Perché i leader in questo periodo di cambiamento faticano più che mai a trovare seguito? Perché le loro scelte sembrano esser condivise da pochi? Come mai il modo di promuoverle e sostenerle non appare fermo e convinto?
La completa inesperienza con cui i capi politici, i decisori aziendali e le figure di riferimento sociale si sono trovati ad affrontare l’emergenza Covid ha sicuramente messo in mostra come il tessuto sociale non sia pronto ad accettare che anche chi guida possa avere dei dubbi. Di solito le persone sono abituate a vivere dei cambiamenti che sono stati interiorizzati e poi proposti da chi poi conduce gli altri all’interno del cambiamento stesso. La pandemia ha ribaltato la situazione, portando tutti, leader e follower, a percepire e scontrarsi con l’emergenza nello stesso momento.
Per comprendere meglio questo fenomeno possiamo fare riferimento alla curva del cambiamento che, partendo dal modello emozionale psicologico della psichiatra svizzera Elizabeth Kubler Ross, descrive anche all’interno delle organizzazioni il percorso emotivo connesso ai processi di trasformazione.
La curva, illustrata nel grafico1, mostra come a fronte di una situazione improvvisa ed imprevista ognuno si trovi davanti ad un momento iniziale di shock e sorpresa solitamente seguito da incredulità e diniego di quello che sta accadendo. A valle di questo momento arriva la fase della consapevolezza di non aver più la stabilità precedente e della mancanza di soluzioni sicure e di risposte immediate. Qui si innesca la sensazione di frustrazione e la caduta nella cosiddetta “valle di lacrime”. Questo è il momento in cui si sente la necessità di risalire attraverso la ricerca della razionalità e la sperimentazione attiva di risposte concrete e soluzioni innovative. Il nuovo status che tende a raggiungere è solitamente caratterizzato da una ritrovata soddisfazione che può addirittura superare quella legata allo status quo precedente al cambiamento.
Ma cosa succede all’interno di un team? Come cambia questa curva dentro ad un contesto sociale o di gruppo? Sicuramente la trasformazione non impatta solo sui singoli individui bensì sull’organizzazione nel suo complesso. I ruoli all’interno del team portano con sé tempi e modi diversi di percepire e vivere il cambiamento. L’esempio più lampante può esser quello di una squadra sportiva che, durante una partita, si prepara a reagire agli attacchi imprevisti degli avversari: i giocatori in campo sono travolti dalle incursioni avversarie e non subito si accorgono della necessità di modificare la strategia. Mentre loro provano a tamponare e limitare i danni, l’allenatore riesce dal suo osservatorio più distaccato a intravedere in anticipo la difficoltà di gioco e la necessità di cambiare tattica e a superare prima degli altri il momento buio. Questo anticipo consente di ispirare la squadra attraverso proposte di gioco più strategiche e razionali.
Come si può vedere dal grafico numero 2, la diversità di ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione comporta evidentemente tempi e modi di risposta al cambiamento differenti per chi guida e per chi segue. Come dicevamo l’allenatore che guarda il gioco da fuori riesce a leggere la difficoltà della squadra prima dei giocatori. La sua frustrazione per la bassa efficacia del gioco spesso non viene percepita dagli altri e, quando superata, consente di proporre nuove soluzioni e nuove tattiche alla squadra. Questo di solito avviene proprio quando i giocatori stanno entrando nella fase di disperazione dovuta alla stanchezza fisica e al crollo mentale per un gioco poco produttivo. Allo stesso modo, in azienda o nei contesti organizzativi, chi guida ha di solito il tempo di avvistare gli imprevisti prima dei propri collaboratori e può trovare il modo di affrontare il percorso di risposta e trasformazione ispirando il gruppo e trainando le proprie persone proprio quando iniziano a sentirsi perse e frustrate.
L’arrivo della pandemia è stato invece totalmente imprevisto. La caratteristica di questo fenomeno è quantomeno peculiare: come si vede nel grafico 3 il suo impatto è arrivato per tutti, leader e follower, nello stesso momento. Nulla di simile era mai successo in precedenza e la mancanza di riferimenti passati che potessero indirizzare le decisioni ha portato i leader a compiere scelte in un contesto di totale incertezza. Scelte che hanno reso esplicita a tutti la mancanza di preparazione e l’assenza di soluzioni che potessero rivelarsi definitive o con una buona probabilità di efficacia.
La contemporaneità dello shock iniziale tra leader e follower ha inoltre portato alla coincidenza temporale dei periodi di frustrazione e non ha permesso a chi doveva guidare di poter trainare gli altri con fermezza e decisione. Questa situazione si sta riproponendo nell’attuale “seconda ondata”, all’interno della quale le soluzioni adottate durante il primo periodo di pandemia non appaiono più praticabili. Abbiamo davanti leader che adottano uno stile che nella sua indecisione appare molto umano, ma allo stesso tempo poco piace a chi brama risposte e soluzioni sicure. I follower, dal canto loro, non riescono, in questo periodo di frustrazione, ad essere di reale supporto per i leader. In condizioni come quelle che stiamo vivendo è infatti comune tendere a una risposta emotiva che conduce al disordine e alla critica distruttiva, piuttosto che provare a seguire con fiducia una strategia che, seppur incerta, pone le sue basi nella razionalità.
Ma come possiamo uscire da un momento così difficile? Risposte certe non ce ne sono, ma le riflessioni che guardano verso un domani più stabile cercano sicuramente di fare affidamento sulla responsabilità dei singoli e sulla loro capacità di prendere in mano la situazione all’interno del proprio ruolo sociale e aziendale. Da una parte possiamo sottolineare che, se prima veniva chiesto ai leader di saper portare e promuovere i cambiamenti, oggi viene chiesto loro di adattare lo stile di leadership per rispondere alla grande sfida, imprevista e non voluta, che stiamo affrontando.
In questo periodo i nuovi obiettivi di chi guida passano attraverso il saper accettare con consapevolezza le proprie difficoltà e le reazioni emotive di chi segue, attraverso il saper far squadra con i follower facendo emergere spunti risolutivi e capacità di condurre anche nei diversi ruoli del team, attraverso il condividere con le proprie persone, non tanto le soluzioni, che purtroppo non sono ancora definitive, quanto la strategia per trovarle e gli stimoli perché le risposte arrivino anche e soprattutto da chi collabora.
In altre parole, usando ancora una metafora sportiva, non serve oggi un Cristiano Ronaldo, che da solo si carichi l’intera squadra sulle spalle; ai tempi del Covid servono piccoli grandi leader in ogni ruolo, dal capitano all’allenatore, dal centrocampista all’attaccante, fino al portiere. Piccoli grandi leader che creino condivisione e coesione nelle situazioni concrete di ogni giorno, accettando che la strada per uscire si trovi per via sperimentale e con il contributo di tutti. Non appare sufficiente la ricerca di una guida carismatica ai vertici delle organizzazioni, si vogliono invece trovare in ogni ambito guide e leader che sappiano sostenersi reciprocamente assumendosi le responsabilità dei propri diversi ruoli e collaborando per costruire la risalita.