“Il buon lavoro”: viaggio nel lavoro che cambia e rimette la persona al centro

Rimettere il lavoro al centro, perché siano le persone a essere davvero al centro. In un momento storico di grandi cambiamenti, in cui ci siamo interrogati sul ruolo del lavoro nella nostra vita, in cui la pandemia ha eliminato i confini tra vita privata e professionale, in cui abbiamo osservato un disamore dal lavoro come se ci stesse, in qualche modo, rubando il tempo e la vita, ecco che il prezioso saggio “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane” (edito da Luiss University Press nella collana Bellissima diretta da Nicoletta Picchio) cambia la prospettiva e ci aiuta a riscoprire e ritrovare il senso e il valore più profondi del lavoro nelle nostre esistenze.

Firmato dalla giornalista del Sole 24 Ore Manuela Perrone e dal presidente di Federmanager, Cida e Trenitalia, Stefano Cuzzilla, il libro parte dalla domanda di cosa sia e quale sia questo lavoro “buono” e ha come filo rosso la trasformazione che stiamo attraversando. Densa di incognite. Non sappiamo quale sarà l’assetto del mondo del lavoro da qui a 20-30 anni, non conosciamo gran parte delle professioni che serviranno in futuro, e con questa rivoluzione dagli esiti incerti dobbiamo fare i conti, mantenendo un punto fermo: la persona deve essere al centro. Non uno slogan, come spiegano e ribadiscono bene gli autori, ma un’urgenza che va misurata con il quotidiano di ogni lavoratrice e lavoratore.

Ecco allora l’analisi puntuale e attenta di ogni aspetto di questo lavoro che sta cambiando attorno a noi, con una solida mole di dati che permette un’analisi completa e approfondita: dal ruolo dei leader alla gestione del tempo, dalla difficile convivenza tra i valori delle quattro generazioni attive nelle organizzazioni alla salute e al benessere, dalla trasformazione degli spazi al welfare, dal problema tutto italiano della scarsa produttività alla rivoluzione tecnologica e alla piaga della questione retributiva, per arrivare a disegnare quali sono quegli aspetti essenziali perché un lavoro sia davvero “buono”.

Nell’analisi gli autori non mancano certo di mettere in luce i punti critici e le sfide da affrontare in Italia: tra questi un ruolo di rilievo è quello che viene sintetizzato con il nodo delle 3 G: giovani, genere, geografia. Alla storica e mai superata dicotomia Nord-Sud, infatti, se ne sono aggiunte molte altre, trasformando l’Italia in un contenitore di Italie diverse, tanto da fare del nostro il Paese con le disuguaglianze interne più grandi d’Europa. L’invecchiamento della forza lavoro, aggravato dai cambiamenti normativi che hanno riguardato le pensioni, è destinato a peggiorare nei prossimi anni, con un mercato del lavoro che già nel 2011 il giuslavorista Pietro Ichino aveva chiamato di “apartheid” per indicare i due mercati del lavoro sempre più separati: quello dei padri, protetto e sindacalizzato, e quello dei figli, flessibile, mobile, precario e liquido.

Resta da sciogliere, poi, il nodo cruciale del lavoro delle donne, con l’Italia che ha il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa, frutto della scarsa disponibilità di servizi per l’infanzia, dei lavori di cura informali e gratuiti ancora prevalentemente a carico delle donne e con la maternità che si dimostra ancora oggi un fattore fortemente penalizzante sul mercato del lavoro, come mostrano i dati. E la disparità che è anche salariale, con un gender pay gap nel settore privato – anche qui – tra i più alti in Europa.

Ma l’analisi non si esaurisce certo nei numerosi nodi da sciogliere, perché nel testo sono citati numerosi esempi virtuosi e positivi per molti aspetti dell’universo lavoro, dal welfare alla gestione del tempo, dalle azioni concrete per la diversità e l’inclusione. Il messaggio degli autori però è chiaro: non “possiamo illuderci che i cambiamenti siano lasciati alla buona volontà delle organizzazioni. Il lavoro che cambia ha bisogno di una visione strategica, perché è il Paese a cambiare insieme al lavoro. Ed ecco che i tempi di risposta, la capacità di visione, la flessibilità del legislatore saranno fondamentali per il lavoro che sarà.

Dunque: quale lavoro è un buon lavoro? La domanda – cruciale – conclude tutte le interviste che popolano la seconda parte del libro, interviste a chi con il lavoro lavora ogni giorno: tredici tra direttori delle risorse umane, head hunter e manager di agenzie di consulenza e servizi per lo sviluppo professionale. Il recente dibattito sulle grandi dimissioni – che poi di fatto non ci sono mai state, si può parlare più che altro di grande rimescolamento, come notano gli autori – ha portato all’emersione di una nuova piramide di valori, che aiuta in questa ridefinizione del buon lavoro. Che, certamente, non dipende più esclusivamente dal reddito e molto ha a che fare con un quotidiano soddisfacente, ma non solo.

È quello, dice nella prefazione Ferruccio de Bortoli, nel quale ritroviamo più ragioni di vita, “non è più un tempo sottratto alla vita, alla libertà individuale e collettiva, ma il suo complemento, la sua realizzazione”.  Un lavoro in cui ritrovare il senso di sé e della comunità, che è ricchezza del Paese e del Made in Italy, spazio in cui si cresce come donne e come uomini. Facciamo pace e torniamo ad amare il lavoro fatto a nostra dimensione.

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Titolo: “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane
Autori: Stefano Cuzzilla, Manuela Perrone
Editore: Luiss University Press (2023)
Prezzo: 18 euro

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