La politica, il Parlamento, le istituzioni hanno oggi una importante opportunità per tradurre in norme e scelte concrete i giusti attestati di solidarietà nei confronti delle vittime di molestie sessuali e di indignazione per un fenomeno che attraversa trasversalmente la nostra società costituendo una tra le più subdole manifestazioni di violenza di genere: completare al più presto nelle commissioni Lavoro e Giustizia del Senato l’esame del testo unificato sulle molestie nei luoghi di lavoro e portarlo in Aula per la discussione e l’approvazione finale.
La scelta della giornalista di Toscana Tv Greta Beccaglia, palpeggiata da un uomo in diretta televisiva al termine di una partita di calcio, è tanto giusta quanto purtroppo ancora molto, troppo, rara. Quante donne, infatti, che ogni giorno subiscono molestie, aggressioni, abusi verbali, linguaggi sessisti, battute, irrisione, discredito, vessazioni, ricatti, denigrazione, isolamento, bullismo o cyberbullismo, esibizionismo, mobbing, gesti indesiderati, avance, palpeggiamenti, fino allo stupro, consumato o tentato, hanno la possibilità, la forza, di fare altrettanto? In quanti casi episodi del genere bucano il clima di omertà nel quale si consumano e spesso si ripetono? Quante lavoratrici ricevono la solidarietà trasmessa alla cronista da tutto il mondo politico, istituzionale, dell’informazione e anche dello sport?
La solitudine nella quale si ritrovano quasi tutte le donne che subiscono molestie sul lavoro, la paura di non essere credute, di subire ulteriori vessazioni è il motivo per cui, come indicano i dati Istat, solo il 20% delle vittime (1.403.000 sul totale delle lavoratrici oggi attive pari a circa 9 su 100) ne ha parlato con qualcuno e appena lo 0,7% ha sporto denuncia. Numeri drammatici che testimoniano della gravità e pervasività di una forma particolarmente subdola di violenza di genere alla quale molte lavoratrici – sia dipendenti che libere professioniste – non sono in condizioni di sottrarsi per ragioni culturali, per difficoltà economica, per il disequilibrio strutturale tra donne e uomini nel mondo del lavoro.
Ma anche perché non sono sufficientemente diffusi strumenti adeguati di prevenzione, di contrasto, di sanzione, in grado di offrire un supporto concreto alle donne e nello stesso tempo di produrre il necessario cambiamento culturale che serve a far vivere, in ogni ambiente e contesto, quei valori fondamentali di uguaglianza e rispetto dettati dalla nostra Costituzione, a cominciare dall’articolo 3, e su cui si deve fondare la nostra convivenza civile, rispettosa, democratica, paritaria.
Accesso al lavoro, carriera, gap salariali: il mondo del lavoro è pieno di disparità di genere, che da sempre si manifestano in modo esplicito e quotidiano, limitano le opportunità per le donne, condizionano la loro libertà e dignità di persona e insieme danneggiano la produttività, della singola impresa, di interi comparti, di tutto il Paese. Si tratta di un contesto strutturalmente discriminatorio e sfavorevole alle donne che non può che favorire la trasposizione delle disparità e della svalutazione del contributo femminile su un piano di molestie e violenza.
Le ragioni culturali che stanno dietro ogni forma di discriminazione, disparità di genere e violenza sono infatti le stesse, legate alla dominante cultura patriarcale, a stereotipi cristallizzati, usati per conservare rapporti di potere asimmetrici, a pregiudizi consolidati, ad abitudini, comportamentali e rappresentazioni del mondo che non riconoscono il valore delle differenze, del rispetto, della condivisione.
Ecco perché per contrastate le molestie sui luoghi di lavoro – che sono di tipo orizzontale (tra colleghi), verticale (da superiori) e compiute da terzi (clienti, pazienti…) – serve un approccio largo, che unisca piano istituzionale e normativo, azione comune di imprese e parti sociali, formazione, trasformazione culturale. Serve una strategia globale e condivisa per contrastare le violenze nel quadro di un impegno volto a proteggere e promuovere il benessere psico-fisico, di sicurezza e rispetto di lavoratrici e lavoratori – ancor più in un momento di trasformazione dell’esperienza e delle relazioni lavorative con il digitale e lo smart working, con ha anche determinato una sovrapposizione pesante e particolarmente insidiosa tra molestie sul lavoro e violenze domestiche.
La Convenzione sulla violenza e sulle molestie adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 2019 offre un fondamentale strumento, riconoscendo il diritto di ogni persona a lavorare in un ambiente libero da violenza e molestie e chiedendo ai governi di adottare un approccio inclusivo, integrato e sensibile al genere. La ratifica è stato dunque un passaggio decisivo della sfida contro le violenze di genere, che deve veder attivato un percorso di implementazione normativa, di azioni per uguaglianza e giustizia, di sensibilizzazione, di responsabilità, di accordi tra parti sociali (sulla scia di quello sottoscritto nel 2016, a seguito di un analogo atto europeo, tra organizzazioni sindacali e datoriali contro le molestie, per realizzare un clima aziendale fondato su rispetto e reciproca correttezza, riconoscimento dei diritti e della dignità di ogni persona, facilitazione e sostegno della denuncia di ogni atto di molestia o violenza).
Le priorità su cui agire sono cinque:
La prima è la prevenzione, con una specifica funzione fondamentale delle relazioni industriali, ma poi una responsabilità che tutta la società deve sapersi assumere, perché siano considerate socialmente deplorevoli, e quindi un reato, tutte le forme di molestia sessuale.
La seconda riguarda gli strumenti di tutela, come il congedo dato alle donne quando affrontano una condizione particolarmente pesante per la salute-psicofisica: è giusto infatti garantire meccanismi di ricorso e risarcimento, e assistenza alle vittime, con sostegno anche economico.
La terza priorità è attivare e rafforzare nel modo più efficiente e collaborativo la rete strumentale esistente, come l’Ispettorato del lavoro, le Consigliere e i Consiglieri di parità, che rappresentano figure esterne e indipendenti capaci di dare sostegno concreto a chi subisce molestie e vuole denunciare. Occorre poi rafforzare i Comitati di garanzia nella pubblica amministrazione e tutti i Comitati di parità e rendere più fattuale il sostegno delle rappresentanze sindacali e individuare figure nelle aziende, sia da parte datoriale che del sindacato, con funzione di monitoraggio e sostegno.
La quarta priorità riguarda il rafforzamento degli strumenti di indagine e di monitoraggio, l’inasprimento delle sanzioni e la definizione di reato.
La quinta priorità, infine, è relativa alla formazione: a partire dalla scuola che deve sempre più diventare il luogo dove cresce una cultura del rispetto, ma poi con la necessità di progettare, finanziare e attuare programmi di formazione anche per gli adulti, assumendo che la formazione contro le molestie debba diventare un obbligo, al pari di quella sulla sicurezza.
Questo ultimo punto richiama la necessità di un cambiamento culturale che è indispensabile accompagni l’attuazione concreta della Convenzione e qualsiasi successiva implementazione normativa. Quel cambiamento culturale che serve per eliminare dalla nostra società ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, come ben definito dalle politiche di mainstreaming e, da un punto di vista anche legislativo, dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia all’inizio della scorsa legislatura, per superare stereotipi, linguaggi sessisti e rappresentazioni sociali che creano condizioni di disparità nelle quali si determina uno squilibrio di potere che porta alcuni uomini a sfruttare la propria posizione attuando comportamenti molesti, lesivi della dignità e dell’integrità fisica e psicologica delle lavoratrici.
Insomma in troppi casi e contesti – e praticamente sempre in alcuni, come nei casi di precariato più estremo – la violenza accompagna la vita quotidiana delle donne sui luoghi di lavoro, con le molestie sessuali accettate e subite come parte “normale” della realtà lavorativa. È una distorsione di cosa si intende per “normalità” – come per “naturalità” di comportamenti e atteggiamenti – quando invece si tratta di una conformazione socio-culturale derivata dalla storia delle nostre società, che fa enormi danni, ma che può e deve essere modificata.
Lo sforzo normativo e culturale da attivare punta a ribaltare questa realtà, a interrompere questa sorta di assuefazione sociale a molestie e violenze, a creare tutti i presupposti necessari affinché il lavoro sia sempre sicuro, gratificante, produttivo.
È una responsabilità delle Istituzioni, delle imprese, dei sindacati, della società tutta, degli uomini. Non ne va solo della salute fisica e psichica o delle condizioni economiche delle donne che subiscono molestie. E nemmeno solo della reputazione e dei risultati delle imprese. I costi della violenza sono sempre e anche costi sociali, costi che ledono la convivenza civile e democratica del Paese, per il futuro di tutte e tutti.