Donne e Stem in Italia: poche manager e molto preparate

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È di questi giorni la notizia della scoperta da record dell’astrofisica Ilaria Caiazzo, italiana nell’équipe di scienziati del Caltech – California Institute of Technology: grazie a un complicato sistema basato su un coro di strumenti, tra la Terra e lo spazio, dall’Europa alle Hawaii, Caiazzo ha individuato una nana bianca, ossia una stella giunta alla fine del suo ciclo vitale, la più piccola del genere mai osservata. Gli studi compiuti fra Genova, Pisa e Milano, l’astrofisica potrebbe essere considerata un cervello in fuga, per usare un’espressione abusata che infatti non ci dice molto sui moventi e le peculiarità dietro a certe scelte di vita. Di sicuro non si è ancora parlato abbastanza, e in modo sufficientemente approfondito, di cosa voglia dire studiare scienze e sognare una carriera scientifica per una donna qui in Italia.

Un dato ricorrente e che purtroppo conosciamo molto bene, è che in Italia solo il 18,9% delle laureate ha scelto discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e, nonostante le ragazze si laureino in corso e in media con voti più alti dei compagni maschi, una volta entrate nel mondo del lavoro non ottengono gli stessi risultati, in termini di occupazione e di retribuzione. Basterebbe questo a dare più profondità alla banalizzazione del cervello in fuga, ma purtroppo è solo la punta dell’iceberg, per proseguire coi clichè.

Da Valore D, associazione che riunisce oltre 260 imprese, arriva un’indagine accurata ed esaustiva sul tema,  #ValoreD4STEM. La ricerca ha coinvolto un campione di 7481 donne di 61 aziende del network, rappresentanti di 11 settori aziendali. Una raccolta dati che restituisce un’immagine del territorio nazionale, una fotografia della presenza delle donne STEM nelle organizzazioni. Un primo dato interessante è che la quasi totalità delle rispondenti (88.2%) è laureata (prevalentemente in ingegneria) e alcune di loro hanno conseguito un ulteriore titolo come un master, dottorato di ricerca oppure hanno frequentato una scuola di specializzazione post-laurea. Solo il 38% però ricopre una posizione manageriale: la maggior parte riveste un ruolo impiegatizio, ovvero il 57.8% e non gestisce né un team né un budget (59.6%). 

Gli stereotipi di genere

Uno dei numeri che più salta all’occhio è che il 66% è impegnata in una relazione, ma oltre la metà non ha figli. Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D, commenta i numeri in un’ottica generazionale: “L’ingresso delle donne nel mondo STEM è relativamente recente. Le donne STEM senza figli sono tendenzialmente giovani e quindi all’inizio del percorso professionale. È presumibile che la giovane età e il recente ingresso nel mondo lavorativo siano il motivo di questo dato”. D’altro canto il dato fa il paio con gli ultimi indicatori demografici segnalati dall’Istat, in netto calo nel nostro Paese e in controtendenza rispetto ai valori europei.

Ma se da una parte è lecito chiedersi perché in Italia facciamo sempre meno figli, dall’altro sappiamo che la risposta è estremamente complessa, soprattutto osservando le varie angolazioni del punto di vista femminile.  Ad esempio, sul work-life balance emerge nella ricerca di Valore D uno stereotipo di genere significativo. Il 19.2% delle rispondenti ritiene che per gli uomini non sia importante ricoprire un ruolo che consenta un equilibrio tra vita professionale e famiglia, mentre il 73.3% ritiene che per le donne sia importante. Le discipline Stem non sono dunque immuni agli stereotipi di genere.

Infatti, proseguendo nella lettura dei dati, scopriamo che alla base della scelta del percorso Stem, solo il 7% dichiara di aver pensato alla prospettiva di una buona remunerazione. Come a dire che un certo disincanto su carriera e retribuzioni forse è endemico. Molta più importanza viene attribuita in fase di scelta all’idea di istruzione e formazione (73.5%), ma anche all’attitudine personale (43.3%) e alla passione (35.3%) seguite dalle prospettive di carriera (21.3%) e dal desiderio di contribuire alla soluzione di problemi della società moderna (15,8%). 

C’è una certa idealizzazione dietro alla scelta che la rende ancora più coraggiosa, e per oltre il 70% delle donne con un titolo di studio STEM, l’interesse è maturato durante la scuola media e soprattutto alle scuole superiori. Ed è ovviamente la scuola stessa a giocare un ruolo molto importante nella scelta, vuoi perchè molte delle rispondenti avevano una predilezione per queste materie già sui banchi di scuola (61.9%) o un rendimento scolastico molto alto (44.7%); vuoi perchè più di un terzo aveva già intuito le prospettive lavorative che si sarebbero aperte. Ed è quindi proprio dalla scuola che si può partire per far deflagrare i bias culturali che limitano la presenza delle donne in ambito Stem.

Oltre a sensibilizzare le ragazze a interessarsi alle discipline, forse occorre lavorare anche su altro, come spiega Falcomer: “Bisogna lavorare sulla cultura che permea la società, modificando la narrazione e andando ad abbattere il pregiudizio che queste materie siano più adatte ai ragazzi che alle ragazze. Per fare ciò è necessario lavorare di concerto a partire dalla scuola, proponendo attività che avvicinino le ragazze alle materie STEM fin dalla più tenera età;  dobbiamo anche coinvolgere le famiglie con attività di informazione sulle potenzialità delle materie STEM per la realizzazione del futuro professionale delle giovani donne, e dobbiamo infine lavorare molto sui media proponendo modelli femminili che avvicinano le ragazze alla scienza”.

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