Che la pandemia avesse colpito più duramente le donne – in termini di occupazione e sviluppo professionale – è un dato oggettivo, raccontato dai numeri e dalla loro analisi. Quello che ancora non si sa con certezza è come la crisi impatterà sulle attività di diversity & inclusion a più amplio spettro e nel prossimo futuro.
Dalla ricerca realizzata dall’alleanza internazionale Ius Laboris – con la collaborazione
per l’Italia dello studio Toffoletto De Luca Tamajo – in un’azienda su 3 (33%) a livello globale le iniziative a favore della diversità – di genere ma non solo – e di inclusione, hanno risentito “profondamente” dell’attuale congiuntura e molte di loro (30%) temono ricadute anche in futuro.
Lo studio evidenzia come l’impatto dell’emergenza Covid sia stato minore nelle aziende più grandi e strutturate rispetto alle più piccole e come tale impatto sia sensibilmente variabile tra i diversi Paesi. “Una differenza sostanziale – spiega l’avvocato Aldo Palumbo, partner di Toffoletto De Luca Tamajo, attivamente coinvolto nell’organizzazione Parks Liberi e Uguali – deriva inevitabilmente dall’organizzazione e dalla cultura aziendale. L’implementazione di policy è sicuramente agevolata nell’ambito di organizzazioni a respiro multinazionale, che hanno la forza e le capacità di diffondere e sostenere pratiche e principi virtuosi a livello globale“.
Allo stesso tempo però un’azienda su 5 è convinta che nell’arco dei prossimi 3 anni i temi legati a diversità e inclusione avranno una sempre maggiore rilevanza per il management. In parte perché la normativa su questi temi è sempre più stringente e in parte anche perché la cultura aziendale sarà un fattore competitivo per l’attrazione di nuovi talenti e di nuovi clienti. “L’Italia ha una legislazione molto articolata in tema di tutela contro le discriminazioni che trova fondamento nei principi della nostra Costituzione – spiega l’avvocata Emanuela Nespoli, partner dello Studio – e si sviluppa in una serie di provvedimenti legislativi tra i quali il codice delle Pari Opportunità del 2006. Tuttavia una normativa, per quanto all’avanguardia, non può garantire che tale approccio si rispecchi anche nella cultura aziendale e nella vita sociale del Paese, ci vuole un cambio di mentalità generalizzato”.
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