Giovani: 47% ha ricevuto educazione sessuale a scuola ma web e porno preponderanti

Il porno ha un ruolo preponderante, il web è la prima fonte per reperire informazioni mentre meno della metà degli adolescenti italiani ha ricevuto un’educazione sessuale ed affettiva a scuola. Una quota che crolla al Sud e nelle Isole al 37 per cento. Il quadro che emerge dal nuovo report di Save the Children realizzato in collaborazione con Ipsos fa molto riflettere su ruolo e carenze della scuola nell’educazione sessuale ed affettiva di ragazze e ragazzi di fronte a un web che fagocita sempre più spazio nella vita degli adolescenti.

Il dialogo con i genitori e i timori dei più giovani

Qualche segnale positivo si coglie sul fronte del rapporto con i genitori:  il 75% si sente a proprio agio nel parlare di sessualità con i figli e il 68% dei ragazzi dichiara di aver avuto un’educazione sessuale in famiglia. Ma il 13% dei genitori si è dovuto confrontare con le loro relazioni “tossiche”.  L’educazione in famiglia, inoltre, resta ancora fortemente focalizzata sulla prevenzione dei rischi (64%).

Altri numeri completano un quadro preoccupante: più di un adolescente su 4 pensa (il 26%) sia frequente subire o assistere a discriminazioni a causa dell’orientamento sessuale, il 22% a discriminazioni sessiste; uno su tre circa (il 35%) a body shaming. Circa uno su sei (16%) ha avuto le prime esperienze sessuali per non sentirsi diversa o diverso. Il 24% considera la pornografia una rappresentazione realistica dell’atto sessuale.

Per la Garante serve un protocollo omogeneo su tutto il territorio

Di fronte alle cifre del rapporto di Save the Children e all’esigenza che emerge di un’educazione nelle scuole Marina Terragni, Garante per l’Infanzia, spiega ad Alleyoop che sono i tre i macro-temi da trattare: la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale;  la salute e responsabilità riproduttiva, che non insegni solo a evitare le gravidanze indesiderate ma dia anche corrette informazioni sui limiti dell’età fertile, e il rispetto e il consenso nelle relazioni, con particolare riguardo alla libertà femminile. «Si dovrebbe altresì chiarire  – dice – chi sarebbe incaricato di tenere questi corsi e attraverso quali meccanismi sarebbe selezionato, nonché delineare un protocollo omogeneo per tutto il territorio nazionale».

Il digitale risorsa principale delle informazioni

 Oggi non si può parlare di sessualità e educazione sentimentale tra adolescenti ignorando la società “on life” in cui questi giovani sono ogni giorno immersi. E d’altronde gli adolescenti di oggi rappresentano la prima generazione che vive questa situazione rispetto a quelle passate che hanno conosciuto un mondo senza smartphone o, andando indietro nel tempo, senza Internet e senza cellulari.

Non meraviglia, dunque, che gli adolescenti ricorrano principalmente al web quando cercano informazioni da soli sulla sessualità. Il 47% degli intervistati sceglie siti web e articoli online per informarsi sulle pratiche sessuali e il 57% quando vuole approfondire il tema delle infezioni sessualmente trasmissibili. Seguono, ma a grande distanza, altre fonti che includono libri o manuali scientifici per le infezioni sessualmente trasmissibili (22%) e video pornografici per le pratiche sessuali (per il 22%). Questi ultimi, sono utilizzati soprattutto dai più grandi (16-18 anni) per informarsi sulle pratiche sessuali.

Quando non cercano in autonomia, ragazze e ragazzi, per quanto riguarda le infezioni sessualmente trasmissibili, chiedono ai genitori che sono indicati come prima fonte di informazioni (46%), seguiti da amici o amiche (42%). Invece, per le pratiche sessuali, gli amici sono la fonte principale (57%), seguiti dai genitori (31%). «Il digitale rimane la risorsa principale delle informazioni su questi aspetti», ha dichiarato Antonella Inverno, responsabile ricerca e analisi dati di Save the Children.

Fermare le diseducazione tramite il porno

Oltre al web convitato di pietra, molto preoccupante per  i modelli che veicola, nella disamina dell’attuale educazione sessuale ed affettiva dei giovani: il porno. «Ogni intervento per un’educazione affettiva a sessuale di ragazze e ragazzi – prosegue Marina Terragni – rischia di essere vano se non si intraprenderanno preliminarmente iniziative contro l’accesso fin dalla più tenera età alla pornografia online e ai suoi modelli violenti, basati sulla sopraffazione e sul dominio.

Lo ha spiegato bene la musicista americana Billie Eilish, Generazione Z (la prima leva nativa digitale) in un’intervista riportata anche dai media italiani nel 2021: «Credo che il porno sia una sciagura» – ha detto – ne guardavo parecchio. Ho iniziato quando avevo qualcosa come 11 anni. Credo che mi abbia distrutto il cervello, mi sentivo devastata». «Le prime volte che ho fatto sesso non dicevo di no a cose che non mi avrebbero fatto bene», ha raccontato. «Lo facevo perché pensavo di doverne essere attratta». Il porno, ha spiegato Eilish, ha contenuti violenti, abusivi e degradanti per il corpo femminile e per le donne. E ha detto di essere ancora “sconvolta” per l’influenza negativa che i contenuti pornografici hanno avuto su di lei. Quindi la prima cosa da fare è fermare questa drammatica diseducazione».

La preponderanza della pornografia nella vita degli adolescenti italiani  è confermata dai dati di Save the Children. Per il 30% degli adolescenti intervistati è molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione che la pornografia sia un passatempo nei momenti di noia, il 29% è molto e abbastanza d’accordo sul fatto che sia un modo veloce per apprendere molte cose sul sesso, mentre il 26% è molto e abbastanza d’accordo con l’affermazione che sia utile per comprendere meglio la sessualità. Circa un adolescente su 4 (il 24%) crede che la pornografia offra una rappresentazione realistica dell’atto sessuale, per il 22% di loro è usuale condividere contenuti intimi tramite smartphone. Infine, preoccupante il dato secondo il quale il 17% degli adolescenti si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione ‘autoprodurre materiale pornografico mi aiuta a soddisfare alcune necessità economiche’.

Solo il 12% degli adolescenti è stato in consultorio

I segnali che si colgono sulle modalità di informazioni usate da ragazze e ragazzi e sul modo di costruire la loro educazione sessuale hanno probabilmente un effetto negativo anche sulla prevenzione e sulla tutela della salute. L’82% degli adolescenti non ha mai fatto un test Hiv. Tra il 16% che lo ha fatto (principalmente maschi, 20%), il 6% si è rivolto alla farmacia o ha usato un self-test, il 5% al consultorio o a un checkpoint e il 5% in ospedale. Totalmente in linea con quanto dichiarato dai figli, il 17% dei genitori ha accompagnato il proprio figlio a fare il test dell’Hiv almeno una volta.

Solo il 12% degli adolescenti è stato in un consultorio, con una percentuale leggermente maggiore tra le ragazze (15%). L’8% avrebbe voluto accedervi ma non lo ha fatto, mentre il 77% dichiara di non averne sentito il bisogno. «Serve rafforzare la rete dei consultori per rispondere alle esigenze dei territori e promuovere il benessere nell’ambito della sessualità e delle relazioni interpersonali. La legge – commenta Arianna Ugolini, assessora alla Scuola del XIII Municipio – prevede un consultorio ogni 20mila abitanti, sarebbe interessante conoscere ad esempio i dati su Roma e quanti sono realmente i consultori cittadini operanti sui territori». E sottolinea: «Il Comune di Roma ha recentemente pubblicato un avviso rivolto agli enti del terzo settore per co-progettare con le scuole percorsi diretti a costruire relazioni sane, paritarie e basate sul consenso e disinnescare tutti quegli stereotipi e discriminazioni diffuse tra gli adolescenti».

Differenze geografiche per l’educazione nelle scuole 

E veniamo al punto più dolente. I dati dimostrano che non sono garantiti pari opportunità degli studenti e delle studentesse in tutte le zone d’Italia per quanto riguarda l’educazione sessuale e affettiva a scuola: meno di 1 studente su 2 (47%) dichiara di aver ricevuto un’educazione sessuale a scuola, con un’ampia disparità territoriale. La percentuale è infatti superiore al 55% al Nord (57% nel Nord-Ovest, il 61% nel Nord-Est), mentre scende sotto il 40% al Centro (39%) e al Sud e nelle Isole (37%).

Nella maggior parte dei casi, l’educazione sessuale a scuola è stata affrontata in modo sporadico: il 44% riporta di aver partecipato a lezioni che si sono svolte solo per qualche settimana, mentre il 32% parla di un unico evento isolato di una giornata. I corsi, nella maggior parte dei casi (53%) sono tenuti da personale esterno alla scuola, seguiti da iniziative condotte da personale interno (28%) o da un mix di entrambi (15%). L’82% di chi ha partecipato a corsi di educazione sessuale a scuola li ha considerati in ogni caso utili e arricchenti.

«Per educare i giovani e le giovani a relazioni sessuali e affettive sane, prevenire comportamenti a rischio, discriminazioni e violenze, è urgente una legge che preveda l’inserimento di percorsi obbligatori di educazione all’affettività e alla sessualità, in linea con le Linee guida Unesco sulla Comprehensive Sexuality Education e gli Standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle scuole e all’interno dei piani formativi, coerentemente con l’età dei beneficiari», ha dichiarato Giorgia D’Errico, direttrice delle relazioni istituzionali di Save the Children.

Sulla stessa linea Celeste Costantino, vicepresidente di Fondazione Una Nessuna Centomila: «Noi continuiamo come Fondazione a sostenere la necessità che venga introdotta l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, dentro l’orario curriculare, dall’infanzia fino alle scuole di secondo grado. Ce n’è bisogno, e lo chiedono gli stessi ragazzi e ragazze. Lo dimostra la continua ricerca attraverso il web di risposte alle loro domande, risposte che sono spesso fuorvianti, sbagliate. E’ preoccupante anche il fatto che stiamo arretrando su alcuni segmenti, come ad esempio il tema della prevenzione rispetto a una serie di malattie e infezioni come l’Hiv, che stanno tornando tra i giovani. Oggi non viene fatta nessuna sensibilizzazione su questi temi e questo sta mettendo a repentaglio la salute della ragazze e ragazzi per una dimensione ideologica incomprensibile».

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