
Creare e vedere l’opportunità anche dove sembra impossibile: si è svolta a Kabul la prima edizione del Women Business Prize, il premio nazionale ideato da Nove Caring Humans per sostenere l’imprenditoria femminile in Afghanistan. Un traguardo frutto di uno sforzo congiunto che tiene insieme visione, impegno e diplomazia. «Abbiamo creato questo premio per incoraggiare le donne afghane ad avviare o far crescere le proprie attività, nonostante gli ostacoli che devono affrontare – spiega Susanna Fioretti co-fondatrice di Nove».
La call nazionale, autorizzata dal Ministero del commercio e dell’industria dell’Emirato islamico, in meno di un mese ha raccolto moltissime candidature da tutto il Paese, incluse le province più remote: «Le imprenditrici in varie fasi del proprio percorso, hanno dedicato tempo ed energie a preparare candidature dettagliate anche attraverso canali alternativi, spesso fuori dagli standard formali, ma fortemente simbolici – sottolineano da Nove – Tutte le partecipanti hanno risposto con grande entusiasmo, proponendo progetti di grande impatto, innovativi e visionari. Una fotografia potente e autentica della condizione economica femminile in Afghanistan oggi».
Sostenibilità, empowerment femminile e formazione per le donne più vulnerabili
Una spiccata attenzione alla sostenibilità di lungo periodo, all’empowerment femminile, alla qualità del lavoro e alla formazione delle donne più vulnerabili: sono questi i tratti comuni dei modelli di business proposti, spesso sviluppati in contesti di forte marginalità. La partecipazione registrata, insieme ai temi scelti, confermano il protagonismo economico che le donne afghane continuano a difendere: in un contesto in cui viene loro vietato di studiare, muoversi da sole e partecipare alla vita pubblica, l’imprenditoria diventa non solo uno strumento di sopravvivenza, ma una leva concreta di cambiamento, inclusivo e solidale.
Dalla proposta di creazione di reti locali di formazione per donne disoccupate, alla trasformazione di attività artigianali in piccole realtà di esportazione: i modelli di business arrivati in risposta alla call sono trasversali e lungimiranti. C’è chi ha investito in produzione alimentare e marketing digitale, chi ha avviato laboratori di sartoria sostenibile o incubatori comunitari, chi ha creato piattaforme comunitarie per sostenere le microimprese femminili più marginalizzate. Nella giuria della prima edizione del premio – intestata al Gruppo Fs Italiane, in riconoscimento del sostegno costante a Nove – rappresentanti di istituzioni, associazioni, imprese e fondazioni, sia nazionali che internazionali. «Il nostro obiettivo è creare connessioni tra le comunità imprenditoriali femminili afghane, italiane e internazionali – afferma Fioretti – Così da aprire nuovi spazi di scambio e condivisione di opportunità imprenditoriali».
Le tre vincitrici: impresa, resistenza e visione
Tre storie, tre imprese, un filo comune: credere che il cambiamento possa nascere dal lavoro. Nilab Hakimi, Nasrin Mawlany e Marziyeh Arefi sono le vincitrici della prima edizione del Women Business Prize. Donne che, in un contesto segnato da divieti e restrizioni, hanno trasformato ostacoli quotidiani in occasioni concrete di riscatto economico e sociale. La vittoria consentirà loro di ricevere un premio in denaro per sostenere lo sviluppo dell’impresa e di partecipare a un programma di mentoring di tre mesi, per rafforzare le strategie di crescita e la sostenibilità delle attività.
Costruzioni, logistica e impatto sociale: donne alla guida nei settori strategici
Nilab Hakimi – vincitrice del primo premio – è un’imprenditrice di Kabul e fondatrice, insieme alla sorella Nahed, della Nahid Neda Trading and Construction Company, un’impresa tutta al femminile nata nel 2019. Attiva nei settori strategici della logistica, delle costruzioni e della fornitura industriale, l’azienda si è affermata come partner affidabile per ong internazionali e agenzie delle Nazioni unite, distinguendosi per la gestione di operazioni complesse, come l’importazione e la consegna di macchinari pesanti e attrezzature informatiche dalla Cina. Con una squadra di 40 dipendenti, metà dei quali donne impiegate in ruoli tecnici, gestionali e di marketing, la Nahid Neda rappresenta un esempio concreto di empowerment femminile in un contesto socio-culturale tradizionalmente maschile.
La leadership delle sorelle Hakimi dimostra che l’imprenditoria femminile può non solo emergere, ma eccellere anche in ambiti “non convenzionali”. Parallelamente, hanno diversificato il business introducendo una linea di moda rivolta all’export, con una visione che coniuga creatività e strategia: la moda diventa così un ulteriore terreno di affermazione e riconoscimento per il talento femminile afghano. Per affrontare le sfide imposte da standard internazionali rigorosi, l’azienda ha investito in formazione continua e costruito un team agile, capace di rispondere con efficacia alle richieste progettuali più complesse.
Ostacoli e pregiudizi non sono mancati: «Alcuni sono sorpresi, altri infastiditi perché alcune organizzazioni danno priorità a imprese guidate da donne», racconta Nahed Hakimi. Oggi, la Nahid Neda Trading and Construction Company è riconosciuta come un modello virtuoso di impresa resiliente e inclusiva, capace di coniugare sviluppo economico e impatto sociale. Attraverso il lavoro e la determinazione, l’azienda sta trasformando i settori chiave dell’Afghanistan in strumenti di emancipazione e futuro
Igiene mestruale e autonomia economica per le donne vulnerabili
Nasrin Mawlany– a cui è stato assegnato il secondo premio – è una giovane attivista e imprenditrice sociale di Mazar-e-Sharif. Ha dato forma a un progetto tanto necessario quanto potente: produrre e distribuire assorbenti lavabili, ipoallergenici e riutilizzabili, pensati per donne e ragazze che vivono in contesti vulnerabili.
Il progetto – Alara, Innovation Team and Local Production – affronta un doppio tabù: quello della salute mestruale e quello dell’impiego femminile, formando donne disoccupate per coinvolgerle nella produzione e nella distribuzione. Ogni kit è pensato per rispettare la cultura locale, con istruzioni illustrate in dari e una pochette impermeabile. Un prodotto indispensabile, nato per rispondere a un’esigenza concreta e per promuovere una nuova consapevolezza femminile, anche nei territori più remoti.
Con la sua determinazione lucida e appassionata, Mawlany incarna il volto più coraggioso di una generazione che non vuole più aspettare: «La mia vita è stata dura, ma non la rimpiango. Mi ha resa forte. Non voglio più essere una cosa rara, come una pilota. Voglio essere una donna d’affari per aiutare i bambini e le donne povere, perché so quanto fa male essere traditi dalla società solo perché sei povero».
Trasformare lo spreco in valore, creando reddito per le donne
Marziyeh Arefi, terza vincitrice, ha scelto di partire dalla sua terra, Daikundi – una delle province più isolate del Paese – dove ogni anno tonnellate di frutta biologica vanno perse per mancanza di strutture di trasformazione. Con il progetto Shahdin Nili, Arefi vuole trasformare quel che oggi è spreco in valore: marmellate e conserve naturali senza zucchero industriale, realizzate con sciroppo d’uva e arricchite da erbe spontanee del territorio. Una filiera interamente femminile che dà lavoro alle contadine, con una forte attenzione alla qualità e alla salute. Ex funzionaria pubblica e oggi presidente della Camera di commercio femminile di Daikundi, Arefi ha avviato anche un fondo di risparmio e un comitato di coordinamento per imprenditrici.
La sua idea imprenditoriale nasce da un’esperienza personale: «Durante il periodo della Repubblica, ho lavorato nella magistratura provinciale di Daikundi e, contemporaneamente, gestivo una piccola attività personale di sartoria e vendita di tessuti. Ho assunto diverse donne, fornendo un’opportunità di reddito a sette lavoratrici». Dopo i cambiamenti politici, però, tutto è cambiato: «Le donne sono state licenziate e confinate in casa. La mia attività personale è diventata l’unica fonte di sostentamento, sia per me che per chi ci lavorava. Da questa esperienza ho imparato che affidarsi a una sola fonte di reddito è rischioso e che è necessario gestire le attività in modo strategico per resistere ai cambiamenti politici e sociali».
Così ha iniziato a progettare una realtà fondata su risorse locali, qualità e sostenibilità: «L’idea è nata un anno dopo la caduta del precedente governo, ma la mancanza di fondi e l’assenza di banche o istituzioni che concedano prestiti a Daikundi mi hanno impedito di realizzarla».
Oltre il podio: restituire alle donne afghane un accesso reale e sostenibile al lavoro
Alcuni progetti, anche se non premiati, hanno lasciato un segno profondo per la loro capacità di immaginare soluzioni concrete a problemi strutturali. È il caso dell’incubatore rurale per donne ideato da Rahela Hakimi e della piattaforma digitale per l’occupazione femminile proposta da Adiba Bari: due visioni complementari che affrontano da angolazioni diverse la stessa urgenza, quella di restituire alle donne afghane un accesso reale e sostenibile al lavoro.
Rahela Hakimi, fondatrice della Women Change Generation Organization, ha progettato il Women’s Rural Business Incubator (Wrbi): un ecosistema di sostegno all’imprenditoria femminile nelle aree più marginalizzate del Paese, come la provincia di Daikundi. Il Wrbi si propone come uno spazio fisico e virtuale dove le donne possano formarsi, ricevere mentoring da altre professioniste, accedere a strumenti di produzione e promuovere i propri prodotti attraverso una piattaforma online. Un modello basato su flessibilità, progettazione partecipativa e radicamento territoriale, che unisce formazione pratica e accesso al mercato. «Flessibilità e innovazione non sono scelte: sono strategie di sopravvivenza» afferma Hakimi.
Adiba Bari, imprenditrice e formatrice, ha invece puntato sulla dimensione digitale, con KarConnect: una piattaforma freelance pensata per connettere donne afghane – spesso laureate ma escluse dal mercato del lavoro – con clienti locali e internazionali alla ricerca di servizi digitali. Traduzione, data entry, tutoraggio, assistenza psicosociale: tutto avviene online, con un sistema che protegge le utenti e consente loro di lavorare da casa. «Per molte donne, poter lavorare da casa significa riacquisire autonomia, contribuire al reddito familiare, rafforzare l’istruzione dei figli e normalizzare – passo dopo passo – la presenza femminile nel lavoro retribuito» racconta Bari. Due proposte diverse, ma accomunate dalla stessa ambizione: trasformare la marginalità in motore di crescita, e farlo attraverso modelli innovativi, accessibili e replicabili. Perché in Afghanistan, oggi più che mai, ogni spazio di lavoro femminile è anche uno spazio di libertà.
Il premio speciale della Fondazione Avvenire: tecnologia, lavoro e rinascita
Tra i progetti presentati, uno in particolare ha colpito per la forza trasformativa del suo impatto e per il coraggio con cui ha scelto di agire nel cuore di un settore ostile alla presenza femminile. Per questo, la Fondazione Avvenire ha deciso di assegnare un riconoscimento fuori concorso ad Afsaneh Arsin, fondatrice di ArmisTech, un centro tecnologico femminile nato a Herat per offrire formazione, assistenza informatica e dignità lavorativa a giovani donne escluse dal mercato del lavoro. «Con l’assegnazione del Premio Fondazione Avvenire 2025 ad Afsaneh Arsin, riconosciamo l’efficacia del suo modello imprenditoriale, la sua capacità di guidare il cambiamento positivo e l’impatto di ArmisTech nella promozione di un futuro più inclusivo, resiliente e pieno di speranza per le donne afghane e le loro comunità» afferma Alessandro Belloli, direttore generale della Fondazione.
Nata da un piccolo servizio di assistenza tecnica a domicilio, ArmisTech si è evoluta in un’impresa sociale che offre servizi informatici, riparazioni, design digitale e ricondizionamento di dispositivi. Ma soprattutto – dando loro priorità di assunzione – ha creato uno spazio sicuro e accessibile per donne vedove, divorziate e senza marham (parente maschio stretto con cui una donna non può sposarsi e che ha il compito di accompagnarla o “supervisionarla” nella situazioni pubbliche), spesso escluse da ogni contesto lavorativo. Oggi l’impresa impiega sei persone, di cui quattro donne, e intende crescere: con il supporto del premio, Arsin vuole avviare uno spin-off per la produzione locale di cavi usb e aprire nuovi laboratori in altre città afghane, assumendo fino a 20 donne provenienti dalle comunità più marginalizzate. In un Paese dove la tecnologia è ancora dominio maschile, ArmisTech non è solo un’impresa, ma un atto di resistenza, cura e innovazione.
All’unisono, tutti i progetti arrivati in risposta alla call nazionale, dimostrano che l’agency delle donne afghane nel promuovere il cambiamento sociale è vivissima: a guidare sono le loro competenze.
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