Il caso Elisabetta Franchi, perché non ce la prendiamo con chi non cambia il Paese?

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Elisabetta Franchi ha detto quello che diversi imprenditori e manager pensano. Questo ha avuto l’effetto di uno shock culturale estremamente sano, come se qualcuno avesse mostrato l’elefante nella stanza. C’era, c’è, inutile nascondersi dietro a un dito. Anzi, ascoltiamola e riascoltiamola: ha detto quel che pensa, che ha imparato grazie alla cultura di questo Paese.

Questa rabbia e questa indignazione, che tanto facilmente si accendono davanti a una persona come in questo caso, andrebbero rivolte però ai governi che in questi 50 anni non hanno mai ritenuto il tema del lavoro femminile abbastanza prioritario da dedicarvi le risorse necessarie.  Ai comitati, ai partiti, ai decisori che ne hanno a volte parlato, ma alla fine hanno sempre deliberato che ci fosse qualcosa di più urgente e di più importante, di cui occuparsi “prima”. Ad alcuni media e a tutti gli attori che influenzano la cultura del nostro Paese e continuano a rappresentare maternità e lavoro in modo parziale, vignettistico, stereotipato, senza dare spazio alla narrazione molto più articolata, ricca e difficile che rappresenta oggi per tutti noi la sfida di vivere, lavorare e avere una famiglia. All’eccesso di semplificazione che porta a privilegiare spiegazioni e soluzioni semplici e di breve termine, quando ci sono questioni che richiedono un approccio più ampio, serio e di lungo termine, richiedono una vera volontà, e se questa non c’è si vede e si paga con i dati storici. I dati storici dell’Italia sul tema dell’occupazione femminile fanno paura, e non ci sono seri segnali di ripresa. Ci sono invece investimenti civetta e tanti eventi, tanti titoli e picchi di indignazione quando qualcuno scivola sulla verità.

Ci stiamo perdendo tutti

Jung la chiamava l’ombra: è quell’aspetto degli altri che ci urta profondamente perché riflette una parte di noi che non vorremmo vedere. Le donne non vengono assunte semplicemente perché potrebbero avere dei figli. Le donne non fanno carriera perché potrebbero assentarsi. Gli uomini potrebbero e forse vorrebbero fare altrettanto, ma la cultura di questo Paese non glielo consente: l’ufficio 24/7 e la carriera a tutti i costi sono la “loro” condanna. E’ una croce uncinata in cui non vince nessuno. Il sistema si è organizzato per essere sostenibile e le soluzioni esistenti, di cui fa parte la mancata carriera delle donne, ostacolano l’esigenza di soluzioni più eque.

Il sistema non esplode perché ha un suo equilibrio, insomma, e qualcuno ne sta pagando il prezzo. Le donne? Non solo loro, ma la società tutta. Il nostro Paese, vergognosamente arretrato, con la sua 114° posizione nel mondo per partecipazione economica delle donne. Sì, l’Italia è al 114 posto nel Gender Gap Report del World Economic Forum del 2021 per quanto riguarda l’indicatore della partecipazione e opportunità economica femminili; giusto per farsi un’idea, l’ultima posizione è la numero 156, non molto più giù, ed è occupata dall’Afghanistan. Poi possiamo organizzare convegni, invitare donne imprenditrici di successo e chiedere loro, dopo che hanno fatto il doppio della fatica per arrivare dove sono, di essere anche virtuose e raccontarci il mondo come lo vorremmo vedere. Ma allora dovremmo chiedere lo stesso, e anche di più, a tutti gli uomini imprenditori di successo, e con loro indignarci doppiamente se non si fanno paladini di un cambiamento che per primi non hanno rappresentato.
Chi ha successo oggi, ha avuto successo nel sistema esistente. E’ stato da questo sistema sfidato e selezionato, ed è in questo sistema che ha prevalso. Se una donna, oltre a essere donna, prova a cambiare il sistema, rischia di perdere contro il sistema. Immaginate di gareggiare in uno sport che non è il vostro e contestualmente provare a convincere gli arbitri a cambiare le regole.

Elisabetta Franchi ha detto quel che pensa. Il suo pensiero è “legittimato” dal Paese in cui viviamo: dalle nostre regole e dalla nostra cultura. Il suo pensiero e moltissimi altri simili corrono sullo sfondo: sono come l’aria che respiriamo, invisibili per la maggior parte del tempo e solo a tratti così chiaramente inquinati da far partire qualche allarme. Poi capita qualcuno che ce li fa vedere, dando un nome alle cose. Se ogni giorno facessimo le stesse domande fatte a lei a ogni imprenditore su ogni palco, ecco che la storia comincerebbe a essere più completa e veritiera. Guarderemmo in faccia questo Paese in cui le donne non lavorano e non fanno carriera e in cui nascono sempre meno bambini.

Ma, ancora una volta, quali sono le streghe a cui dare la caccia? Gli imprenditori? Le imprenditrici? O delle leggi ferme agli anni ’70, che scolpiscono nella pietra una cultura che non evolve col tempo? E, se vogliamo prendercela con i governi, che le soluzioni le conoscono tutte ma non hanno mai abbastanza incentivi per metterle in moto, allora facciamoci una domanda, care amiche mie indignate: quei governi, lì, chi ce li mette? Chi è che ha deciso di farsi stare bene che in Italia le donne contino meno?

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  • Monica D'Ascenzo |

    Gentile Luisa, cercando di interpretare il suo commento, vado al di là della sua lecita opinione e vengo alla domanda. L’autrice del post si chiama realmente Riccarda Zezza ed è un’imprenditrice. Le sarà facile risalire al suo curriculum cliccando sul nome nel sito di Alley Oop, oppure digitando nome e cognome in un qualunque motore di ricerca. Su Alley Oop non si usano pseudonimi, ognuno firma le proprie opinioni con il proprio nome e cognome. Cordiali saluti

  • Luisa Gentilini |

    Articolo mediocre, ipocrita e superficiale. Se questa è la voce del primo giornale economico italiano non mi meraviglia che il nostro prese sia al punto (basso) in cui è. E almeno si dirmi con il suo vero nome senza nascondersi dietro uno pseudonimo.

  • Tânia Berni |

    Complimenti per questo bellissimo e profondo articolo è stato il primo che ho letto che parla delle cose come stanno con una profonda riflessione del sistema di ieri , di oggi è purtroppo di domani per i nostri figli.
    Per fortuna che abbiamo persone con cultura , eleganza e gentilezza per affrontaree scrivere sul un argomento che ha fatto stupore a una realtà già normale nella nostra società.
    Brava

  • Cristina Mecci |

    Inoltre sarebbero onerosi investimenti e finanziamenti verso tutto il welfare che le donne rimaste in casa rappresentano

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