Pangea: “Al lavoro per riaprire a Kabul, il nostro Stato aiuti le donne afghane”

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Pangea, organizzazione no profit da 20 anni a Kabul, lavora già per riaprire l’ufficio in Afghanistan per stare al fianco delle donne, l’anello più debole della società. Una volta messo in sicurezza in Italia lo staff afghano e avviate le azioni per seguire i profughi giunti nel nostro Paese, l’associazione lancia inoltre un appello al nostro governo, alle nostre istituzioni affinché si pensi ad aiutare le donne afghane che vogliono fuggire con appositi corridoi umanitari, laici, di genere.

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Gli uomini – racconta la vicepresidente Simona Lanzoni  – hanno più possibilità di scappare e quindi servono corridoi specifici per le donne per le quali è molto più difficile imbarcarsi da sole o cercare strade via terra. Occorrono ponti aerei, corridoi umanitari, per permettere anche alle donne di andarsene e, una volta formate, educate, magari rientrare in un Afghanistan diverso”. Le donne, incalza Lanzoni, “non possono più essere trattate come animali, come merce.  Non basta lo slogan ‘prima le donne’ quando queste rappresentano gli ultimi degli ultimi. Basta slogan, chiediamo allo Stato italiano e a tutti gli Stati di dare priorità massima alle donne che vogliono uscire dall’Afghanistan e di agire al fine di permettere una vita dignitosa per le donne in Afghanistan”.

305 persone in salvo in Italia: storie di ricongiungimenti e tanti bambini piccoli in arrivo

Nei giorni scorsi lo staff di Pangea è stato messo tutto in sicurezza: grazie a un lungo lavoro senza sosta le donne e gli uomini che lavoravano con l’associazione in Afghanistan sono in salvo. Tre bambini, ad esempio, sono riusciti a ricongiungersi col padre che già viveva in Italia.  E ora? Che cosa ne sarà dei profughi – ci sono anche tanti bambini piccolissimi – arrivati nel nostro Paese nella maggior parte dei casi senza una valigia, senza effetti personali, senza indumenti, senza nulla?

Innanzitutto, spiega Simona Lanzoni, i profughi sostano nei Covid hotel per accertare che non abbiano il virus. Poi saranno accolti nella rete Sai (Sistema assistenza integrazione), quindi sarà fatta richiesta di asilo. “Noi – dice – stiamo cercando di seguirli, sono stati accolti in Regioni differenti, dalla Calabria al Trentino, a seconda delle disponibilità”.  Inoltre “nei prossimi giorni cercheremo di capire qual è il progetto migratorio e per chi ha famiglie in altri Paesi cercheremo di facilitare il ricongiungimento”.

Tra donne e uomini che lavoravano con l’associazione, messe in sicurezza, ci sono 305 persone, senza contare gli appartenenti ad altre realtà a cui Pangea ha dato un aiuto. “C’è un grosso lavoro da fare; si tratta di persone che hanno lasciato tutto, la famiglia, il lavoro, spesso c’è anche la volontà di ricominciare. Noi intendiamo provvedere a tutto, la Fondazione Pangea coprirà le spese dove c’è bisogno. L’Afghanistan fa parte della nostra storia. Fortunatamente la solidarietà si è mossa. Ne stiamo vedendo tanta quanta non ce n’era da 20 anni, da quanto cioè tutti i riflettori del mondo erano puntati sull’Afghanistan. C’è gente che ha mandato vestiti, soldi, ci sono persone che hanno anche dato la disponibilità a ospitare i profughi, la difficoltà è quella di coordinare tutto. Stiamo cercando di allargare la rete e lavorare in rete per ottenere i risultati migliori”.

Il difficile rientro e l’importante ruolo delle istituzioni italiane

Il rientro in Italia non è stato facile: “E’ stato – racconta Lanzoni –  molto difficoltoso organizzarlo, ma lo staff afghano è stato eccezionale, supportato dagli italiani che sono stati presenti in aeroporto, dal console e dai militari” che ora sono rientrati e hanno concluso la loro ventennale missione a Kabul. “C’è stata una signora – racconta Lanzoni – che si è sentita male in aeroporto, il console Claudi è andato a trovarla, un medico è riuscito a farla riprendere. Ci sono state situazioni e condizioni di stress emotivo. In questo contesto abbiamo dato priorità alle donne con i bambini, poi agli uomini che accompagnano le donne o che hanno servito la missione di Pangea”.

 “Pensiamo a come tornare a Kabul”

Pangea è stata presente a Kabul con progetti  sul fronte del microcredito, dell’alfabetizzazione, della lotta violenza sulle donne. “Abbiamo dovuto distruggere tutta la documentazione, tutto l’archivio dei beneficiari. Le carte sono state bruciate, sono stati eliminati i computer” . Tutto ciò per salvaguardare le donne e gli uomini che hanno beneficiato della missione.  Sono, infatti, particolarmente sotto il tiro dei talebani quelle associazioni che si sono occupate di diritti civili, mentre vengono meglio tollerate quelle, ad esempio, che si occupano di portare aiuti sanitari. Tuttavia, l’associazione si sta già organizzando per tornare operativa in Afghanistan.  “Stiamo pensando a come riattivare l’ufficio in Afghanistan sia per proteggere le donne che non sono riuscire a fuggire sia per ridar vita ad alcune attività , stiamo cercando di capire che cosa è possibile fare in questa situazione in veloce evoluzione”, conclude la vicepresidente di Pangea.

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  • gloria |

    L’aiuto è necessaqrio e su questo non ci piove. L’Italia subito si è attivata e con ottimi risultati, ma gli altri Paesi???C’è bisogno di una collaborazione mondiale, solo così si riesce a concretizzare un buon intervento di assistenxa e non solo di promozione di benessere psicofisico non pro tempore ma prolungato nel tempo.

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