecnica e operativa dei braccialetti da parte della polizia giudiziaria e della società incaricata. Un passo avanti, che però rischia di non essere sufficiente: per far funzionare questo strumento occorre una risposta fattiva, a livello di sistema. La soluzione, sostengono magistrati ed esperti, deve passare da una visione integrata, da valutazioni comparate e politiche mirate, più risorse umane.

Un’esigenza sempre più urgente, dimostrata dai numeri: le richieste dei dispositivi sono aumentate dopo l’entrata in vigore a dicembre 2023 della legge Roccella, che ha di fatto rafforzato l’uso del braccialetto elettronico nei casi da Codice rosso, ma rimangono al di sotto delle cifre previste dal contratto di fornitura del ministero dell’Interno con il gruppo Fastweb. Il contratto prevede l’attivazione di un numero mensile di 1.000 braccialetti, con la capacità di utilizzarne anche il 20% in più, per un totale di 1.200, con una tempistica massima per la fornitura di 4 giorni.

Secondo i dati aggiornati al 15 novembre 2024 e forniti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, i braccialetti elettronici attivi in Italia sono 10.458, di cui 4.677 antistalking, in deciso aumento rispetto a novembre 2023, quando erano in totale 5695, di cui 1.018 per i reati da Codice rosso. Farli funzionare è una priorità non rimandabile. Gli esempi virtuosi arrivano da Paesi vicini: Francia e Spagna hanno implementato protocolli dettagliati, personale formato e monitoraggio h24 per l’utilizzo dei braccialetti elettronici nei casi di violenza di genere. La valutazione dell’idoneità del braccialetto viene effettuata caso per caso da magistrati, con l’ausilio di commissioni ad hoc che garantiscono una lettura attenta e contestualizzata. Il problema, dunque, non è il dispositivo in sé. Ma, come riportano le associazioni, «l’assenza di un sistema strutturato ed efficiente per la sua gestione».

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  • RADOVCICH OSCAR |

    A parte che mi pare argomento del ministro dell’Interno ma la donna Meloni ha detto qualcosa?

  • Rudy |

    Sono un’ Istruttore, Consulente di Discipline Orientali Tradizionali da 54 Anni; Ci si può indignare, arrabbiare, protestare… Ma, come ben sappiamo, I “Femminicidi” continuano da molti, molti anni, purtroppo! Ed all’ evidenza delle “Soluzioni Governative”(?!) non sono risultate efficaci… Dunque, è mia modesta opinione che bisogna “Armarsi” sia dal lato fisico e sia mentale! Credo che si sarebbero salvate molte vite! Non si tratta di “Violenza Contro Violenza”, ma Semplicemente di *Difesa Personale*! Alla donna che subisce bisogna dare gli strumenti materiali e mentali per poter *Reagire*! Vediamo se l’ Imbecille riesce a continuare nella Sua *Vigliacca Azione* dato che non si troverà di “Fronte Alla Debolezza”(Paura, etc…). Saluti.

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