Madri che lavorano e si sentono sole: il ruolo dei padri

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Collegate da quattro continenti diversi per parlare di maternità e lavoro, avendo deciso di dedicare ben 90 minuti al tema per condividere gioie e dolori e alla fine, magari, sentirsi meglio, ci siamo ritrovate a parlare e sentir parlare soprattutto… dei padri!
Delle imprenditrici coinvolte in questa esperienza definita “Deep Dive” dagli organizzatori – Unreasonable, una comunità americana che dà a fondatori e ceo di startup innovative selezionate non solo contatti utili ma anche supporto emotivo, proprio attraverso occasioni di networking come quella oggetto di questo articolo – io ero l’unica madre separata… e l’unica che non si lamentasse del padre dei propri figli.

Dal Sud Africa agli Stati Uniti all’Irlanda: donne di età diverse, con figli di età diverse e impegni lavorativi comunque intensi, essendo tutte fondatrici e amministratrici di aziende, si sono unite in un solo coro: la parte più complicata dell’essere una madre che lavora sembra essere la gestione delle aspettative verso compagni che ci sono meno o in modo diverso da come loro si aspettano.

Il marito di Linda è uno “stay at home dad, ma ha una modalità organizzativa tutta sua e Linda non riesce a lasciar andare l’idea di una casa ordinata e organizzata come la vorrebbe lei. E’ quindi tutto un aggiustamento continuo, con spintarelle più o meno gentili per garantirsi il frigo pieno con un po’ di prevedibilità, la possibilità di ritrovare in luoghi intuitivi gli oggetti lasciati in giro, il raggiungimento di una definizione condivisa e consistente di ordine e pulizia. Vanno avanti così da anni ma, da come ne parla, brucia come se fosse un problema nato ieri e che la sorprende ancora. Alla fine, sembra che lei faccia il doppio lavoro di non fare direttamente ma comunque di pensare a come far fare senza invadere, con una presenza che oscilla tra il discreto, il deluso e il frustrato.

Anna è già passata dalla crisi più acuta: il marito lavora a tempo pieno (come lei), ma si sente più legittimato a non esserci. In vari momenti hanno rischiato multe o di restare senza elettricità perché le bollette finivano in terra di nessuno, e mentre snocciola la sua quotidianità le manca chiaramente il respiro. Racconta che hanno deciso di fare della domenica pomeriggio il momento amministrativo, mettendo i figli davanti agli schermi a tempo illimitato per avere la quiete necessaria a rivedere numeri e conti. Sembra il quadro triste di una partnership ridotta alla modalità sopravvivenza, e ancora una volta il tema “contributo della coppia” prende il sopravvento sul tema maternità.

Jeena, infine, ha un bambino piccolo: ha lo sguardo sereno mentre racconta come sia tornata da poco a fare un commuting pesante perché vivono fuori città per consentire al compagno di seguire il progetto di costruzione di una casa che doveva durare 2 anni e ne sta richiedendo un numero indefinito; il padre del bambino lavora da casa, ma non si fa carico di nessuna incombenza, neanche dell’organizzazione del lavoro di terzi (per esempio una babysitter). I genitori di Jeena devono aver capito più di quanto lei stessa ci dice: hanno infatti deciso di alternarsi a turni di sei mesi ciascuno per vivere con la figlia e darle una mano, lasciando il proprio Paese (in un altro continente) e rinunciando così a vivere insieme loro due. Alla fine del racconto, Jeena accenna come per caso al fatto che ha da poco preso casa in un altro Stato, dove intende trasferirsi in città, vicino al lavoro, e che non sa se il compagno la seguirà.

Quando tocca a me, mi sento quasi in colpa: con il mio ex marito e padre dei miei figli tutto fila liscio. La separazione ci ha “costretti” a esplicitare le nostre reciproche aspettative e a distribuire compiti e responsabilità in modo paritario. Avere i figli per metà tempo ciascuno mi ha consentito di lasciar andare e riconoscere la possibilità che esistano “altri modi” di gestire casa e bambini (in molti casi, migliori del mio): ha fatto del mio essere madre un ruolo rotondo, seppur coordinato e sintonizzato con quello del papà (rotondo a sua volta). Non ci sono più aspettative implicite, attese di qualcosa che dovrebbe essere senza nemmeno esser detto: non c’è più un’idea di coppia con cui confrontare la realtà, ma un nuovo modello di famiglia da costruire insieme, in cui il focus dello sforzo congiunto è sulla genitorialità, sui figli, e non sulla relazione di coppia o su quel che pensiamo dovrebbe essere.

E’ allora questo il problema? Entriamo in una relazione di coppia che poi diventa una famiglia, e in quest’ultimo passaggio sottovalutiamo l’importanza di definire nuovi ruoli e condizioni? E’ possibile che quello della relazione tra madre e padre, del livello di responsabilità esplicitata, condivisa e messa in pratica, sia un nodo che si ripete in modo uguale ai quattro angoli del mondo, almeno da quando le donne lavorano? Quanto non detto c’è? Quante aziende-famiglia stanno andando male e rischiando di fallire (nemmeno di chiudere, ma più semplicemente di essere imprese faticose, che causano infelicità nei loro componenti) a causa della mancanza di patti parasociali tra i fondatori?

Che cosa direbbero, mi sono domandata, i partner delle imprenditrici con cui mi sono confrontata, se la questione su paternità e lavoro venisse aperta con loro?

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  • Lello Rugolo |

    Volere troppe cose causa tutto questo: problemi, disagi, diventa una corsa continua. Io penso che se si avesse una maggiore presa di coscienza di quello che si fa e si vuole, si eviterebbero tutti questi problemi. Volere una cosa, e poterla avere e sostenere nel tempo sono due fattori che non sempre riescono a coincidere. Dico: less is more

  • ezio |

    Il suo esempio personale è proprio il giusto punto di partenza per reimpostare i rapporti di coppia, prima conviventi, ma soprattutto dopo le separazioni ed i divorzi.
    L’affido condiviso deve essere reale e partecipato, con equa distribuzione dei ruoli alternati, senza preferenze ne esclusioni con l’estromissione del solito esiliato, che diventa automaticamente anche deresponsabilizzato e disaffettivo.
    La casa famigliare affidata di principio ai figli minori sotto tutela paritaria ed alternata di entrambi i genitori, che accudiscono alla pari i figli, come meglio si potrà organizzare ruoli ed incarichi alla pari.
    Pari diritti, pari doveri, pari ruoli attivi è anche la base per ridurre la conflittualità e la violenza delle coppie scoppiate.

  • gloria |

    Le posizioni estreme non mi sono mai piaciute. No a uomini contro donne ma uomini e donne insieme per costruire una società migliore.Intanto la situazione di di donne che lavorono e che fanno il triplo in casa e sono sole è una realtà quanto mai veritiera e estesa.Qualche piccolo cambiamento c’è stato ma risulta impercettibile rispetto a ciò che avviene non solo in Italia ma anche nel mondo.Giustamente come fa rilevare la giornalista si mette l’accento sulla genetorialità perdendo di vista una componente fondamentale, il rapporto di coppia , che non dico se è idilliaco ma se c’è buona ntesa ed armonia , avendo cura di serbare anche spazi per sè influenzerebbe in modo positivo il clima affettivo e lo stile di vita intrafamiliare. Tuttavia per una nuova concezione e dinamica della vita familiare , siamo sempre li, bisogna partire dalle basi, da una intensa educazione culturale e ambientale al rispetto reciproco, alla valorizzazione della dignità di ciascuno, all’inclusività.

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