Le donne senza figli guadagnano di più delle mamme. Non è un pettegolezzo da macchina del caffé, è un dato di fatto. Se ce ne fosse stato bisogno a ricordarcelo è stato il presidente dell’Inps Pasquale Tridico: i salari settimanali delle donne che hanno avuto figli rispetto alle lavoratrici che non ne hanno avuti “crescono del 6% in meno, le settimane lavorate in meno sono circa 11 all’anno e l’aumento della percentuale di madri con contratti part-time è quasi triplo rispetto a quello delle donne senza figli“.
Chi non ha mai sentito una collega senza figli lamentarsi del fatto che le mamme si assentano: per la malattia del bambino, per coprire i giorni di scuole chiuse durante le festività, per vaccinazioni o visite mediche e anche per assemblee scolastiche, recite di natale e fine anno e colloqui con gli insegnanti. Già si assentano, ma i giorni di ferie e di permesso fra lavoratrici con e senza figli sono esattamente gli stessi a parità di livello e di anzianità. Per legge poi i genitori hanno 6 mesi di astensione facoltativa dal lavoro che entro i sei anni del bambino vedono riconosciuta una retribuzione del 30%. Dai 6 agli 8 anni si ha diritto al 30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore ad un determinato limite. Dagli 8 ai 12 si sta a casa senza retribuzione. A conti fatti, quindi, i genitori hanno 24 settimane di congedo. La domanda sorge spontanea: come fanno le mamme quindi a lavorare 11 settimane in meno delle donne senza figli? Possono farlo per un paio d’anni, ma poi non hanno più modo di stare a casa.
Faccio il calcolo per capire quanto le voci di corridoio possano avere un fondamento e possano in qualche modo giustificare il fatto che un capo riconosca un 6% in più di salario alle donne senza figli. E i conti non mi tornano. E’ vero, però, che spesso le donne scelgono il part time: una banca che ho sentito ultimamente mi diceva che le donne contano per il 50% della loro forza lavoro e il 96% dei loro part time. E con il part time è dura avere promozioni e aumenti, effettivamente.
Succede lo stesso agli uomini? Tutto il contrario. Gli uomini sposati hanno redditi ben più consistenti degli uomini single (e di certo più alti di donne single e donne sposate). Insomma se un uomo mette su famiglia ha più probabilità di avere aumenti di retribuzione. E il divario è tutt’altro che irrisorio: 28.483 contro 23.496, secondo i calcoli secondo la ricerca di Solomon W. Polachek aggiornata al 2017. Com’è possibile? Avranno anche loro figli malati, assemblee di classe, colloqui con gli insegnanti, recite, saggi, visite mediche e quant’altro, no?
Evidentemente no. Altrimenti Tridico non avrebbe chiosato con questo commento i dati: “Gli effetti della maternità sono pertanto evidenti e si manifestano non solo nel breve periodo, ma persistono anche a diversi anni di distanza dalla nascita del figlio. Sarebbe utile prevedere ad esempio uno sgravio contributivo per donne che rientrano in azienda dopo una gravidanza, aiutando così l’occupazione femminile e riducendo le possibilità di indebite pressioni sulle scelte delle lavoratrici. Per ogni neoassunta, entro tre anni dall’assunzione, che vada in maternità e rientri al lavoro, l’azienda otterrebbe un esonero contributivo per tre anni“.
Due obiezioni. La misura è già stata sperimentata nel sud Italia e non pare abbia portato questi risultati eclatanti tanto da portare ad allargarla a tutto il territorio nazionale (ma il governo lo farà perché è un contentino facile da dare ora che c’è la copertura finanziaria per gli incentivi alle imprese o la detassazione del lavoro femminile). La seconda obiezione è che in questo modo non si cambia la cultura del paese nella direzione di un più equo e condiviso lavoro di cura all’interno delle famiglie. Si continua piuttosto ad avvalorare la situazione attuale: i figli sono una questione delle donne, che per continuare a lavorare e occuparsene hanno bisogno di un aiutino.
Insomma, non se ne esce proprio così e fra 10 anni staremo ancora a commentare la differenza di salario tra mamme e donne che non hanno figli. Ma poi: davvero secondo voi le mamme lavorano meno? Gli studi dicono proprio il contrario. La maternità sembra sia un fattore di incremento della produttività, nell’arco di 30 anni di carriera, le donne con figli sorpassano in tutti i parametri le colleghe che non ne hanno avuti.
Se in una prima fase, infatti, le madri hanno in media un calo di produttività del 19,1% per più figli (mentre non sembra essere così significativo nei padri che registrano un -5,4%), nel medio periodo reuperano e superano le donne senza figli perché, secondo una ricerca (Parenthood and Productivity of Highly Skilled Labor: Evidence from the Groves of Academe) condotta dai ricercatori Matthias Krapf dell’Università di Zurigo, Heinrich Ursprung dell’Università di Costanza e Christian Zimmermann della Federal Reserve Bank di Saint Louis, sono meglio “equipaggiate” a livello di competenze di plurimansionamento, efficienza organizzativa e velocità di esecuzione di più attività. Lo studio dimostra, infatti, che E addirittura aumenta all’aumentare del numero dei figli. la produttività delle donne sale dal 15 al 17 per cento quando hanno figli.
Quindi scusate, di cosa stiamo parlando? Ah sì, di pregiudizi. Per sanarli gli incentivi e la detassazione serviranno a ben poco, temo!