Padri separati ma non dimezzati: che cosa c’è dietro una storia raccontata a metà

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Un padre che si separa assomiglia a una donna in carriera: diventa il pezzo di un puzzle che non lo aveva previsto fino a 50 anni fa. Cinquanta anni, si dirà, non sono pochi. Da tanto abbiamo una legge per il divorzio, che istituzionalizza la possibilità di essere padre senza essere marito. Prima questo evento capitava in modo accidentale, raramente per scelta. E c’era tutta un’altra idea di paternità.

Lo sappiamo: la mela della genitorialità non era divisa a metà, perché lo spicchio maschile riguardava soprattutto il benessere economico della famiglia. Poi le donne hanno iniziato a lavorare, e quasi di pari passo è iniziato a succedere che l’identità genitoriale potesse venir separata, per scelta, da quella della coppia. Ancora genitori, non più marito e moglie. Non più mezze mele, ma mele intere, ognuno con la sua relazione diretta e autonoma con la prole. Come tutte le grandi transizioni travolgenti, anche questa però ha il problema di venir gestita innanzitutto in emergenza, sia a livello individuale che a livello sociale. Ma, se a livello individuale la gestione in emergenza è giustificabile, a livello di società è difficile spiegarsi come mai ancora oggi la paternità separata sia un fenomeno visibile in modo parziale e incompleto, gestito in costante approssimazione.

Succede che uomini che hanno creato una famiglia con dedizione e passione, mettendo su una casa, delle regole, delle abitudini, dei compromessi, dopo la separazione si trovino nella maggior parte dei casi a lasciare quel luogo come se lì dovessero lasciare anche un pezzo della propria paternità.

Passano dalla modalità progettazione alla modalità adattamento, da un’idea di futuro a una gestione in sopravvivenza del presente, dal comprare un forno all’ordinare tutti i giorni una pizza take away, e questo anche se adorano cucinare.

E’ come se la dimensione aspirazionale dell’essere padri fosse rimasta nella vecchia casa: in parte per temi economici (indiscutibili) ma molto anche perché… ? Perché la società non consente loro di immaginare granché oltre la soglia della casa di prima. Perché, nonostante il loro numero (secondo l’Istat, in Italia nel 2019 ci sono stati 184.088 matrimoni, 85.349 divorzi e 97.474 separazioni), continuano a essere personaggi in cerca d’autore, la cui storia non si conosce, non si dibatte e non si tramanda, e questo senza la consapevolezza di poter essere proprio loro a scriverla, a modo loro. Questo è quel che succede a chi è tra i primi a rappresentare nuove dimensioni identitarie – pensiamo alle donne in carriera di cui sopra: o trova un modello a cui voler assomigliare, in cui identificarsi seppur sia diverso da sé, oppure deve tracciare strade nuove, scrivere la “propria” storia, con tutta la fatica che questo comporta.

pexels-tatiana-syrikova-3933227Il femminismo ha dato un’identità collettiva alle nuove dimensioni delle donne: ha dato un nome a disagi e rivendicazioni, ha dato un perimetro a un movimento che consente alle donne di posizionarsi, che sia dentro o fuori, ma consapevoli che “qualcosa di nuovo sta succedendo, e non in modo fluido”. Che cosa consente ai padri di fare altrettanto? E certo, si potrebbe dire lo stesso delle madri, ma la prevalenza identitaria della maternità, che tanti ostacoli crea in altri campi, qui le preserva un po’: con la separazione, il loro modo di essere cambia in continuità, la rottura con ciò che erano è (nella maggior parte dei casi) meno netta. Occorre creare stereotipi nuovi, invece, per questa paternità. Uno stereotipo è una narrazione veloce, che collega i concetti in modo fisso, rassicurante.

Un papà separato è…

Riempire i puntini a piacere, ma anche solo pronunciare questa parte della frase basta per rompere lo stereotipo precedente, quello che il papà separato non lo prevedeva e quindi ne faceva un’anomalia del sistema, senza necessità di definizioni: una specie di “genitore minore”.

Una ricerca del 2006, pubblicata su PsychiatryOnline, indaga quali siano i predittori di un prolungato coinvolgimento paterno dopo la separazione, e ne identifica tre:
1) il sentirsi competenti nel ruolo di padre,
2) il grado di coinvolgimento nella crescita dei figli un anno dopo il divorzio,
3) la facilità con cui gli è possibile vedere i figli.

La ricerca evidenza anche come tutti i padri separati debbano gestire un senso di confusione e di difficoltà riguardo al proprio status di genitori. Tutti.

Secondo il “Manuale di sopravvivenza del papa separato”, la relazione padre figlio può non solo sopravvivere, ma addirittura migliorare dopo il divorzio, se vi è un’attività consapevole e deliberata di “planning and execution”. Sì, proprio come al lavoro: e questo potrebbe rassicurare i papà sul fatto che tali competenze le abbiano a disposizione, visto che le stanno già usando altrove.

pexels-elly-fairytale-3807314Consiglia infine il sito fathers.com, del National Center for Fathering americano, di mettere in chiaro alcune cose da subito: si tratta dei classici consigli veloci che possono servire come base per un’elaborazione più approfondita e una strategia più consapevole. Per esempio:

  • Non esiste il papà part-time: o sei un papà, o non lo sei. Se può succedere che si passi meno tempo con i figli, la relazione può diventare addirittura più intensa e svilupparsi su piani nuovi, che dipendono più dalla qualità della presenza che dal tempo.
  • Il padre non è un babysitter: non deve intrattenere i figli, riempire le loro giornate di ricchi premi e cotillon. Se si lascia circolare un po’ di noia, si potrebbe scoprire quanto i figli stiano bene senza fare niente, solo col loro papà.
  • E infine uno dei consigli più belli: fa ciò che vuoi, in cui risuona l’“ama e fa ciò che vuoi” di Sant’Agostino. Spesso padri e madri separati pensano di dover sacrificare la verità o anche la quotidianità degli altri aspetti della loro vita a un’idea di paternità o maternità totalizzante, sacrificale, per rassicurare i figli sulla propria presenza e il proprio amore dopo la separazione. Amando veramente e liberamente si creano invece condizioni di conoscenza e fiducia che fanno spazio anche a vite ampie, contradditorie e complesse: con l’ulteriore beneficio di mostrare ai figli che anche loro, come il loro papà e la loro mamma, sono molto altro, e non solo figli.

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  • Alessandro |

    E poi sulla riflessione che culturalmente al padre non è lasciato immaginare un ruolo oltre la famiglia, sarebbe quello il problema?
    Non lo stigma, la miseria economica, il disagio psicologico. Non abbiamo bisogno di reinventarci, di stereotipi, di cagnara mediatica, ma di Leggi davvero pari diritti.

  • Alessandro |

    Cara riccarda. Per la maggior parte dei padri separati si affronta un periodo di accuse terribili e infondate da parte del partner femminile, stigma, povertà, senso di colpa, depressione, abuso. L’ago della bilancia, con buona pace dell’invenzione del patriarcato, pende sia legalmente e che socialmente dalla parte della donna. L’uomo è in fondo un bruto che può resistere a tutto, si dimentica che l’uomo è un essere umano e soprattutto un padre, e il padre è un cittadino speciale e da proteggere, perché il suo ruolo nel benessere psicofisico del figlio è cardine. Mi vergogno di vivere In Italia dove i diritti degli uomini e dei padri separati non esistono.

  • Mauro Lami |

    Proviamo a parlare di reale parità tra i generi anche nella crescita dei figli e non solo nella carriera o nell’occupazione dei posti

  • Marco Fiertler |

    Basterebbe applicare la bigenitorialità perfetta già prevista dalla “vecchia” legge 54/06, disporre il mantenimento diretto ed eliminare l’obbrobrio giudiziario inventato da una desueta magistratura ovvero le figure del “genitore prevalente” del “collocatario” e della “maternal preference”.
    Si potrebbe inoltre coltivare “l’alternanza paritaria” utilizzando la medesima casa di abitazione che offrirebbe stabilità alla prole e “seco de” residenze ai separati certamente più dignitose e meno costose

  • Giovanni Camerini |

    Ciò che è certo è che tutti gli studi e le ricerche internazionali confermano che i figli che trascorrono tempi paritetici con i due genitori sono quelli che crescono e vivono meglio

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