Se i crimini di guerra restano impuniti. L’allarme di Amnesty International

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Lo scorso 2 marzo, la Corte Penale Internazionale ha ufficialmente avviato un’indagine per i crimini di guerra commessi dalla Russia durante l’invasione dell’Ucraina. Il governo russo, dal canto suo, non ha inviato nessun rappresentante alla prima udienza all’Aja. 

Procede intanto il lavoro di raccolta delle prove di abusi, iniziato già il 28 febbraio, che non riguarda solo i crimini di guerra nel territorio ucraino sotto assedio, ma anche la popolazione russa. Amnesty International ha denunciato infatti la campagna che vede coinvolte le autorità russe contro il giornalismo indipendente, contro il movimento pacifista e in generale contro le voci dissidenti. Abbiamo incontrato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, per comprendere meglio qual è la situazione umanitaria nei territori coinvolti in questo drammatico conflitto. 

Cosa sappiamo degli arresti e degli interventi contro i cittadini russi che protestano in queste ore? 

Non è la prima volta che ci sono arresti di massa: al momento il numero delle persone arrestate ha anche superato i 14mila. Normalmente si procede con imputazioni di natura amministrativa, come teppismo, vandalismo, manifestazione non autorizzata, con sanzioni che prevedono un breve periodo di detenzione. La situazione ora è complicata perché se dal 24 febbraio all’inizio di marzo gli arresti sono avvenuti sulla base delle normative vigenti, da marzo sono entrate in vigore nuove norme che vietano l’espressione di parole come guerra, perché causerebbero discredito verso le forze armate, e possono portare a condanne fino a 15 anni. Sappiamo che le persone arrestate subiscono offese di varia natura: pestaggi, condizioni di sovraffollamento e trattamenti punitivi, con un rischio ancora più elevato per la situazione militarizzata. Ci sono anche misure extragiudiziarie, punizioni pure e semplici, come già abbiamo visto accadere in Bielorussia. 

L’esercito russo sta seguendo in Ucraina gli stessi schemi utilizzati in Siria e Cecenia. Quali sono i crimini di guerra riscontrati da Amnesty nel corso dell’offensiva russa in Ucraina?

Anzitutto gli attacchi indiscriminati verso gli obiettivi civili, in taluni casi si stanno utilizzando anche armi imprecise che possono mancare di mezzo chilometro i bersagli, e questa non è un’attenuante: dal punto di vista giuridico non cambia. In almeno un caso sono state usate armi vietate dal diritto internazionale come le bombe a grappolo. 

Da un punto di vista strettamente legale, le bombe a grappolo possono essere utilizzate dalla Russia, dato che non ha firmato la convenzione di Oslo che le vieta?

Che scelgano di usarle sostenendo di non essere vincolati è una valutazione politica: c’è un tale consenso a livello internazionale rispetto al divieto di produzione, stoccaggio, uso e vendita di bombe a grappolo, che è difficile sostenere che non ci sia una norma di diritto consuetudinario che renda questo divieto cogente per chiunque.  

La situazione adesso dunque è quella dell’assedio e dello sfiancamento della popolazione. C’è stato un errore di valutazione rispetto all’ipotesi che si sarebbe trattato di una guerra lampo?

C’è stato un errore di valutazione da parte della Russia, e un errore di sottovalutazione da parte nostra sul disegno che aveva in mente Putin. Fino al 20 febbraio il pensiero diffuso era che una guerra non fosse possibile. Ora c’è una situazione eccezionale in cui sono importanti le azioni degli Stati dal punto di vista dell’aiuto, dell’accoglienza. Noi pretendiamo che le agenzie umanitarie dell’Onu non siano ostacolate e abbiano accesso a tutti coloro che sono in necessità.

Quali sono le condizioni dei corridoi umanitari al momento? Sono sicuri? Che notizie abbiamo?

I profughi che stanno attraversando adesso i confini sono quelli che si sono mossi per primi e arrivano da ovest, ovvero da zone ancora non direttamente toccate dai bombardamenti. Nelle zone a sud est parlare di corridoi umanitari non ha senso, perchè le città bombardate sono sotto assedio, non ci sono osservatori internazionali, non c’è una tregua che regga per consentire di evacuare in modo sicuro. Oltretutto la proposta russa di portare persone attraverso corridoi umanitari in zone dell’Ucraina controllate dalla Russia o nella Russia stessa o in Bielorussia, non sono praticabili perché non è garantita la sicurezza.

Dall’Ucraina, nei prossimi mesi, arriveranno milioni di profughi. È una sfida per l’Unione europea, le istituzioni sono pronte ad affrontarla?

Le premesse sembrano buone: per la prima volta dal 2001 c’è stata l’attivazione della direttiva sulla protezione umanitaria, è stato fatto quello che andava fatto. Certo occorre che l’accoglienza sia sostenibile, di lungo periodo e organizzata, bisogna evitare l’approccio volontario. E poi bisogna considerare che c’è uno scenario preoccupante con uno Stato in difficoltà, la Moldavia. Non è uno Stato dell’Unione Europea, ma bisogna prendere atto che non può gestire da solo questa emergenza. Sarebbe importante destinare delle risorse considerandola alla pari degli Stati Ue che stanno accogliendo. 

Rispetto agli aiuti e alle armi che stanno arrivando in Ucraina da parte dell’Occidente e dell’Ue, che scenari aprono?

È possibile che l’afflusso di armi riduca le violazioni dei diritti umani, ma è possibile anche che le aumenti. Abbiamo fatto presente che c’è una posizione comune dell’Ue, la 944 del 2008 (norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari, ndr) secondo cui prima di inviare armi a uno Stato non membro, la valutazione del rischio va fatta da 2 punti di vista: il rischio che queste armi vadano ad aumentare le violazioni dei diritti umani e il rischio che finiscano nelle mani sbagliate. Che non è solo un problema di triangolazione in questo caso: se il presidente ucraino ha invitato la popolazione a imbracciare le armi, queste potrebbero finire in mani inesperte, inoltre una volta che circolano in un Paese le armi poi è difficile mantenere il controllo. La preoccupazione che abbiamo è che questa valutazione nella fretta non sia stata fatta, manca trasparenza.

Il Wall Street Journal ha scritto che le dinamiche potrebbero cambiare solo se Putin perdesse il potere e ci fosse una nuova leadership russa che decidesse di consegnarlo alla Corte penale internazionale, o anche di istituire un tribunale ad hoc che giudichi i crimini internazionali. In caso di sconfitta e cambio di regime in Russia si aprirebbe anche la possibilità di stabilire un tribunale internazionale come quello di Norimberga. 

C’è una possibilità che Putin venga processato?

Per cominciare dobbiamo distinguere, ci sono due percorsi di giustizia internazionale attivi. Il primo è quello della Corte di Giustizia Internazionale che dirime le controversie tra Stato e Stato, Ucraina e Russia in questo caso. L’Ucraina ha presentato un ricorso ai sensi della convenzione del ‘48 sul genocidio, che dovrebbe servire dal punto di vista tattico a far pronunciare un ordine provvisorio per sospendere l’operazione militare. Il secondo è quello del Tribunale penale internazionale permanente, istituito a Roma nel ‘98, che ha avviato un’indagine. La Russia si è ritirata dallo statuto e non è vincolata, ma l’indagine si basa sul fatto che l’Ucraina nel 2015 ha riconosciuto la competenza di questo tribunale a giudicare crimini commessi sul suo territorio nel 2014. Quindi il procuratore sta indagando sui crimini commessi in territorio ucraino anche da cittadini non ucraini.

In entrambi i casi la corte fa delle pronunce, non emette sentenze giudiziarie. È quello che è successo nei Balcani negli anni ‘90, quando la Croazia ha denunciato la Serbia per il crimine di aggressione. Ma il  Tribunale penale internazionale giudica le responsabilità individuali e personali, e potrebbe arrivare a un mandato di cattura, anche di Putin, quantomeno per le imputazioni dei crimini di guerra. È difficile, ma la cosa importante è che quando finirà questa maledetta guerra non cominci il dopoguerra delle impunità. Tra le varie ragioni per cui una guerra inizia, c’è anche il fatto che nella guerra precedente ha dominato l’impunità. Per la Russia basti pensare alla Siria, alla Cecenia, alla Georgia. I percorsi di giustizia internazionale sono importanti proprio per il ruolo che svolgono nel non far prevalere l’impunità. 

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