Soffitto di cristallo, la politica arriva in ritardo rispetto al cambiamento nella società

Man and woman shaking hands, close up

Vorrei dire una cosa controcorrente sulla premier Giorgia Meloni, il tetto di cristallo e le donne al lavoro e al potere. E lo dico da figlio di una ragazza entrata nel 1954 a lavorare in una multinazionale statunitense, la Colgate Palmolive, e che è andata in pensione nel 1996 dirigente della Fiera di Milano. Per me è sempre stato normale che un uomo cucinasse, facesse la spesa, cambiasse i pannolini ai figli, giocasse con i bambini per terra, perché prima di me così aveva fatto mio padre. Per lui tutto ciò, forse, non è stato semplicissimo negli anni sessanta (all’epoca la legge indicava in lui il “capofamiglia” e la moglie gli era soggetta in molte circostanze). Ma non ricordo un episodio in cui lui si sia lamentato della condizione di “marito di donna che lavora” e che al lavoro viene apprezzata per la sua professionalità (e io ho buona memoria).

Ciò detto, ben venga che una donna sia capo del governo. Ma la vera notizia è che lo sia diventata solo ora: solo ora la politica si allinea a un Paese che è già molto più avanti dei suoi rituali, così come solo ora una donna è alla guida un partito politico. Solo di recente le donne hanno ottenuto ruoli di responsabilità in aziende, nella pubblica amministrazione e nei contesti associativi per i propri meriti, anche se di sicuro le “quote rosa” offrono uno spazio erroneamente precluso loro in precedenza. Solo ora si certifica come sia stato infranto il soffitto di cristallo. Ma se ciò è stato possibile – in pesante e colpevole ritardo – è perché è ormai clamorosamente normale tutto ciò: è normale per un padre andare ai colloqui dei professori dei figli, per un uomo è normale guadagnare meno della propria compagna o moglie, è normale ascoltare e condividere, invece che pretendere di avere l’ultima parola. Ed è normale da tempo, per me da sempre (e non sono proprio giovane).

Quindi bene la simbologia delle conquiste delle donne, nei luoghi decisionali, nelle imprese, tra i decisori e i regulator, ma non scambiamo i simboli per il tutto. Credo che la più grande conquista per l’eguaglianza di genere sia rendere definitivamente chiaro che è normale per le bambine studiare materie scientifiche, è normale prendere decisioni che riguardano anche gli uomini, è normale essere apprezzate non perché donne, non perché femminili, non perché piacevoli o aggraziate, ma per la professionalità, le capacità, la competenza che si è in grado di esprimere nei contesti.

Perché – rivelo un non segreto – essere donna non basta: non basta, anzi, è un autogol scimmiottare gli uomini per affermarsi come donna (la pessima terminologia di “avere le palle”), così come a Liz Truss non è bastato essere donna e scegliere un ministro dell’economia di origine africana (Kwasi Kwarteng) per esprimere una politica economica migliore delle altre. Il caso inglese del governo Truss/Kwarteng è l’emblema di come la diversity – quand’è di facciata – possa fare danni, tanto se non più di un atteggiamento vietamente patriarcale.

Non ho mai pensato di essere né mi sono proposto come un modello per gli altri, ma vi assicuro che è piacevole essere normale: è normale essere parte di una coppia e non il “capo di un’altra”, è piacevole condividere i successi propri con una persona di cui condividere i successi, così come è confortante anche il contrario: condividere le sconfitte e le difficoltà. Quel che è anormale sono gli stereotipi dell’uomo che lavora e porta a casa lo stipendio dove l’attende la moglie che gli compiace; ciò che non è normale è il brandire tradizione (quale? quella dell’antica Roma in cui l’omosessualità era quella sì normale, quella della Chiesa prima dell’introduzione del celibato dei preti?) come strumento per dividere il bene e il male, i buoni dai cattivi.

La normalità vince perché include e spinge l’evoluzione: perché quel che più conta è che la normale parità dei ruoli in qualsiasi coppia costituisce una vera ricchezza in termini di motivazione, responsabilità, capacità di assumersi responsabilità che si trasmette ai figli. Così come è già accaduto negli ultimi decenni, non solo a me ma anche a milioni di altri uomini. Quindi, mettiamo da parte la simbologia e la retorica, smettiamola di guardare gli ostacoli, perché si possono superare, e piuttosto guardiamo al cammino, che ha molto da offrirci.

  • Annalisa Valsasina |

    Sarebbe davvero bello che tutto quanto lei scrive fosse normale o usuale e frequente, parole che preferisco. Ma purtroppo la realtà italiana non è ancora così, pur assistendo ad un’evoluzione in corso. Che lei sia cresciuto in una famiglia in cui i carichi professionali e di cura erano equidistribuiti è una cosa positiva e probabilmente le hanno permesso di fare altrettanto con la sua compagna. L’esperienza individuale tuttavia non fa statistica e ancora oggi tutto quello che lei cita come normale non lo è per niente in molte coppie, famiglie e aziende. I dati parlano chiaro , dentro e fuori dal mondo del lavoro. Se quindi le sue parole sono in inviti a far diventare tutti questi completamente maschili come diffusi ben venga, ma se descrive la realtà di oggi mi pare ben lontano da quanto i numeri e le statistiche dicono . Di protesta e cambiamento c’è’ ancora bisogno.

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