Chi sono i neolaureati in smart working?

I neolaureati che lavorano da remoto non sono pochi, non guadagnano meno degli altri, e non sono prevalentemente donne. Secondo l’ultimo Rapporto Almalaurea (2022), a 5 anni dal conseguimento del titolo lavorano in smart working[1] il 21% dei laureati magistrali a ciclo unico[2] e il 41% dei laureati magistrali biennali[3].

Gli occupati in smart working sono prevalentemente di genere maschile, hanno un contratto a tempo indeterminato nel settore privato dell’economia, esercitano professioni intellettuali e di elevata specializzazione, e sono più numerosi nei settori dell’informatica, della comunicazione, del credito e assicurazioni e della ricerca. Infine, la quota di laureati in smart working è tanto maggiore quanto maggiore è la retribuzione media mensile netta per gruppo disciplinare.

In quali ambiti disciplinari è più diffuso lo smart working?

La percentuale di occupati in smart working è notevolmente differente a seconda del gruppo disciplinare nel quale i laureati hanno conseguito il titolo di studio (Figura 1).

Figura 1 – Laureati che svolgono attività in smart working in percentuale del totale dei laureati occupati per gruppo disciplinare. Indagine 2021 a 5 anni dalla laurea magistrale biennale.

Fonte: ns. el. su dati Almalaurea

Ai vertici della graduatoria ci sono i laureati del gruppo informatica e tecnologie ICT, con più del 70% degli occupati che lavorano da remoto, ma anche nei gruppi di Ingegneria e di Economia la maggioranza degli occupati non lavora in presenza (i laureati in smart working sono rispettivamente il 54% e il 51%). Rinunciare alla presenza fisica sul posto di lavoro è invece più difficile per gli occupati dei gruppi medico-sanitario-farmaceutico e scienze motorie e sportive, dove la quota di occupati in smart working resta ben al di sotto del 20%.

Lo smart working è più maschile o più femminile?

Per l’insieme degli occupati, il lavoro da remoto è più frequente per la componente maschile: i laureati che lavorano con questa modalità sono infatti il 45,3% contro il 38,3% delle laureate. Questa differenza di genere è particolarmente marcata nel gruppo Informatica e Tecnologie ICT, dove la quota di occupati che lavorano da remoto è pari al 73,4% per la componente maschile, ma si attesta al 59% per la componente femminile. Negli ambiti in cui lo smart working è meno diffuso sembra invece prevalere la componente femminile, come nel gruppo di Scienze motorie e sportive, dove lavorano da remoto il 17,2% delle donne e il 14,3% degli uomini, e nel gruppo Medico-sanitario e Farmaceutico, dove lavorano da remoto il 17,7% delle donne e il 13,6% degli uomini.

Figura 2 – Laureati che svolgono attività in smart working in percentuale del totale dei laureati occupati per gruppo disciplinare e genere. Indagine 2021 a 5 anni dalla laurea magistrale biennale.

Fonte: ns. el. su dati Almalaurea

Il lavoro da remoto è associato alle retribuzioni più basse?

La relazione tra la retribuzione per gruppo disciplinare e la quota di laureati in smart working è positiva ed evidente (Figura 3): tanto più alta è la retribuzione, tanto maggiore è la quota di laureati che lavorano da remoto[4].

Figura 3 – Retribuzione media mensile netta dei laureati (asse orizzontale) e quota di laureati in smart working sul totale dei laureati occupati (asse verticale) per gruppo disciplinare. Indagine 2021 a 5 anni dalla laurea magistrale biennale.

Fonte: ns. el. su dati Almalaurea

In testa alla classifica si trova il gruppo informatica e tecnologie ICT, con una percentuale di occupati che lavorano da remoto superiore al 70% e una retribuzione media mensile netta di 1.835 euro[5]. Al secondo posto si colloca il gruppo Ingegneria industriale e dell’informazione, con una percentuale di occupati che lavorano da remoto pari al 54% e una retribuzione media mensile netta di 1.876 euro, e al terzo posto si posiziona il gruppo Economico, col 51% di occupati in smart working e una retribuzione di 1.686 euro.

Al fondo della classifica ci sono invece le discipline in cui il lavoro da remoto è meno praticabile, come i gruppi di scienze motorie e sportive, medico-sanitario-farmaceutico e agrario-forestale e veterinario, tutti con percentuali di occupati che lavorano da remoto sotto il 25% e retribuzioni sotto la media.

In sintesi, il fatto che gli occupati in smart working siano più maschi che femmine, e che la loro quota sia tanto maggiore quanto più alte sono le retribuzioni, sostiene la conclusione che il lavoro da remoto dei neolaureati sia vero “smart working“, con autonomia nella gestione del tempo e retribuzione legata al raggiungimento degli obiettivi, e non sia soltanto un mero strumento di conciliazione, associato a ridotte prospettive di carriera, per coloro che lavorano con questa modalità.

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[1] Lo smart working è stato istituito con la denominazione di “lavoro agile” dalla Legge n. 81/2017. Nei dati Almalaurea questo aggregato comprende tutte le attività svolte da remoto.

[2] I corsi di laurea magistrale a ciclo unico sono percorsi nei quali le attività didattiche sono distribuite in 5 o 6 anni, come ad esempio Medicina e Chirurgia, Odontoiatria, Farmacia, Chimica, Giurisprudenza, Ingegneria Edile e Architettura.

[3] Sono inclusi tra gli occupati tutti coloro che dichiarano di svolgere un’attività, anche di formazione, purché retribuita.

[4] Il valore del coefficiente di correlazione, cioè la misura della forza della relazione tra le due variabili rappresentate nel grafico, è pari a 0,53. La disaggregazione dei dati per sesso mostra che la relazione è marcata per entrambi i generi, ma è un po’ più forte per la componente femminile (0,59) e un po’ più debole per la componente maschile (0,43).

[5] Come la quota di occupati in smart working, anche la retribuzione è nettamente inferiore per la componente femminile: rispettivamente 1.681 euro per le laureate del gruppo Informatica e Tecnologie ICT contro 1.864 euro dei laureati.

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