Equità o uguaglianza? L’inclusione parte dal valore della diversità

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Si può comprendere la diversità senza prima aver fatto

proprio il tema dell’uguaglianza?

Partiamo dall’inizio: essere uguali significa avere gli stessi diritti: di vivere, di essere rispettati, di sentirsi liberi, di esprimere il proprio pensiero, di cercare il proprio modo di sentirsi realizzato/a. Se partiamo dall’inizio, partiamo dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata nel 1948, a tre anni dalla fine della seconda guerra mondiale: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, recita l’articolo 1. Ma se questo è l’inizio, se queste sono le basi, dobbiamo fare un passo avanti.  Cosa non significa uguaglianza? Non significa omologazione, non significa assenza di differenze. A questo proposito il concetto di uguaglianza in molti contesti lascia il passo al concetto di equità, che mira a garantire a tutti le stesse opportunità tenendo conto delle particolarità e delle differenze. Uguaglianza ed equità, infatti, non sono concetti sinonimi: il primo si focalizza sul punto di partenza, ovverosia diritti e doveri, il secondo approda ad un potenziale punto di arrivo considerando le opportunità offerte dal valorizzare le differenze

Nella vita, nel lavoro, nella cultura, nelle passioni, nel modo di essere è proprio la diversità ad apparire come un valore fondamentale, come un fattore di arricchimento che abbiamo imparato a riconoscere nel tempo. Usando un paradosso: le diversità di pensiero, di attitudini, di capacità, di caratteristiche personali, di gusti e addirittura di predisposizioni intellettive divengono la più evidente dimostrazione dell’essere tutti persone. Sono il segno che l’uguaglianza degli esseri umani vive nella libera espressione della loro differenza.

Una diversità che in molte parti del mondo (non in tutte, purtroppo, ed è bene ricordarlo) diamo per scontata. Una diversità che la nostra società quasi sempre accoglie. Quasi, perché il percorso di inclusione non può ancora dirsi completo. Oggi sempre di  più esistono eventi che cercano di spingerci a non dimenticare che essere diversi è un valore, che senza diversità saremmo immobili. Proviamo per un momento a riflettere sulla nostra quotidianità, proviamo a pensare agli affetti che ci circondano, agli amici con cui coltiviamo passioni, ai professionisti che incontriamo nel mondo del lavoro, ai vicini di casa o alle persone con cui in qualche modo condividiamo una fase del nostro percorso, personale o professionale. Quanti, tra questi uomini e donne che incontriamo ogni giorno, avrebbero pagato il loro modo di essere liberamente se stessi se non avessimo superato l’oppressione della diversità dei secoli scorsi? E soprattutto quanto potrebbe essere “unidirezionale e chiuso” l’universo sociale a tutti noi noto se non fossimo riusciti ad accettare e accogliere le differenze che l’essere umano, in quanto tale, porta con sé?

Perché, osservando la questione in maniera più completa, condannare ogni forma di discriminazione e tutelare la libertà dei “diversi” non è solo un dovere, ma un nostro personale diritto. E non mi riferisco tanto alla visione empatica del “ciascuno di noi è diverso”, quanto alla possibilità di crescere, di evolverci e di imparare dall’altro che in una società composta da persone tra loro omologate ci verrebbe inevitabilmente e irrimediabilmente sottratta.

È vero, uscire dalla propria zona di comfort, accettare il confronto con chi la pensa in modo differente da noi, includerlo e renderlo parte della nostra vita, non è sempre facile, anzi alle volte costa proprio fatica. L’essere umano non è sempre abituato a mettersi in discussione. Spesso è convinto che le proprie abitudini siano le migliori, e considera “normali” le usanze più diffuse tra le persone che frequenta e che è abituato a vedere; al contrario considera “stranezze” o addirittura “follie” le tradizioni più lontane dalle proprie.

Osservare qualcosa al quale non siamo abituati ci porta spesso, almeno in un primo momento, a prenderne le distanze; per questa ragione se ci fermassimo al primo impatto potremmo allontanarci “quasi spaventati” da religioni diverse da quella in cui crediamo, da orientamenti sessuali differenti dai nostri, dal semplice fatto di essere uomini o donne e addirittura da differenze fisiche o psicologiche più o meno evidenti.

La realtà invece sembra dimostrarci il contrario. Sempre di più le differenze vengono apprezzate in tutti i contesti come un punto di forza. All’interno dei consigli di amministrazione delle aziende maggiormente all’avanguardia, il confronto fra diverse etnie, diversi generi e diversi orientamenti di pensiero sono ormai considerati un vero punto di forza. Per fare un esempio, considerando la diversità di genere, in ambito finanziario scopriamo che l’indicatore Hers (Holistic Equal Representation Score) di Morgan Stanley, creato per comprendere quali aziende puntano sulla parità di genere e guidare così le scelte degli investitori, rivela che indirizzarsi  verso una maggiore equità paga anche in termini di performance di borsa. «Le azioni delle aziende che puntano a sostenere la gender diversity tendono a performare meglio sui mercati e a generare rendimenti più elevati» sostengono i ricercatori che hanno condotto lo studio.

Potremmo ricercare altre prove a sostegno del valore della diversità in vari ambiti, ma il risultato apparirà tendenzialmente identico: la diversità  di ciascuno si nutre del valore della diversità degli altri. Quando riusciamo ad aprirci al confronto con chi ha caratteristiche o pensieri diversi dai nostri, quando siamo in grado di apprezzare un nuovo punto di vista e un altro modo di essere, ci apriamo alla gioia della scoperta e cresciamo permettendoci di vedere più lontano, valorizzando la profondità e l’unicità di ogni individuo… inclusi noi stessi.

  • Sergio |

    l’equità in realtà è un concetto che nasce dall’idea classista di Marx anche se affinato dai postmoderni, dovreste ricordare gli orrori di quell’ideologia e smettere di indottrinare gli studenti

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