Dopo quasi due mesi di quarantena e lockdown, si possono tirare le somme. Fare un bilancio di quello che è stato fatto, e di come è stato fatto. Non tanto per cercare colpevoli rispetto a ciò che non ha funzionato: siamo ancora in emergenza e non ha davvero senso disperdere energie in polemiche e processi pubblici. Più che altro si possono riconoscere le disfunzionalità dei protocolli applicati per cercare di correggere il tiro nell’avvenire, nelle prossime fasi di gestione dell’emergenza.
Anche nelle ultime indicazioni arrivate dal Governo, la grande assente è la scuola, ignorata con i suoi frequentatori in un modo che ormai è diventato imbarazzante. Eppure è da qualche settimana che il dibattito pubblico sta chiedendo risposte. Si è parlato del problema riapertura scuole. Si è detto che è impensabile riaprirle allo stato attuale dei fatti, ed è comprensibile. Si sono portate alla luce le contraddizioni secondo cui i genitori dovrebbero tornare pienamente operativi mentre i bambini continueranno a stare a casa. Si è detto che la scuola non è un parcheggio, anche se come ha fatto notare giustamente Riccarda Zezza, di fatto “un parcheggio non cambia forma e può essere solo aperto o chiuso”, un po’ come sta mostrando di essere la scuola. Si è detto poi che la scuola non è una babysitter e che i genitori non devono aspettarsi che sostituisca le funzioni di un welfare carente. Si è detto, ai genitori, che non devono puntare il dito verso la scuola, che sbagliano obiettivo, perchè deve essere lo Stato a prendersi carico dei disagi delle famiglie, non la scuola. Si è persino detto, a chi può continuare a lavorare da remoto, “ma di che ti lamenti, tu, che tanto lavori da casa”.
Ammettiamo pure che la scuola abbia solo ed esclusivamente una funzione educativa: come la assolverà nei prossimi mesi? Perchè per la maggior parte dei genitori è chiaro che la questione ha un doppio livello: la scuola è un luogo che non riempie semplicemente delle ore per i loro figli, ma offre loro qualcosa che chiusi in casa con degli adulti impegnati in altre faccende non possono assolutamente avere. Nemmeno il genitore più montessoriano del mondo può rispondere ai bisogni di un bambino di 4 anni se nel contempo deve lavorare per 6-8 ore al giorno. Arriverà sempre a fine giornata con la sgradevolissima sensazione di non aver fatto bene nè l’una nè l’altra cosa.
In particolare: parliamo dei bambini nella fascia di età prescolare. Perchè quanto più sono piccoli i bambini, tanto più i loro bisogni esigono una risposta diretta e immediata. La didattica a distanza con i bambini della materna è stata in qualche modo tentata, sperimentata, in questi due mesi. Questo fa onore al sistema scolastico e alle educatrici volenterose che hanno sperimentato, ma i bambini come hanno reagito? Per loro cosa è importante?
Alcuni istituti, sia pubblici sia privati, hanno da subito organizzato un efficiente e ricco Padlet, bacheca virtuale di condivisione di materiali didattici: storie, lavoretti da fare, canzoncine e filastrocche. Il padlet in alcuni casi è stato recepito dai genitori come confusionario e improvvisato, poco utile per i bambini. Alcuni istituti, meno organizzati, hanno lasciato che i rappresentati di classe e le educatrici si gestissero a propria discrezione. In alcuni casi non è stato organizzato assolutamente niente. In altri casi, sporadici messaggi inoltrati nei gruppi whatsapp di classe potevano contenere link a video su youtube con canzoncine oppure video di maestre volenterose che si filmavano nel realizzare un lavoretto o nel cantare una canzone.
Qualche vocale di saluto ogni tanto. Alcune maestre hanno saputo impegnarsi a tenere le fila delle relazioni inviando anche auguri di compleanno ai bimbi o mettendosi a disposizione delle famiglie con delle videoconferenze settimanali. Di fatto non possiamo ignorare che la relazione si è risolta fondamentalmente tra bambino, genitore e device.
In alcuni casi, le classi hanno organizzato delle videoconference di gruppo, durante le quali i bambini si sono perlomeno visti. Interazioni folli e paradossali, una grande caciara, per dirla tutta, ma che può essere stata gradita da alcuni bambini. In generale, è stato chiaro a tutti che una vera didattica fosse impossibile con questi mezzi per bambini così piccoli. Si è tentato perlomeno di mantenere vivo un qualche legame con la scuola, le maestre e i compagni. Ma in alcuni casi è mancato persino questo e per qualche genitore è stata provvidenziale la chat di classe, dove erano i genitori stessi a condividere attività e lavoretti testati sul campo.
Nell’emergenza, in assenza di un protocollo d’azione per una situazione totalmente imprevista e imprevedibile, ciascuno ha reagito come ha saputo, come ha potuto. Ma se adesso i genitori cominciano a chiedere qualcosa in più che la buona volontà delle singole educatrici, non li si può liquidare semplicemente accusandoli di usare la scuola come un parcheggio. Non si può dare per scontato che i genitori non stiano anche osservando come reagiscono i propri figli a questo isolamento prolungato.
Se era inevitabile chiedere ai bambini di prendere parte a questo impegno collettivo di responsabilità, accettando le regole del lockdown, ora bisogna considerare che tenere semplicemente le scuole chiuse, in una fase centrale del loro sviluppo psicofisico, senza sostituirle con situazioni e strutture dove possano essere accolti, rischia di avere conseguenze su di loro, di aggravare le disuguaglianze sociali e di peggiorare le situazioni più difficili.
Le proposte ci sono. I sindaci di Milano, Firenze, Ravenna, Empoli, Bari, tra gli altri, hanno avanzato ipotesi che coinvolgerebbero in varie modalità gli edifici scolastici, i parchi pubblici, i centri per la famiglia, i campi scuola e il terzo settore. Magari non sarà possibile la didattica, ma per i bambini saranno sufficienti e importanti anche solo attività di gioco e di socializzazione.
Il problema al momento è che mancano ancora delle direttive dall’alto. Non è stato stilato un protocollo di sicurezza per le scuole o per le realtà che si dovranno occupare di bambini e ragazzi, mentre per i lavoratori è stato prontamente firmato da governo, imprese e sindacati già il 14 marzo.
Qual è il problema con le scuole? Che i bambini non hanno voce per chiedere ciò che gli serve? Che i genitori sono abituati ad accettare di gestire situazioni ingestibili? In ogni caso, se proprio ci dà noia dare retta a quegli egoisti, nevrotici e pretenziosi genitori, resta il fatto che almeno dei bambini potremmo preoccuparci di più.