“On fire”: in fiamme, come le case nei Paesi in guerra, come i cortei per i diritti in giro per il mondo, come una generazione sotto scacco per la precarietà, come il nostro pianeta minacciato dal cambiamento climatico. Le fiamme sono l’immagine scelta dal collettivo Cheap che ha lanciato per il decimo anno consecutivo un invito rivolto ad artisti e artiste provenienti da tutto il mondo, per “contaminare lo spazio pubblico della città”. Sono stati selezionati 150 lavori su 1000 candidature pervenute, per un campionario visivo che spazia dalla grafica all’illustrazione, al lettering, alla fotografia, al collage.
I poster hanno tappezzato dallo scorso settembre la città di Bologna, circondando passanti ignari con immagini di riot girl dai seni in fiamme e draghi sputafuoco, teschi messaggeri di morte e fake news ed estintori da usare in caso di “razzismo, misoginia, bigottismo e intolleranza”. “Evocavamo incendi e ci siamo trovate in uno scenario dove diritti che pensiamo consolidati prendono fuoco come fiammiferi”, scrivono le artiste del collettivo: “Alla facilità con cui si legifera sul corpo delle donne, con cui si modificano tutele a ecosistemi protetti, con cui si riducono in cenere proposte di legge che combattono odio e violenza, noi rispondiamo con uno sguardo collettivo che non ha paura di generare conflitto e di ardere”.
L’arte si impossessa della città e il gesto ha una doppia valenza, estetica e di lotta: “Cheap si occupa di linguaggi visivi contemporanei nel contesto urbano: lo fa (anche) generando una riappropriazione di spazio pubblico e simbolico, infestando i muri di poster, generando inaspettati dialoghi con chi attraversa e abita l’ambiente urbano“, racconta Sara Manfredi, portavoce del collettivo. E prosegue: “Abbiamo scelto come medium elettivo la carta, un materiale altamente instabile. Lavoriamo nello spazio pubblico con la consapevolezza che le città stratificano meccanismi di esclusione e privilegio, lo fanno (anche) sulla base del genere, della razza e della classe”.
Nell’ottica di una sensibilizzazione culturale realmente inclusiva, i temi al centro di questa lotta artistica non hanno dunque a che fare solo con il femminile: il collettivo ha infatti aderito ad altre due campagne nel corso degli ultimi mesi, una realizzata insieme a WeWorld, nel centro storico di Bologna, dal titolo “Pane, lavoro e libertà”. Tre parole dal forte impatto emotivo, se si pensa che rappresentano lo slogan utilizzato dalle donne afghane che per prime hanno avuto il coraggio di protestare pubblicamente nel mese di agosto del 2022, a un anno dalla caduta di Kabul per mano dei Talebani. Con questo lavoro, Cheap punta un faro sui i diritti negati nello scenario afghano, attraverso una serie di messaggi in cui le voci delle donne dell’Afghanistan rompono il silenzio imposto dal regime.
L’altra è l’iniziativa “Pay Your Workers”, sostenuta da 260 organizzazioni in tutto il mondo, tra cui decine di sindacati che rappresentano lavoratrici e lavoratori tessili nei Paesi di produzione in cui i sistemi di protezione sociale sono inadeguati, se non addirittura inesistenti. Dal 24 ottobre per 15 giorni un’altra serie di manifesti ha dunque preso lo spazio sulle bacheche pubbliche della città, per parlare di “furto salariale” e moderno colonialismo.
In qualche modo tutto resta legato al fil rouge delle fiamme, per quell’urgenza che i temi civili portano con sé. E le fiamme in questione sono sì un simbolo di lotta e di guerriglia, ma allo stesso tempo anche di calore, di amore, di attenzione per la comunità.
Forse anche per questo, nella call del 2022, il sentimento emerso con più urgenza è la preoccupazione per la questione ambientale, come continua a spiegare Manfredi: “L’associazione visiva più ricorrente è quella del pianeta in fiamme, il richiamo al dato incontrovertibile del cambiamento climatico, l’evocazione di concreti scenari da fine del mondo. Tra le opere italiane sono emerse anche le lotte per i diritti, per un futuro sostenibile, per il riconoscimento di identità, desideri, visioni: il contenuto politico è il vero protagonista di questa edizione, al di là dei toni, delle estetiche e dei media utilizzati per esprimerlo. Nei manifesti installati in strada si è dato fuoco a sistemi oppressivi, paradigmi superati e simboli dogmatici: componendo un campionario visivo ampio come l’immaginario che hanno saputo ricostruire“.
Fiamme di rabbia, quindi, ma anche fiamme di fenice pronta a una rinascita, dopo aver mostrato le falle del sistema. Il paesaggio urbano si offre a diventare spazio di dialogo e scambio, di lotta e conversazione. E al momento è aperta una nuova call, con scadenza il prossimo gennaio: “Icons”, dedicata a icone decedute, “uno spazio dove sfogare il feticismo per i lutti di massa”. I muri non sono mai stati così maestri.
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