Teen dating violence, la violenza nelle relazioni tra adolescenti

Lo considerava il suo primo, vero, amore. O la cosa che più gli si avvicinava. Del resto, Amalia (nome di fantasia, ndr) aveva solo 17 anni e quella era la sua prima relazione “da adulta”. La definiva così perché era la prima volta che sperimentava in tutta la sua totalità il rapporto con un ragazzo, anche a livello sessuale. E non fa niente – si diceva – se per farlo aveva dovuto accettare tutte le sue condizioni: no all’uso di contraccettivi, sì al controllo quotidiano del telefonino, no alle passeggiate in centro con le amiche. Pensava che fosse giusto così: quando dai tutto, devi accettare anche di farti togliere tutto. Le relazioni, la libertà di scegliere, il diritto di dire “no”.

Eppure, neanche questo bastava. Non bastava per far sentire il suo ragazzo appagato, sereno, soddisfatto di stare con lei. Viveva in uno stato di agitazione perenne, pretendeva sempre di più da lei. Un giorno, durante una vacanza tra amici, lei aveva ballato sulla spiaggia e questa cosa l’aveva mandato fuori di testa per la gelosia. La portò in camera, provò ad avere un rapporto, lei si rifiutò, lui divenne una furia e provò a chiuderla dentro. Perché lui doveva avere il controllo, totale, su di lei. A salvarla arrivarono gli amici. «Mi vergognai tremendamente» – confida Amalia. «Io, mi vergognai. Non lui. Lui rideva, provava a giustificarsi dicendo che era tutto uno scherzo».

Da quel momento, scattò qualcosa in Amalia. E decise di allontanarsi per sempre da quella persona. Non fu semplice, ma ci riuscì. Non raccontò mai a nessuno cosa era successo in quella camera (e nei molti mesi precedenti di relazione), le sembrava di essere vittima e al contempo complice di quella che si ancora non riusciva a chiamare, a tutti gli effetti, “violenza”. «Lo raccontai solo molti anni più tardi a mia madre. Avevo bisogno di lasciar andare. Ma lo spazio della confessione durò pochi minuti, poi decidemmo di non riaprire più quella porta. Io avevo superato, mia madre probabilmente si sentiva in colpa per non essersi accorta sul momento di cosa era accaduto» – racconta Amalia.

Come riconoscere la violenza tra adolescenti

La storia di Amalia è solo una delle tante, tantissime, che rendono la cosiddetta “teen dating violence” più reale e diffusa di quanto si possa immaginare. Gli esperti l’hanno definita una “varietà di comportamenti che vanno dall’abuso fisico e sessuale a forme di violenza psicologica ed emotiva che avvengono nelle coppie di adolescenti”. È servito un nome specifico per far accendere l’attenzione su questo tema. Spesso, infatti, la fascia 15-22 anni non è presa in considerazione quando si parla di violenza di genere. Riconoscere la violenza di genere tra adolescenti, del resto, è più difficile.

«I ragazzi non denunciano, non si confidano e nella maggior parte dei casi, non sanno cosa possono definire effettivamente violenza e cosa no» – spiega la psicologa e psicoterapeuta Lucia Beltramini, autrice del libro “La violenza di genere in adolescenza. Una guida per la prevenzione a scuola”. «Farsi controllare le chat del cellulare, ad esempio, spesso è scambiata per una dimostrazione di interesse. Una richiesta pressante per avere rapporti può essere percepita come passione o desiderio. Tutto questo ci riporta a un elemento chiave: abbiamo bisogno di un’educazione alle relazioni».

Gli stereotipi di genere e i dati mancanti

In questo percorso è fondamentale il coinvolgimento degli adulti: genitori e insegnanti. Come ricorda la psicologa, molti comportamenti violenti sono frutto del bagaglio che ci portiamo dietro dall’infanzia. E in questo rientrano anche tutti gli stereotipi di genere che vengono propagati fin dalla quando siamo piccolissimi. «Dovremmo lavorare sulla promozione della parità di genere dalla più tenera età. Dovremmo sviluppare fattori protettivi, contrastare i meccanismi di rischio, ragionare su nuove dinamiche uomo-donna. Ma su questo, la strada è ancora lunga» – afferma Beltramini.

Non è semplice neanche trovare report aggiornati in merito: non esiste una rete diffusa di centri antiviolenza per adolescenti e i giovani, come detto, non comunicano. In Italia, secondo l’“Osservatorio Adolescenti: pensieri, emozioni e comportamenti dei ragazzi di oggi” di Telefono Azzurro e Doxa Kids del 2014 , su più di 1.500 ragazzi e ragazze intervistati tra i 12 e i 18 anni, il 22,7% ha riferito di aver fatto esperienza di violenza verbale da parte del proprio partner. Ancora, secondo i dati della Fiss, Federazione italiana di sessuologia scientifica, il 36,9% dei giovani ha avuto un rapporto amoroso con un partner eccessivamente geloso, il 23% ha subito violenza dal proprio partner, mentre il 12% ha agito qualche forma di violenza sul partner.

Più di recente, Save The Children ha intervistato oltre 1.200 giovani tra i 14 e i 22 anni ed è emerso che per molti di loro controllo e gelosia sono elementi accettabili in una relazione di coppia. E sempre Save The Children afferma che è prioritaria un’alleanza con gli ambienti scolastici e con chi si occupa di area sociale ed educativa sanitaria per sviluppare programmi di prevenzione e intervento. La Onlus, in particolare, ha sviluppato il progetto DATE (Developing Approaches and Tools to end online Teen Dating Violence) dedicato alla violenza online. Sì perché oggi, immersi come siamo in una vita “onlife”, non esiste confine tra ciò che accade in presenza e ciò che accade dietro lo schermo di un pc o di uno smartphone. E gli effetti di una violenza da cui non c’è scampo possono essere ancora più devastanti.

Il ruolo degli adulti

«Per gli adulti è molto difficile accorgersene: spesso la violenza in adolescenza è fatta di manipolazioni o pressioni di vario genere. Raramente ci sono dei segni fisici, ma questo non deve farci sottovalutare il problema. Anzi, se un ragazzo o una ragazza ci confida qualcosa, non dobbiamo commettere l’errore di minimizzare. Dobbiamo essere accoglienti, ascoltare e prenderci cura di quelle piccole e fugaci esternazioni. La prevenzione è fatta anche di capacità di ascolto» – continua Beltramini che ha provato a riportare questo metodo anche nelle scuole, con vari progetti sviluppati in collaborazione con l’Università di Trieste e con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia, tra cui “Il gioco del rispetto”, valutato dalla Commissione Europea come best practice in materia, e “No alla violenza, scelgo il rispetto”, un ambiente virtuale in cui i ragazzi, superando gradualmente la paura di parlare, possono comprendere davvero cos’è la violenza, come evitarla o come uscirne.

Fondamentale, inoltre, è far sentire anche i maschi parte attiva e risolutiva, coinvolgendoli attivamente in un percorso di conoscenza, consapevolezza e riconoscimento, e dando loro dei modelli positivi da seguire. «Infine – conclude l’esperta – dovremmo valutare gli interventi attuati, ispirandoci a quanto correttamente viene fatto nel mondo anglosassone. Misurando con dei questionari o focus group l’efficacia delle nostre azioni possiamo migliorare le linee di prevenzione e costruire legami funzionali a una crescita sana dei ragazzi e delle ragazze».

La violenza di genere in adolescenza, dunque, non si risolve con interventi one shot, ma è un percorso costante che richiede un presidio collettivo. Perché nessuno possa dire: “Io non lo sapevo”.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com