Un anno senza teatro, quando torneremo in scena?

kyle-head-p6rntdapbuk-unsplash

Il 23 febbraio 2020, esattamente un anno fa, i teatri sono stati chiusi.

Da un momento all’altro tutti i nostri contratti sono stati annullati, gli spettacoli bloccati, le tournée cancellate. Sono avvenute cose ben peggiori ovviamente, ma qui si vuole solo aggiungere una voce al quadro sul quale è disegnata la nostra esperienza collettiva. Quello che accade agli altri in qualche maniera ci riguarda sempre, anche quando sembra che non ci riguardi affatto.

La pandemia è stata una gigantesca cartina tornasole sul mondo, in grado di rivelare quello che di solito resta nascosto. Quindi in quel febbraio 2020 le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo hanno scoperto innanzitutto di abitare un mondo quasi completamente privo di tutele. Parlo in particolare del personale artistico e delle maestranze la cui attività è regolata da contratti a termine, che durano di solito qualche mese, il tempo di uno spettacolo. Saltati contratti, l’annullamento dei quali dava di-ritto a un risarcimento di poco più di dodici giorni di lavoro, nessuno di noi aveva idea di come sarebbe sopravvissuto.

spinoNello spazio che si è venuto a creare è stata quindi rimessa al centro la parola lavoro e la parola diritti. Sono nate improvvisamente collecting e associazioni di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo (Amleta, A2U, Unita e tante altre). E questo è un fatto, perché la nostra categoria è da sempre molto frammentata e poco consapevole. Da questa pandemia ne è uscita come trasformata. L’impressione è che questo movimento sia destinato a durare.

E’ servito a qualcosa? Sì. All’inizio della pandemia il comparto spettacolo non veniva neanche nominato, adesso tutti sanno che si tratta di uno dei settori che sta soffrendo di più. Sono stati ottenuti dei bonus e dei ristori, che per quanto insufficienti e poco puntuali, ci hanno comunque permesso di sopravvivere.

A giugno i teatri si sono fatti trovare preparatissimi alla riapertura al pubblico. Sono stati scelti gli spettacoli che permettevano anche sul palcoscenico il massimo rispetto dei protocolli Covid, preferibilmente monologhi o spettacoli con poche attrici e attori, che potevano rimanere ben distanziati durante le recite. Le sale avevano una capienza ridotta, a volte meno del 50 %, il pubblico era distanziato e doveva mantenere la mascherina indossata anche durante tutto lo spettacolo. I teatri avevano rilevatori della temperatura all’entrata, segnaletica e percorsi obbligati che tenevano ben distanziato il pubblico anche nel momento in cui doveva raggiungere la sala, gel disinfettanti ovunque.

Le biglietterie erano state chiuse, i biglietti potevano essere acquistati soltanto on line per evitare di creare assembramenti al botteghino e permettere i tracciamenti degli spettatori. I dati in nostro possesso, raccolti da Agis dal giorno della riapertura il 15 giugno e resi noti i primi di ottobre, ci dicono che su quasi 3000 spettacoli e un movimento di circa 350 mila tra spettatrici e spettatori si sia registrato un solo caso di contagio Covid. Subito dopo la pubblicazione di questi dati che dimostravano che le sale teatrali erano allestite in modo da essere uno dei luoghi più sicuri al mondo, a fine ottobre i teatri sono stati chiusi di nuovo.

spino2Siamo a febbraio. Si sta riaprendo tutto; ristoranti, musei, piste da sci. Perché i teatri restano chiusi? La domanda non è provocatoria. Chi fa cultura non può negare la scienza, l’emergenza sanitaria, il virus. I dati ci orientano. Però devono farlo sempre, non in maniera incoerente o incomprensibile.

Il mondo dello spettacolo produce reddito, produce indotto, produce lavoro, muove economia. Ma non solo. Ora che il concetto di immunità di gregge è entrato a far parte del nostro immaginario sarebbe bello che si cominciasse ad applicarlo non solo in riferimento al nostro corpo. Anche la cultura infatti sviluppa anticorpi, sviluppa resistenze, è in grado di generare buona salute. Prima su un piano individuale e poi collettivo. Mi spingerei a dire che il livello di sviluppo di un Paese si misura in maniera direttamente proporzionale al rispetto che ha della cultura e delle sue artiste e dei suoi arti-sti.