“La figlia oscura”, come la maternità può depredare il sé in modi irreparabili

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Il non detto parla più del detto”. È una delle frasi che la protagonista del romanzo di Elena Ferrante, “La figlia oscura”, usa per descrivere il proprio rapporto con le figlie. Ed è la stessa frase che guida l’andamento del romanzo stesso, costruito per giustapposizioni di immagini del presente e del passato, sempre filtrate attraverso lo sguardo della protagonista, prima persona e punto di vista del racconto, ma anche e soprattutto monolitica coscienza che plasma le immagini oggettive e le distilla attraverso la memoria, evocando percezioni ed emozioni che sgretolano la trama nel suo svolgersi. La sfida cinematografica, nel maneggiare un materiale come questo, consisteva soprattutto nel raccogliere la voce riflessiva della protagonista in una rappresentazione drammatica, senza ridurne l’emotività e la psicologia.

gyllenhaal-dirigeSfida raccolta magistralmente da Maggie Gyllenhaal, alla sua prima prova dietro alla macchina da presa, ma già attrice di cui abbiamo potuto ammirare la sensibilità e l’impegno, Golden Globe nel 2015 per la mini-serie britannica “The Honourable Woman”. Del romanzo di Ferrante, Gyllenhaal firma anche la sceneggiatura, che le è valsa il premio come miglior sceneggiatura a Venezia 2021. Nonostante alcune scorciatoie drammatiche, “La figlia oscura” è un adattamento riuscitissimo. La maggior parte della storia avviene nella testa di Leda, la protagonista, interpretata da Olivia Colman, candidata all’Oscar e al Golden Globe per questo ruolo. I dialoghi e l’azione vera e propria rivestono un ruolo secondario nel condurre lo spettatore attraverso la narrazione. Il punto focale verso cui tutto converge è il disvelamento della vita di una donna, il cui mistero indicibile, quando viene detto, mostra la superficialità del giudizio che ancora si tende ad avere sulle donne e sulla maternità.

La storia

Leda Caruso è una professoressa di lettere di quarantotto anni che affitta un appartamento sulla spiaggia nell’immaginaria isola greca di Kyopeli. Sembra quasi maldestra nel concedersi il relax su una chaise longue in riva al mare, e fa tenerezza per il modo quasi infantile in cui si emoziona per piccole cose che appaiono essere concessioni, come dormire fino a tardi, mangiare un gelato. L’arrivo di una grande e rumorosa famiglia in spiaggia comincia a muovere emozioni contrastanti in lei. L’effetto di questo incontro agisce sulla sua memoria: vedere giovani madri con figlie piccole rievoca in Leda gli anni della maternità, quando le sue due figlie (ora ventenni) erano bambine.

Attraverso i flashback che punteggiano gran parte del film, vediamo la giovane Leda (Jessie Buckley, candidata all’Oscar e ai Bafta per questo ruolo) in difficoltà mentre tenta di emergere negli studi accademici senza riuscire a farsi spazio tra le esigenze delle figlie piccole. C’è un marito, anche lui accademico, che affronta richieste simili ma le devia su Leda. In una scena in particolare, la differente percezione della fatica risulta violentemente impari. La famiglia è in vacanza in una baita isolata in montagna e, durante un temporale, dà rifugio a una coppia di viaggiatori. La parte femminile della coppia è interpretata con intensità e cuore da Alba Rohrwacher, che porta in scena una donna che, pur non avendo figli, sembra essere l’unica a comprendere lo strazio di Leda. Il padre delle bambine sospira ascoltando gli itinerari dei viaggiatori: “Ecco com’è la vita senza figli”. Eppure lui stesso viaggia, va a convegni, porta i suoi studi all’estero anche per lunghi periodi, durante i quali Leda è terrorizzata all’idea di non riuscire a far fronte alle difficoltà genitoriali da sola. Leda tace, ha solo un sussulto quando scopre che la parte maschile di quella coppia ha dei figli. Ma non sono lì. Lui ha fatto altre scelte. E quel sussulto viene colto perfettamente dalla viaggiatrice, che chiede a Leda di leggere qualcosa di suo, come se cercasse di farle ricordare che anche lei è una persona e che merita di essere ascoltata.

La maternità

figlia-oscuraSolo una visione superficiale descriverebbe il racconto come una riflessione sul rapporto tra figli e carriera. È, invece, un’esplorazione oscura e profondamente inquietante di qualcosa di molto più crudo e radicale: l’idea che la maternità possa depredare il sé in modi irreparabili. A un certo punto Leda ha lasciato la famiglia, ha divorziato dal marito e non ha visto le bambine per tre anni. Ora, con la famiglia numerosa della spiaggia, la sua attenzione e i suoi ricordi si fissano su una giovane madre, Nina (Dakota Johnson), che prima della fine del racconto avrà un dialogo sincero e disperato con Leda. Un’amicizia che resta nascosta, mentre nel contesto che circonda le due donne c’è un’atmosfera di pericolo imminente: nella violenza latente della presenza degli uomini, e nell’aggressività petulante delle donne. Lo sguardo di Leda, con i suoi ricordi e le sue ossessioni, rende Nina un oggetto di coscienza straziante e commovente, mentre l’elaborato svolgimento per immagini suggerisce senza dire, offre senza imporre.

La figlia oscura” è il terzo romanzo scritto da Elena Ferrante, pubblicato nel 2006, prima de “L’amica geniale”. Un ritratto di donna coraggioso ed estremamente moderno, dato che l’archetipo della madre che abbandona i propri figli è tuttora uno dei pochi tabù della nostra società. Ancora di più nella cattolica Italia del Sud in cui è ambientato il romanzo, anche se Gyllenhaal sceglie di portare i suoi personaggi fuori da questo contesto, per trasporli in un più rassicurante e universale ambiente internazionale.

THE LOST DAUGHTER: OLIVIA COLMAN as LEDA. CR: YANNIS DRAKOULIDIS/NETFLIX © 2021.

Restano come punti fermi la lucidità e la chiarezza analitica con cui scrittrice e regista offrono a spettatori e lettori la verità di questo personaggio, sottolineando come le donne non accompagnate da figli o marito siano spesso ritenute sole tout court, tanto da uomini come il locatario gentilmente invadente, quanto dalle donne come Callie, compiaciuta della propria gravidanza, che inizialmente si rapporta a Leda in modo persino ostile. Quanto a noi, possiamo detestarla o averne paura, ma la verità è che il film, assorbendo le ambiguità di Leda, ci immerge nelle incertezze. La suspense aumenta scena dopo scena, facendoci percepire un pericolo invisibile a cui Leda è esposta. E sì, il pericolo c’è, ed è la condanna che aleggia sulla sua vita e sulle sue scelte. Non solo la condanna dei personaggi che la incontrano, e nemmeno quella degli spettatori che la osservano, bensì la condanna più intima e invischiante che Leda conserva su se stessa.

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“La figlia oscura” (The Lost Daughter)
Regia e sceneggiatura: Maggie Gyllenhaal
Con Olivia Colman, Dakota Johnson, Jessie Buckley
Miglior Sceneggiatura alla 78^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
Dal 7 aprile al cinema.

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