Scuola, cosa entra nelle classi della società che li circonda?

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Ma a scuola i nostri figli cosa imparano?

La domanda pare banale ma, forse, non lo è poi tanto. La notizia è di qualche tempo fa. Il fatto è avvenuto in un istituto superiore in provincia di Bari ed è stato motivo di un’interrogazione parlamentare rivolta da due deputati a 5 Stelle al ministro dell’istruzione. Al centro della questione si pone l’intervento del Movimento per la vita di inizio dicembre, in una scuola pugliese. Una discussa e discutibile lezione sul tema dell’aborto, tenuta davanti alle prime classi di un liceo di Monopoli, con toni che i parlamentari definiscono, senza mezzi termini, cruenti.

Una frase sarebbe in grado di fotografare il senso complessivo di quell’esperienza e il timbro di quel seminario, organizzato – si deve presumere col consenso del dirigente scolastico – da chi si è più volte reso protagonista di vistose campagne contro la legge 194: “La pratica dell’aborto prevede che si estraggano pezzi di gambe e braccia di bambini già formati”.

I Pro-life si sarebbero dunque rivolti così agli studenti pugliesi. Ma c’è anche di più. “Pochi giorni dopo – denunciano i parlamentari Luigi Gallo e Veronica Giannone – il docente di religione cattolica ha proiettato, sempre alle prime classi, un documentario dal titolo ‘L’Urlo Silenzioso’, del 1984, vietato ai minori, in cui si vedono scene esplicite di aborti, accompagnate da termini come ‘bambino dilaniato’ o ‘bambino smembrato’”.

Nel merito, le contestazioni sono dunque fortissime. Parlare a ragazzini di aborto, diffondendosi in spiegazioni che tentano di riprodurre verbalmente – dentro un’aula di una classe di scuola media –  metodiche prettamente chirurgiche; dare conto di descrizioni improbabili quali l’aspirazione del feto “che se va bene viene estratto intero altrimenti a pezzi”, è un fatto gravissimo e che si commenta da sé. Un approccio inadeguato e sicuramente inopportuno. Ma non solo. È un illecito tentativo di manipolazione, posto in essere dentro le mura di una scuola statale.

E allora la domanda d’apertura, forse, una risposta la merita. E, certamente, una riflessione collettiva la impone. Quali contenuti passa, in definitiva, la scuola ai nostri figli? Ce ne sono, è ovvio, di natura prettamente didattica; la trasmissione di conoscenze tracciabili e tracciate, nozioni che variano, nella parte di specialità, da indirizzo a indirizzo. C’è però anche un’area più o meno vasta che è occupata da altro tipo di formazione, destinata agli studenti che la ricevono, per così dire, dall’esterno. Ad entrare nelle aule, in quelle occasioni, è la società nella quale siamo calati. Di solito è il mondo del volontariato a condurcela. È l’associazionismo a cercare uno spazio all’interno delle istituzioni scolastiche, per avvicinare i giovani alla più stretta attualità.

book-learning-notebook-6342I temi sono importanti. Ed ecco che la scelta di introdurre in aula un certo tipo di dibattito e di approfondimento piuttosto che un altro deve provenire da fonti che non si pieghino ad intenti propagandistici o manipolatori di alcun genere. Gli studenti devono essere messi in condizione di conoscere, elaborare informazioni che poi useranno in un lavoro di costruzione progressiva della loro personale opinione. Non sono, i nostri figli, una massa acritica da convincere, insomma.

A fini di questo genere, rispondono le iniziative che si centrano sugli obiettivi posti dalla Convenzione di Istanbul, ad esempio, in tema di violenza di genere, fenomeno definito dall’OMS nel 2013 (141 ricerche effettuate in 81 Paesi) una questione strutturale globale.Si pensi alle numerose attività divulgative poste in essere negli ultimi anni, con lo scopo di formare gli alunni al rispetto e alla parità, con l’obiettivo ultimo di fermare un massacro che nel 2018 conta già oltre cento femmincidi.

Così, per una scuola – quella pugliese – che sembra aver smarrito il senso dell’insegnamento, nello stesso periodo un’altra è stata sede di una sperimentazione di tutt’altro tipo. Si è appena concluso, infatti, presso il Liceo Classico Spedalieri di Catania un ciclo di incontri voluti fortemente dal Centro Antiviolenza Galatea (realtà del volontariato che agisce in città coi suoi numerosi Sportelli dislocati presso i comuni della provincia a tutela e a supporto delle vittime di abusi) e dalla associazione NSP che raccoglie il mondo degli ex allievi dello storico istituto, nella persona del suo presidente avvocato Luca Pandetta.

chair-class-college-515168Si è offerto a un’utenza fatta di giovani in età scolare un quadro delle cause, degli indicatori della violenza, oltre a un riferimento attualissimo ai numeri di quel fenomeno ed a una definizione delle azioni a tutela. Quello espresso – sulla scorta della citata Convenzione che è primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, ratificato in Italia nel 2013, che impone allo Stato obblighi di prevenzione, oltre che di protezione delle donne e di punizione del reo – è di fatto un progetto che l’associazionismo ha cucito addosso ai ragazzi. A quello fa da specchio il Piano Nazionale per la Formazione che invece il MIUR destina agli insegnanti e che per il triennio 2016-2019, contiene in merito già un’indicazione.

Sebbene prossimo a una rielaborazione – dopo le istanze condivisibili dei sindacati che hanno chiesto e ottenuto una maggiore partecipazione dei docenti nella scelta dei contenuti – quel Piano a chiare lettere prevede “L’educazione al rispetto dell’altro; il riconoscimento dei valori della diversità come risorsa e non come fonte di disuguaglianza; lotta alle discriminazioni; prevenzione del bullismo e del cyberbullismo; potenziamento delle competenze di base e delle “life skills”; didattiche collaborative, differenziazione didattica, misure compensative e dispensative; progettazione di interventi per il recupero del disagio e per prevenire fenomeni di violenza a scuola; metodologie didattiche curriculari e sviluppo di competenze complementari  anche in orario extrascolastico che concorrono positivamente al percorso educativo complessivo”.

E, tra le linee strategiche, gli scopi sono di “Promuovere la centralità dello studente e della persona con i suoi bisogni e le sue aspettative, attivando percorsi di formazione a partire da bisogni concreti e dalla realtà quotidiana; rafforzare la capacità di ogni scuola di realizzare elevati standard di qualità per il benessere degli studenti e il recupero del disagio sociale anche attraverso la formazione di figure di referenti, coordinatori, tutor per il welfare dello studente e per la lotta al disagio sociale/bullismo”.

Si comprende allora come una cosa sia l’indottrinamento, un’altra la formazione o la sensibilizzazione.E in uno Stato laico episodi come quello denunciato dai deputati del Movimento 5 Stelle non dovrebbero davvero accadere. Le istanze di chi mal sopporta la presenza della religione cattolica all’interno di una scuola che dovrebbe rimanere presidio di laicità rimangono frustrate in maniera ancora più inaccettabile quando quell’ora diventa pericolosa propaganda, terreno fertile per estremismi e fanatismi.

active-adult-boy-981619Ecco, ma se sono i contenuti – in queste circostanze – il vero nodo da sciogliere, in realtà al centro della questione non ci sono solo quelli. C’è un profilo di cui si parla poco o niente, quando ci si spinge ad osservare le dinamiche della formazione extracurriculare e in generale l’interazione tra le generazioni. Si pensi alla partecipazione degli adulti, al loro grado di attenzione e alla loro disponibilità all’ascolto. Sarebbe infatti molto utile, oltre che interessante, riuscire a coinvolgere – come il più delle volte non accade, purtroppo – i docenti nelle attività che si progettano per i loro alunni. È esigenza sentita da chi quelle ore di formazione le tiene davanti a centinaia di studenti della cui storia personale nulla può conoscere.

Trattenere durante quei momenti anche i professori e le professoresse che invece con quei ragazzi hanno instaurato nell’anno scolastico una qualche relazione, in un certo senso, è indispensabile. Da quella permanenza e dalla condivisione dell’esperienza formativa tra docenti e discenti, passa infatti la capacità dei primi di acquisire strumenti necessari a elaborare, una volta tornati in classe con gli alunni, le informazioni trasmesse.

Non è difficile assistere al contrario – anche nelle scuole più virtuose che si aprono all’esterno con maggiore disponibilità – a un vero e proprio passaggio di consegne: intere classi migrate verso l’auditorium di turno e abbandonate ai relatori esterni da insegnanti, spesso distratti dall’esigenza di usare quel tempo per mettersi in pari con la burocrazia che sembra stare ingoiando le nostre scuole, sempre di più, come sabbie mobili.

La presenza anche fisica è attenzione, è segno di partecipazione e di rispetto non solo per chi l’educazione la impartisce ma innanzitutto per quanti, dall’altra parte, la ricevono. L’assenza al contrario è la più semplice declinazione del disinteresse.

E sempre in una lettura critica, sarebbe utile capire inoltre come certi progetti formativi vengano selezionati dai dirigenti.

I fatti di Monopoli devono dunque spingerci a indagare su quali criteri muovano certe scelte – condotte talvolta in spregio alla legge, si pensi alla 194 – e sotto quali obiettivi più grandi si ascrivano alcune esperienze che si propinano alle classi.