Violenza e pedopornografia, formazione e scuole aperte per superare la crisi del Covid

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L’emergenza sanitaria generata dall’epidemia di coronavirus ha avuto forti ripercussioni sul fenomeno della violenza nei confronti dei “soggetti deboli”, poiché le nuove condizioni di vita, indotte dalla normativa di contenimento della pandemia, hanno costretto le vittime di prevaricazioni nell’ambito familiare e para-familiare ad una convivenza forzata con il loro carnefice. Riflettendo sulla tipologia dei reati commessi durante il lockdown (periodo compreso tra il 21 febbraio e il 17 aprile) si è assistito ad un calo delle denunce per maltrattamenti (da 364 a 178) e in generale delle denunce dei reati commessi in famiglia, compresi i c.d. “reati spia” e cioè minacce (da 252 a 132), percosse (da 48 a 31) e lesioni (da 371 a 154) commesse nei confronti di conviventi e familiari.

Tali dati solo astrattamente appaiono incoraggianti ma di fatto hanno rappresentato un campanello d’allarme. Infatti, la diminuzione delle denunce non è stata causata da una ritrovata pace familiare, bensì legata a un atteggiamento di paura delle vittime, dovuto alla situazione di convivenza forzata ed isolata con la persona maltrattante che esercitando una pressione psicologica sulla persona offesa ne ha coartato la volontà di chiedere aiuto. A ciò si aggiunga che i soggetti affetti da problemi comportamentali gravi (es. schizofrenici e tossicodipendenti) in mancanza di cure hanno sensibilmente peggiorato la loro patologia, diventando ancora più aggressivi nei confronti delle persone più fragili, compagni e genitori anziani.

La coercizione in casa ha determinato, per giunta, una crescita esponenziale dei delitti di pedopornografia e adescamento di minori, perpetrati soprattutto utilizzando la rete internet e in particolare tramite l’impiego delle piattaforme di messaggistica istantanea (Telegram, WhatsApp) e dei social network (Instagram, TikTok), sintomatica anche della mancanza di un controllo attento sul bambino da parte delle famiglie. Emblematico il noto caso del pedofilo adescatore di Lodi che è stato condannato con sentenza del 6 ottobre del 2020 a diciannove anni di reclusione. Di recente, indagini della procura di Milano hanno portato a centinaia di sequestri di materiale pedopornografico e ad oltre dieci arresti in tutta Italia.

Per converso, nella fase immediatamente successiva al lockdown si è assistito ad un aumento delle denunce per abbandono di minore. Ciò evidenzia un’altra situazione di disagio, i genitori avendo ripreso l’attività lavorativa e a causa della sospensione dell’attività scolastica in presenza, lasciano i bambini incustoditi nelle proprie abitazioni o li affidano a persone non idonee accettando una eventuale situazione di pericolo.

Per il futuro lascia ben sperare l’atteggiamento, sempre più frequente, di chi denuncia compagni e figli conviventi maltrattanti. Ne è prova il sensibile aumento ad oggi delle denunce. Anche dal punto di vista dei reati di adescamento dei minori mediante social network sono sempre più numerosi i genitori che si accorgono del malintenzionato e lo denunciano, così consentendo alla Polizia di intervenire in tempo utile. Anche il ruolo dei mass media, che dedicano sempre più attenzione alle problematiche in esame, ha avuto una parte importante per sensibilizzare le vittime sulla necessità di difendersi e i genitori nel monitorare i contatti dei figli sui cellulari e computer.

L’ulteriore riflessione che va fatta è quella per cui, in un contesto tendenzialmente vittimo-centrico, queste ultime devono essere ancor di più tenute al riparo dalla cosiddetta vittimizzazione secondaria, ossia dal patimento di un nuovo e successivo trauma indotto dal processo stesso, inevitabilmente connesso alla riedizione del ricordo. Il potenziamento dei centri antiviolenza e di tutti quei servizi che operano nel campo della prevenzione e del contrasto alla violenza di genere devono, sempre più, assumere un ruolo di supporto e di accompagnamento delle vittime sin dalle prime fasi del procedimento.

Le persone offese non vanno e non devono essere lasciate sole. Si auspica, ancora, un incremento dei corsi di formazione rivolti a tutti quei soggetti che, oltre alle forze di polizia, entrano in contatto e supportano coloro i quali sono vittime di violenza: medici di medicina generale, reti consolari, operatrici dei centri antiviolenza e delle case rifugio, psicologi che lavorano nel settore sia pubblico (ATS, Comuni, Piani di zona ecc.), sia privato, assistenti sociali, operatori del terzo settore e dell’associazionismo sportivo e giovanile, professionisti dell’informazione. Tale formazione dovrà essere continua e multidisciplinare e dovrà riguardare sia un approfondimento circa l’entità e le caratteristiche del fenomeno della violenza di genere (che muta con l’evolversi dei tempi) e sia una diffusione della consapevolezza delle responsabilità di ruolo rispetto alla conoscenza di fenomeni di violenza di genere.

E’ importante, inoltre, il ruolo dei magistrati e in particolare della Procura, poiché i Pubblici Ministeri applicando il Codice Rosso e le Linee Guida intervengono immediatamente anche nelle segnalazioni nelle denunce dei cosiddetti reati spia, cioè di quei reati che destano un modesto allarme sociale (come le percosse, le minacce o le lesioni lievi) ma che possono rappresentare un campanello d’allarme dei più gravi fatti di maltrattamenti e abuso. Intervenire in una fase iniziale, permette di interrompere il “ciclo della violenza”, evitando esiti fatali, come il femminicidio.

Emblematica a riguardo la sentenza “Talpis” della Corte EDU 2.03.2017 che ha condannato l’Italia per la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di pene o trattamenti inumani e degradanti), 8 (diritto alla vita privata e familiare), 13 (diritto a un ricorso effettivo) e 14 (divieto di discriminazione) della CEDU, proprio per l’inerzia degli operatori di giustizia a fronte di gravi situazioni di pericolo che facevano presagire, data la violenza dell’uomo, un esito drammatico. Nel caso di specie è stato ucciso il figlio della denunciante che ha salvato la madre dalla violenza del compagno.

Per quanto riguarda la prevenzione ai reati di pedopornografia gli obiettivi da raggiungere sono, da un lato, un miglioramento del rapporto e del dialogo genitori-figli, in modo tale da far sì che ci sia più fiducia e confidenza dei bambini-ragazzi nei riguardi degli adulti, i quali svolgono una funzione protettiva nei loro confronti e, dall’altro, un sempre maggior coinvolgimento degli insegnanti nell’attività di prevenzione dei reati di adescamento dei minori via internet. In tal senso fa ben sperare l’avvenuta riapertura degli istituti scolastici. Non a caso i peggiori fatti di adescamento via internet si verificano nel periodo di chiusura delle scuole, quando i giovani sono lasciati a se stessi, senza un impegno formativo. Tant’è vero che, numerose forme di adescamento, sono state sventate o comunque portate alla luce proprio dagli insegnanti e dagli educatori.