La trasparenza salariale diventa realtà nel 2026

Le donne in Italia guadagnano ancora il 20% in meno dei loro colleghi. I dati Inps di settimana scorsa lo hanno confermato ancora una volta. lEd è per contrastare questo divario nello stipendio, o gender pay gap, che entro l’anno prossimo (giugno 2026) i Paesi europei dovranno recepire la direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale. Un vero e proprio cambio di passo per aziende e collaboratori. Vediamo nei dettagli come e perché.

Lo snodo del gender pay gap

Il gap retributivo di genere resta «un aspetto critico», come lo ha definito l’Inps nel Rendiconto annuale di genere, dell’occupazione femminile. Perché è una penalità che comincia da neo-assunte, con contratti più precari e pagati peggio. Che si sviluppa con percorsi di crescita professionale meno lineari, a causa dei carichi di cura di cui ancora oggi sono le donne a farsi carico. Che continua con opportunità di carriera più ridotte: le donne sono il 21,1% dei dirigenti e il 32,4% dei quadri. E che si stratifica nel tempo fino ad una copertura pensionistica inferiore. Il divario di genere è il frutto di questo “percorso ad ostacoli” delle donne al lavoro, e fa sì che a parità di mansione, guadagnino in media il 20% in meno dei colleghi.

Una direttiva dirompente

Per contrastare il gender pay gap il Parlamento europeo nel 2023 ha approvato la direttiva sulla trasparenza salariale (970), che entro giugno 2026 tutti gli Stati membri dovranno adottare. «L’effetto sarà dirompente – spiega l’avvocato Ornella Patané, partner di Toffoletto De Luca Tamajo ed esperta di diritto del lavoro per le imprese – perché gli obblighi si applicheranno a tutte le aziende, senza limiti dimensionali, e tengono conto di ogni elemento fisso, variabile e complementare che compone la retribuzione di un dipendente».

In passato alcuni Paesi hanno già avviato sperimentazioni: l’Inghilterra nel 2017, con il gender pay gap reporting obbligatorio per le aziende con più di 250 dipendenti. Un anno dopo la Germania con il diritto per i collaboratori di chiedere informazioni sul proprio salario rispetto ai colleghi con pari mansioni (nelle imprese con più di 200 dipendenti, ndr). Oggi la Direttiva va oltre, con un obiettivo preciso: prevenire la mancanza di chiarezza sui livelli retributivi, quella “zona grigia” cioè che consente un trattamento differenziale tra colleghi con lo stesso ruolo e mansione. Una discrezionalità che è una zavorra per le donne al lavoro.

Informazioni chiare sullo stipendio

«Per rispettare gli obblighi comunitari – chiarisce l’avvocato Ornella Patanè – le imprese dovranno in primis verificare che i sistemi retributivi utilizzati siano basati su criteri non discriminatori, oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, e se necessario rivederli». La trasparenza salariale infatti è un requisito fondamentale e si applicherà sia in fase di assunzione che durante il rapporto di lavoro. «Sarà un cambio di paradigma nelle procedure di recruiting, perché ai candidati non si potrà più richiedere la busta paga e la loro storia salariale».

Le aziende dovranno essere anche pronte a fornire ai dipendenti che lo richiedono, dati dettagliati sulla propria retribuzione rispetto a colleghi con mansione similare. “E’ importante prepararsi, definendo già da ora il proprio sistema retributivo, di monitoraggio dei dati, oltre alle modalità e i tempi con i quali fornire le informazioni richieste”.

Se gap superiore al 5% l’azienda deve intervenire

Ma non è tutto. Dal 2027 le imprese con più di 250 dipendenti – per arrivare nel 2031 alle aziende con più di 100 dipendenti – avranno l’obbligo di rendicontazione pubblica del proprio pay gap. «In caso di immotivato divario medio retributivo di genere pari ad almeno il 5% – precisa l’avvocato Patanè – le imprese avranno l’obbligo di valutazione congiunta con le organizzazioni sindacali, con l’obiettivo di ridurre tale divario. Per questo è urgente che le imprese facciano già da ora un’analisi del proprio divario salariale e impostino piani di rimedio, per non arrivare impreparate alla scadenza».

Francia in pole position

Dopo la “retromarcia” sulla sostenibilità da parte della stessa Commissione europea con il pacchetto Omnibus, il dubbio sul futuro di questo tipo di direttive è legittimo. Ma la Francia ha già annunciato che la recepirà quest’anno e altri Paesi, come la Svezia, stanno studiando i dettagli operativi della trasparenza salariale. Resta da capire quando lo farà l’Italia, ma una cosa è certa: i margini di manovra sono stretti. L’unica discrezionalità nel recepimento è relativa alle sanzioni, che devono comunque essere «dissuasive ed efficaci».

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com

  • Anna |

    Grazie per lo spunto.
    Il divario infatti è dovuto principalmente alla parte variabile dello stipendio, dove le donne scontano minor capacità negoziale, a causa di contratti di lavoro più precari e del fatto che tendono a cambiare meno spesso lavoro. Ed è per questo che la direttiva punta a sviluppare un sistema lineare e trasparente di retribuzioni, dove questa discrezionalità sia ridotta al minimo. La stessa cosa che già succede infatti nei contratti pubblici.

  • Anna |

    Il divario salariale purtroppo esiste in Italia e non è calcolato in termini assoluti, ma a parità di ore lavorate, come nell’ultimo INPS. I dati raccolti attraverso la certificazione per la parità di genere, la PdR125:2022, calcolano poi il divario per ogni ruolo e mansione e se c’è uno scarto superiore al 10% (con la direttiva UE sarà al 5%) anche solo ad un livello, l’azienda non ottiene la certificazione. In media il divario così calcolato è ancora del 20%. Questo divario è dovuto principalmente alla parte variabile dello stipendio, dove le donne scontano minor capacità negoziale, a causa di
    contratti di lavoro più precari e al fatto che tendono a cambiare meno spesso lavoro. Ed è per questo che la direttiva punta a sviluppare un sistema lineare e trasparente di retribuzioni, dove la discrezionalità immotivata – parità di competenze – non ci sia più. E con essa il divario salariale.

  • Richard Sorge |

    Vergognosa disinformazione sessista. Sono anni che la parità salariale è legge in Italia. Le donne guadagnano meno in termini assoluti perchè lavorano (molto) meno che gli uomini, in termini di ore complessive lavorate e perchè fanno lavori meno usuranti e pericolosi. Diffondete dati sui morti sul lavoro (95% uomini) anzichè bugie tendenziose. Quando vedremo facinorosi come voi battersi per la parità di genere in mansioni come gli idraulici, i carpentieri o i manutentori delle linee ad alta tensione , o la pulizia delle fogne, allora sarete credibili. Vergogna.

  • ionut bahna |

    Cara Alley,

    Ci sono i contratti collettivi nazionali che regolamentano i salari, e li non c’è alcuna discriminazione sessuale…se la donna fa dei part-time è ovvio che guadagna di meno!!!

  Post Precedente
Post Successivo