Aborto, in Italia un percorso a ostacoli: i dati e le storie

«Mi fanno la visita, sono forzata ad ascoltare il battito cardiaco per tutta la durata. Mi forzano a incontrare una psicologa che per tutto il tempo mi chiederà se sono sicura. Fanno passare un altro mese, perché a detta loro devo pensarci bene. Un mese atroce di pianti». Il 28 settembre è la Giornata mondiale per l’aborto sicuro e, in Italia, questa è solo una delle numerosissime testimonianze raccolte da “Obiezione Respinta” e “Ivg ho abortito e sto benissimo” che racconta che cosa significhi oggi abortire in Italia.

Le voci inascoltate di molte delle 63mila donne che ogni anno in Italia vogliono interrompere la gravidanza ritrovano spazio e centralità nel rapporto “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”, presentato lo scorso 23 settembre alla Camera da Medici del mondo, rete internazionale impegnata a garantire l’accesso alla salute alle persone più vulnerabili, denunciare le ingiustizie di cui sono vittime e promuovere il cambiamento sociale.

La presentazione del rapporto di Medici del mondo alla Camera

Tra dati e testimonianze, dal rapporto emerge un quadro chiaro, accedere all’interruzione volontaria di gravidanza in Italia è sempre più difficile e a pagarne il prezzo più alto è la salute mentale delle donne. Linguaggio denigratorio, ricatti, giudizi, obbligo di ascoltare il battito fetale, antidolorifici negati. Ma anche fondi pubblici indirizzati alle associazioni antiabortiste e politiche di deterrenza che minacciano l’accesso all’Ivg. Il diritto all’aborto è ostacolato e questo avviene senza toccare la legge 194 che in Italia lo norma: «La ricerca evidenzia quanto ancora siamo lontani dalle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai livelli essenziali di assistenza – spiega Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo Italia -.  E ciò a causa di una chiara volontà politica che può avere conseguenze sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire».

Diritto all’autodeterminazione

Ogni anno nel mondo si verificano 121 milioni di gravidanze indesiderate. Di queste, come sottolinea il rapporto di Medici nel Mondo, il 60% si conclude con un aborto che nel 45% dei casi non è garantito in condizioni sicure a causa dell’accesso limitato- all’interruzione di gravidanza.

L’aborto nel mondo – Fonte “Medici del mondo”

ILa legge che in Italia consente di interrompere volontariamente una gravidanza è la legge 194, approvata il 22 maggio del 1978. Prima di allora, il Codice Rocco del 1930 considerava l’Ivg un «delitto contro l’integrità e la sanità della stirpe», con pene dai due ai cinque anni di carcere. Le stime di fine anni 60 e di inizio anni 70 parlano di oltre un milione di interruzioni volontarie di gravidanza clandestine l’anno, e di ventimila decessi in conseguenza di quelle pratiche. L’impianto della legge 194 è chiarito dall’articolo 1, in cui si afferma che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio», che l’Ivg «non è mezzo per il controllo delle nascite» e che il governo nazionale, quelli regionali e locali promuovono le «iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».

Manca, nella struttura normativa, il diritto di autodeterminazione in relazione all’interruzione volontaria di gravidanza: nella legge 194 l’assenza del riferimento alla libertà di scelta di praticare l’Ivg è la mancanza più pesante perché – segnala il rapporto – questo «significa non legittimare il diritto di autodeterminazione delle donne, che dovrebbe essere alla base della normativa». Un vuoto che consente la legittimazione di politiche di deterrenza che ostacolano l’aborto: «La legge 194 è una legge del 1978 totalmente inattuale e inefficace da tanti punti di vista. Lo vediamo fin dalla sua iscrizione, tant’è che una legge che nasce assumendo la maternità come valore sociale fondante – sottolinea ad Alley Oop Federica di Martino, psicoterapeuta e creatrice di “IVG ho abortito e sto benissimo” -. La prima parte della legge 194 è quella che Giorgia Meloni ha rivendicato in campagna elettorale e a cui è stata fedele, permettendo di fatto l’ingresso di gruppi e movimenti antiabortisti nei consultori e negli ospedali. La 194 è stata frutto del compromesso con partiti cattolici: oggi siamo chiamate a rivederne l’impianto e centrare alcuni fattori. Uno di questi è quello l’importanza dell’autodeterminazione».

L’impianto della 194 spiega perché l’Italia sia stata spesso richiamata a livello internazionale sulla garanzia di accesso all’Ivg. La risoluzione non vincolante del Parlamento europeo sull’inclusione del diritto di aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, approvata lo scorso aprile, chiede agli Stati membri di rimuovere gli ostacoli al servizio come raccomandato dalle linee guida dell’Oms del 2022. Nel testo vengono citati alcuni Paesi in cui il diritto non è pienamente garantito: tra questi c’è l’Italia in cui, osserva il Parlamento europeo, «l’accesso all’assistenza all’aborto sta subendo erosioni».

In Italia il 63,4% dei ginecologi è obiettore di coscienza

Quella dell’obiezione di coscienza, strumento previsto dalla stessa 194, è una delle questioni più rilevanti in termini di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Secondo la relazione del Ministero della Salute, in Italia si è dichiarato obiettore il 63,4% dei ginecologi nel 2021 (in leggera diminuzione rispetto al 2020), il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico.

Le percentuali sono molto variabili. Ogni regione ha tassi di obiezione di coscienza diversi, con picchi dell’84% fra i ginecologi in Abruzzo, del 77,8% in Molise e dell’85% in Sicilia. Nella provincia autonoma di Trento, invece, la percentuale scende al 17,1%, seguita dalla Valle d’Aosta (25%) e dall’Emilia-Romagna (45%).

Obiettori di coscienza in Italia – Fonte: ministero della Salute 2021

Ma i numeri potrebbero non dire tutta la verità. «Attraverso il nostro report abbiamo mappato moltissimi degli ostacoli presenti sul percorso verso l’aborto – spiega Visconti ad Alley Oop -. Quello che più ci preoccupa è il tasso altissimo di obiezione di coscienza fra il personale sanitario e non sanitario: il 63% dei ginecologi obiettori è solo il dato dichiarato. C’è obiezione di struttura anche in molti luoghi in cui non è prevista dalla legge 194». Visconti aggiunge: «Una delle richieste che portiamo avanti è proprio l’eliminazione dell’obiezione di coscienza, perché di fatto è diventata una politica di deterrenza molto forte».

“The Unheard Voice” racconta cosa accade nelle strutture sanitarie a chi vuole abortire

«Doveva pensarci prima!», «Ti sei divertita, ora paghi», «Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!», «Siamo donne, dobbiamo soffrire»: si tratta di testimonianze reali di donne che, a fronte del proprio diritto di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza, hanno subito abusi e violenze inaccettabili, da Nord a Sud. Le loro voci inascoltate riacquistano centralità con la campagna “The Unheard Voice”, attraverso cui Medici nel mondo mette in luce la diffusa violenza psicologica cui sono sottoposte molte delle donne che vogliono interrompere la gravidanza: grazie a un’esperienza sonora immersiva all’interno di una speciale installazione – una teca trasparente con un piccolo ambulatorio ginecologico, installata a Roma in piazza San Silvestro lo scorso 18 settembre – sono state riprodotte alcune delle frasi realmente pronunciate dal personale sanitario (ascoltabili qui), facendo sentire per la prima volta cosa realmente accade nelle strutture sanitarie in cui la voce delle donne viene spenta per far sentire loro il battito fetale o le parole violente di chi vuole negare il diritto all’aborto.

«È il secondo anno consecutivo che partecipo alla campagna di Medici del mondo per sensibilizzare il Paese sulla questione dell’interruzione di gravidanza e sullo stigma sociale che c’è nei confronti delle persone che scelgono di affrontarla – afferma Laura Formenti, comica e testimonial della campagna -. Una comica che parla di questi temi non è ovviamente la prima cosa che può venire in mente. Ma io credo che l’aspetto più importante sia provare a fare un cambio di narrazione. Anche chi è a favore dell’aborto spesso parla di dramma, tragedia o di qualcosa che passerà mai nella vita: invece è una scelta e un diritto. E i diritti non si pagano in termini di dolore».

Invece, troppo spesso, è il dolore e l’umiliazione l’esperienza più comune: «Ho deciso di condividere la mia storia perché quello che è accaduto a me è successo anche ad altre donne – racconta Linda Feki, musicista e producer che ha denunciato attraverso i suoi social le umiliazioni subite quando ha deciso di abortire lo scorso marzo -. La percezione collettiva è che quello che mi è accaduto sia raro o un’eccezione. Non lo è. Come artista e donna ho sentito la responsabilità di condividere la mia storia per difendere la libertà di poter scegliere».

Stigma e violenza psicologica: ma il 99% delle donne che abortisce prova sollievo

Le testimonianze raccolte da diverse associazioni, riportate nel report di Medici del Mondo e registrate nell’installazione, parlano di situazioni al limite: atteggiamenti ostili e linguaggio offensivo del personale sanitario, medici che non si presentano agli appuntamenti appositamente per allungare i tempi, donne costrette ad ascoltare il battito fetale e a firmare, contro la loro volontà, per la sepoltura del feto. Ai numerosi ostacoli che chi vuole abortire deve affrontare si aggiunge il trauma emotivo.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, una normativa restrittiva sull’aborto può causare angoscia e stigmatizzazione e rischia di costituire una violazione dei diritti umani. A confermarlo è anche lo studio Turnaway – l’analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health presso l’Università della California, San Francisco – che dimostra che le donne che incontrano barriere nell’accesso all’Ivg presentano maggiormente stress, ansia e depressione. Le donne a cui l’aborto è stato negato hanno riportato anche maggiori difficoltà economiche e maggiore probabilità di vivere in stato di povertà, di rimanere legate a un partner violento o di crescere i figli da sole. Al contrario, le donne che hanno interrotto una gravidanza indesiderata non provano rimpianto, dolore né tantomeno disturbo da stress post-traumatico. L’emozione più comunemente provata è il sollievo, con ben il 99% delle donne che ha dichiarato che l’interruzione di gravidanza è stata la decisione giusta.

Accesso all’Ivg, le differenze tra regioni pesano sulla libertà di scelta

Con la presentazione del rapporto alla Camera Medici nel mondo richiama la politica alla sua responsabilità nella tutela del diritto all’aborto in modo omogeneo sul territorio nazionale.  Lo scorso 23 aprile, il Senato ha approvato un emendamento all’articolo 44 del decreto legge 19/2024 per l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) – a prima firma Lorenzo Malagola (Fratelli d’Italia) – che prevede che le Regioni, nell’organizzazione dei servizi consultoriali, possono avvalersi anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore «che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Fino alla conversione in legge del decreto, l’articolo 2 della legge 194 stabiliva che fossero i consultori stessi, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, a potersi avvalere della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che potessero anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. La maggioranza ha, dunque, modificato il soggetto che può scegliere le associazioni da inserire nei consultori, attribuendo alle amministrazioni regionali la facoltà di decidere.

Il 30 maggio 2024, l’assessore alle politiche sociali del Piemonte, Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), ha consegnato ai volontari del Movimento per la vita le chiavi della “stanza per l’ascolto”, dove i volontari ricevono le donne che vogliono interrompere una gravidanza e offrono un sostegno economico a chi sceglie di non farlo. In Lombardia, con una delibera della Giunta regionale promossa nel 2000 dall’allora presidente Roberto Formigoni, «i consultori familiari privati accreditati possono escludere dalle prestazioni rese quelle previste per l’interruzione volontaria di gravidanza», legittimando, di fatto, l’obiezione di struttura vietata dalla legge 194. In Umbria, secondo l’indagine “Mai Dati” condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, gli obiettori di coscienza sono il 63,9% dei ginecologi, con picchi del 100% all’ospedale di Castiglione del Lago e dell’83% a Foligno. Nelle Marche, nel 2023, i 66 consultori della Regione sono aperti in media undici ore a settimana: solo ventisei rilasciano la certificazione per l’Ivg e solo 24 hanno tutte e quattro le figure previste per legge (personale specializzato in ginecologia, ostetricia, assistenza sociale e psicologia).

La situazione nelle Marche – Fonte: “Medici del mondo”

Le «politiche di deterrenza» che ostacolano l’aborto

Il rapporto di Medici nel mondo denuncia come la politica stia istituzionalizzando le barriere all’accesso all’aborto, trasformandole in vere e proprie politiche di deterrenza. «La ricerca evidenzia quanto ancora siamo lontani dalle raccomandazioni dell’Oms e da quanto previsto dalla nostra Costituzione in merito al diritto alla salute che dovrebbe essere garantito dai livelli essenziali di assistenza» afferma Visconti, che continua: «Come organizzazione medico sanitaria, chiediamo al ministero della Salute di adeguare la normativa e le procedure in materia di Ivg recependo integralmente le raccomandazioni dell’Oms del 2022 e di garantire un sistema sanitario davvero capace di garantire il diritto all’aborto».

L’Italia arretra, mentre la Francia inserisce l’aborto in Costituzione e anche altri Paesi fanno passi avanti: «Nel Regno Unito verranno individuate zone interdette agli antiabortisti – ha sottolineato durante la presentazione del rapporto la deputata del M5S Gilda Sportiello .- Sarà illegale qualsiasi azione volta, intenzionalmente o incautamente, a molestare le persone che hanno deciso di interrompere una gravidanza. Una decisione necessaria che dovrebbe essere norma anche nel nostro Paese».

Per renderlo possibile serve invertire la rotta: «Bisogna rendere realmente usufruibile e non interpretabile in modo restrittivo la legge 194 – spiega Chiara Gribaudo, deputata del Partito democratico che sostiene la campagna “The Unheard Voice” -. Sappiamo che oggi abbiamo troppi medici che sono obiettori di coscienza e bisognerebbe riequilibrare questi spazi per ridare dignità a tutto il percorso legato a una libera scelta. Investire sulla sanità pubblica vuol dire anche investire nella salute delle donne, rispetto a cui c’è molto molto da fare».

Cosa si può fare? Agevolare l’aborto farmacologico

L’Organizzazione mondiale della sanità definisce l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, basata sull’assunzione di due pillole (il mifepristone, conosciuto come RU486, e il misoprostolo), una procedura sicura. Nell’ultima guida per gli operatori sanitari sui servizi di Ivg rilasciata a giugno 2023, la stessa Oms indica l’autogestione come opzione raccomandata per l’Ivg farmacologica entro la 12esima settimana come alternativa «alla supervisione diretta e in presenza da parte del personale sanitario».

La legge 194, però, non prevede la possibilità dell’Ivg fuori da strutture autorizzate e l’impianto normativo non è mai stata aggiornato con le scoperte e gli avanzamenti scientifici. Una mancanza che dunque non accoglie le esigenze attuali. La piattaforma Women on Web, fondata nel 2005 a opera dell’attivista olandese Rebecca Gomperts, ha supportato oltre 120mila persone in tutto il mondo nell’accesso all’Ivg con metodo farmacologico. Nata come servizio dedicato a persone che vivono in Paesi con legislazioni particolarmente restrittive, negli ultimi anni ha visto crescere i contatti dall’Italia. Nel 2023 le richieste – anche solo di informazioni – provenienti dal nostro Paese sono state 407, con oltre 700 mail inviate dal servizio di help desk. Le motivazioni alla base dei contatti sono diverse: tenere l’Ivg nascosta al partner o alla famiglia (42%) o tenerla privata (36,8%), distanza da posti in cui poter accedere all’Ivg farmacologica (41,77%), costi troppo alti (25,8%). Ma c’è anche il desiderio di gestire autonomamente la propria interruzione volontaria di gravidanza (40%) o di sentirsi più a proprio agio a farla a casa propria (38,33%).

Motivazioni per l’Ivg farmacologica – Fonte: Women on Web

«Ho un figlio e cerco di conciliare la cosa con il mio lavoro da traduttrice, ma la vita diventa davvero difficile. Mi sento sopraffatta e il mio stato mentale è al limite: ho scoperto che sono incinta di sei settimane e non posso assolutamente avere un altro figlio. […] Non posso dirlo al mio partner. Assolutamente non posso. L’aborto è legale in Italia, ma nelle mie circostanze non posso lasciare un bambino (non ho la mia famiglia qui per aiutarmi) e fare numerose visite, perché il mio partner si renderebbe immediatamente conto di cosa sta succedendo»: le storie arrivano prima e raccontano la necessità sempre più impellente di accedere all’aborto non come se fosse un privilegio. Ma un diritto che, specifica la direttrice Visconti, «sia privo di connotazioni ideologiche e volto a garantire la tutela della salute psicofisica della persona gestante».

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