Sempre più spesso parliamo di prepararci al futuro. Tutte le cose importanti sembrano avvenire lì: in quel luogo del tempo che ancora non abitiamo ma che stiamo alacremente progettando e per cui ci stiamo attrezzando. Sentiamo dire, per esempio, che la scuola deve “preparare i giovani al futuro”. Oppure che la formazione in aziende deve dotare i lavoratori delle competenze “più adatte per il futuro”.
Forse avviene perché in questo presente, che è il futuro del passato, ci sembra di non essere arrivati abbastanza preparati. Allora proviamo a dedicarlo a un presente successivo: che sarà migliore perché lo avremo preparato meglio. Ma non è mai così. Quando il futuro diventa presente, ci trova quasi sempre impreparati. E allora che facciamo? Torniamo ad alzare lo sguardo al futuro successivo, fiduciosi che andrà meglio se ci saremo applicati di più.
Il presente intanto ci sfugge di mano: passa senza che ce ne occupiamo. Ci stiamo dentro inconsapevolmente, sempre un po’ disattenti, convinti che le mancanze di oggi siano solo irreparabili sviste delle cattive preparazioni di ieri. Eppure, a ben pensarci, abitiamo solo il presente. Anche il futuro che tanto prepariamo: quando arriverà e si trasformerà in presente… saremo in grado di riconoscerlo?
La domanda è emersa qualche giorno fa durante un workshop del consorzio Elis in cui alcuni ceo di grandi aziende italiane riflettevano proprio sulla scuola: un’istituzione fondamentale, questa sì, per disegnare il futuro del nostro Paese. I giovani di oggi sono gli adulti di domani: quando il futuro arriverà, saranno loro ad avere in mano le leve per disegnare il presente. Ma che cosa comporta attribuire alla scuola, che è il presente di queste generazioni, un obiettivo rivolto al futuro?
I bambini, per esempio, vivono solo nel presente. Per loro il futuro non esiste, non li rassicura pensare che qualcosa arriverà “domani”. L’intensità che cercano e che li coinvolge può essere solo nell’oggi. Sono poi tanto diversi da loro i giovani a cui stiamo chiedendo di dedicare il proprio presente alla preparazione del futuro? Come funziona il concetto di investimento di vita tra momenti diversi nel tempo?
Mi sorprendo sempre quando qualcuno, nel raccontarmi una storia d’amore, ne parla come di un investimento per il futuro. Spera, insomma, di non star buttando via del tempo: che quel che “spende” oggi renda in futuro. Ecco ancora una volta un’idea del presente al servizio del futuro, paradossale perché ci si innamora e ci si può amare solo nel presente: è impossibile promettere oggi di amare anche domani, né possiamo pensare di amare oggi al solo scopo di ricevere lo stesso amore (con gli interessi!) nel futuro.
Avere sempre in mente un segmento di tempo non contemporaneo, ma futuro, può avere un effetto perverso sulla strategia che si adotta e su come la si vive: invece di lavorare per massimizzare il coinvolgimento attuale, si sacrifica l’efficacia (e a volte la felicità) dell’oggi a quella del domani. Torniamo all’esempio della scuola: come cambierebbe il nostro modo di immaginarla e di progettarla se l’obiettivo diventasse stare con i ragazzi nell’oggi, prepararli a vivere il presente? Si tratta di un presente che è già molto complesso, imprevedibile, in cambiamento: ha insomma tutte le sfide necessarie ad allenare le stesse capacità che torneranno utili per gestire la complessità del domani. Se la relazione tra scuola e ragazzi, ma anche la relazione tra posto di lavoro e dipendenti, avesse come obiettivo un ingaggio nel presente, un’apertura all’ampiezza del presente delle nostre vite attuali, che effetto avrebbe su di loro, su di noi?
Sarebbe forse più facile rivelarsi, farsi coinvolgere, dare e ricevere di più, se ci dedicassimo di più all’oggi? Meno ansia sul domani ci aiuterebbe a fare spazio a quel che c’è già e a mostrarci in tutta la nostra profondità, e su questa base costruire relazioni e progetti? Potremmo così arrivare al futuro con maggiore familiarità e interesse verso ciò che rappresenterà in quel momento, ovvero il nostro presente?
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