In Italia lavora una donna su due. Le donne faticano a fare carriera e sono solo una su 4 fra i dirigenti. E il divario di genere nelle retribuzioni resta al 12% e sale con il fare carriera, anche fra le professioniste. In questo quadro diventano fondamentali le strategie adottate all’interno delle aziende per creare ambienti di lavoro più inclusivi, che possano dare la possibilità a tutti i talenti di esprimersi.
Processi di recruiting condotti da professionisti preparati sui pregiudizi inconsci (52%), formazione (76%) e programmi di mobilità anche internazionale (30%) sono tra gli elementi cruciali per creare una cultura aziendale inclusiva. Fondamentale l’intersezionalità delle misure, che non devono “sommarsi”, ma integrarsi creando coerenza e sinergia.
Per il terzo anno il Deloitte DE&I Maturity Index, ricerca condotta in 78 aziende di medio-grandi dimensioni, ha fotografato il grado di maturità delle organizzazioni rispetto alla diversità e all’inclusione, analizzando quali sono le misure più efficaci per rendere un’azienda davvero inclusiva.
Selezioni senza pregiudizi
Quasi 8 aziende su 10 (76%) analizzate dallo studio hanno investito in attività di formazione e sviluppo per aumentare la diversity all’interno della propria organizzazione. Ma la cultura inclusiva inizia dal recruiting: circa un’azienda su due (52%) ha introdotto politiche e indicatori specifici per garantire un processo di selezione privo di bias, formando i propri recruiter sui pregiudizi inconsci.
Tra le misure più efficaci – già diffuse in un’azienda su tre (30%) – per rendere poi pervasiva questa cultura, ci sono i programmi di job rotation, anche a livello internazionale. In un’ottica di miglioramento continuo, circa la metà delle aziende del campione sta avviando percorsi di sviluppo sulla leadership inclusiva e di formazione su modalità di segnalazione e gestione di ogni forma di non inclusività, mentre circa quattro aziende su dieci dichiarano di voler avviare percorsi di formazione sul linguaggio inclusivo
Integrazione tra attività
Le aziende più mature rispetto alla DE&I sono già passate totalmente (24%) o in parte (47%) da un approccio sequenziale all’inclusione – occupandosi prima della diversità di genere, poi di etnia, età, disabilità e così via – ad uno intersezionale, che consente di valorizzare l’unicità di ogni persona in quanto portatrice di multiple diversità. Per realizzare un approccio intersezionale e un’inclusione sistemica – si legge nello studio – è necessario che anche coloro che fanno parte di una minoranza possano essere inclusi nei processi di decision making e – sentendosi più rappresentati – possono portare in luce le barriere e difficoltà che potrebbero non essere notate da chi non le sperimenta in prima persona.
Strategia, team, budget, Kpi
Perché una strategia di inclusione sia efficace, in base allo studio, servono quattro elementi fondamentali: avere una strategia definita, un team dedicato, un budget allocato e metriche puntuali per misurare i progressi. La grande maggioranza (87%) delle aziende dello studio ha una strategia DE&I, focalizzata prioritariamente su diversità di genere e Generation Gap. Ad oggi otto aziende su dieci dichiarano di avere anche una governance ad hoc che gestisce i temi DE&I – o un team DE&I dedicato – dove non è solo la funzione HR ad occuparsene (60%), ma anche i colleghi di sostenibilità (36%) , se non il Ceo in prima persona (22%) o il CFO (12%).
Quanto al budget, il 33% delle imprese ha un budget superiore a 100mila euro, dove le iniziative più frequenti sono quelle multidimensionali, che spaziano dalla formazione interna alla sensibilizzazione esterna passando per la comunicazione. Quanto al monitoraggio, la metà delle aziende (45%) ha utilizzato la certificazione per la parità di genere per costruire un sistema di valutazione e monitoraggio del proprio grado di avanzamento rispetto ai temi DE&I
DeI e sostenibilità
La DE&I è parte integrante della sostenibilità, nella sua dimensione sociale (la “S” degli Esg) e già oggi la metà delle aziende include i propri clienti e fornitori tra gli stakeholder con i quali condividere i propri valori e la strategia di inclusione, mente un altro 26% lo farà in un prossimo futuro.
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