Di padre in figlia: Cerruti, Conterno e Scavolini, la nuova era delle imprese familiari al femminile

C’è chi si è letteralmente innamorata dell’azienda di famiglia e chi invece, ha accettato un compromesso. Ma tutte hanno in qualche modo subito l’etichetta di essere “le figlie di”. Un po’ gabbia, un po’ confort zone. È la storia di Francesca Cerruti, ceo di ab medica, azienda specializzata in produzione e distribuzione di tecnologie medicali e in robotica chirurgica; di Michela Conterno, ceo di Lati, uno dei principali produttori di termoplastici tecnici e di Fabiana Scavolini, amministratrice delegata dell’omonima azienda di arredamento. Ognuna, a proprio modo, ha ereditato l’azienda di famiglia, facendosi interprete del passato e costruttrice di futuro.

Francesca Cerruti, ceo di ab medica: «Succedere, per cambiare»

«Entro in azienda, ma non lavoro con te». L’ingresso di Francesca Cerruti in ab medica, l’azienda fondata dal padre Aldo nel 1984, è avvenuto così. Con un patto che ha marcato una distanza, più che una continuità. «Non sapevo bene cosa fare da grande, forse mi sarebbe piaciuto aprire un ristorante. Ma sono stata sempre molto flessibile, così quando mio padre mi ha imposto di entrare in azienda, ho accettato a modo mio» racconta Francesca.

ab medica, il cui nome si deve alle iniziali del padre (Aldo) e della madre (Bianca), oggi è un colosso dell’innovazione medicale da oltre 270 milioni di euro (dato 2024) e 430 dipendenti, capofila di un gruppo di aziende distribuite tra Italia, Svizzera, Francia, Spagna, Portogallo e Marocco. Una realtà che Francesca ha visto crescere pian piano. Al suo ingresso nel 2006, i dipendenti erano molti meno della metà: ottantacinque. «Era un’azienda commerciale – ricorda – ma già all’avanguardia in termini di tecnologie, desiderosa di portare l’innovazione nelle sale operatorie».

Superare la cultura patriarcale

I primi passi sono stati al fianco del responsabile commerciale, tutt’ora il suo braccio destro. Con lui, ha iniziato a conoscere meglio l’azienda, a partire dai ruoli più operativi. «Ho compreso fin da subito le enormi potenzialità, ma ho anche iniziato a notare tutto ciò che non mi piaceva: la cultura patronale, anzitutto. Ab medica era un’azienda composta per il 70% da donne, ma tutti i dirigenti erano uomini. Io volevo rompere quell’ipocrisia – rivendica -. Anche il linguaggio era prettamente patriarcale: capitava, ad esempio, che non solo gli uomini, ma anche alcune donne dessero delle “galline” ad altre colleghe».

Perciò, quando è arrivata alla guida del gruppo, Francesca Cerruti ha ridato valore ai talenti femminili, riconoscendone merito e competenze: un percorso che ha portato l’azienda a ottenere la certificazione della parità di genere (UNI/PdR 125:2022) e a collaborare con Fondazione Libellula per sensibilizzare sulle tematiche legate alla violenza di genere e alla discriminazione, diffondendo una cultura aziendale basata sul rispetto e sull’inclusione. Un cambiamento che Cerruti vorrebbe fosse molto più ampio.

Lei, come presidente di Assolombarda per la zona Altomilanese, per il quadriennio 2024-2028, ha il compito di guidare le aziende del territorio verso una visione comune che promuova le pari opportunità per ridurre il divario di genere, incoraggiare la consapevolezza ambientale e diffondere una cultura di sicurezza e prevenzione. «Quando siedo a certi tavoli mi rendo conto che la partecipazione femminile è ancora un’eccezione. C’è molto da fare, soprattutto a livello istituzionale: stiamo vivendo una vera crisi» denuncia.

Managerializzare l’azienda

Il passaggio generazionale è avvenuto, di fatto, nel 2019, ovvero due anni prima che suo padre venisse a mancare. Gli eredi (quattro fratelli da tre madri diverse) hanno stretto un patto di famiglia che ha visto Francesca prendere la guida della società italiana e spagnola, sua sorella Michela, occuparsi di una delle società del gruppo, la sorella Alice, rimanere azionista senza incarichi operativi e il fratello Alexandre Blanc, assumere la quota di maggioranza delle filiali in Francia e in Svizzera. «Il patto ci ha aiutati a dividere le responsabilità, in modo che ognuno potesse portare avanti il proprio ruolo con autonomia».

Oltre alla cultura dell’inclusione, un altro grande cambiamento portato dalla nuova ad è stato nell’organigramma aziendale che ha rafforzato, managerializzando l’azienda. «Per molti, è stata una forzatura e c’è chi ha scelto di andare via, ma per me questo è stato un passaggio fondamentale» riconosce. Le ha permesso di creare quello che oggi definisce un “ecosistema virtuoso”, in cui ognuno sceglie la propria dose di compromesso: «Sono convinta che sul lavoro sia necessario sacrificare il 10% di noi stessi per abbracciare una visione comune. Apparentemente sembra una forzatura, ma in realtà – assicura Cerruti – è un distacco sano che pone le basi per una crescita inclusiva e sostenibile».

Michela Conterno, da outsider a ceo 

È cresciuta tra le versioni di latino e greco, lontana sia culturalmente che fisicamente dalla Lati, l’azienda fondata a Vedano Olona (Varese) da suo nonno Cosimo nel 1945, specializzata in materiali termoplastici tecnici per il settore elettrico, elettrodomestico, industriale e dei trasporti. Oggi, Michela Conterno, ne è amministratrice delegata, alla guida di una realtà che fattura 148 milioni di euro (2024) e conta 313 dipendenti, con filiali in Europa, Cina, America e una joint venture in India.

«I miei genitori si sono separati quando ero piccola, è stato un divorzio complicato che ha segnato moltissimo il rapporto con mio padre Francesco. Ma quando ho scoperto la Lati, è stato un colpo di fulmine. E lo è stato, nonostante in quel periodo l’azienda stesse attraversando una dura crisi» racconta Conterno.

Dopo gli studi al liceo classico e la laurea in economia all’università Cattolica di Milano, è arrivata in azienda seguendo il suggerimento del commercialista di famiglia. Il padre, già alla guida della seconda generazione, mostrava i primi segnali di una malattia degenerativa che avrebbe influenzato profondamente la sua leadership. «Le difficoltà in cui versava l’azienda mi hanno motivata a fare un passo avanti. Mi sono innamorata della qualità industriale del progetto, della sua solida reputazione tecnica e della dimensione internazionale della Lati che esportava già più del 60% e aveva filiali in Europa e oltreoceano, anche se la parte americana non andava bene» ricorda l’ad.

Colmare i gap, ricucire le fratture

Conterno ha iniziato il proprio percorso in azienda occupandosi di fatture, conciliazioni bancarie e controllo di gestione. E nel frattempo, ha studiato moltissimo per recuperare il gap tecnico ed essere alla pari dei manager di cui si circondava suo padre. «Essere una donna con un background non ingegneristico poteva essere un problema, ma non mi sono data per vinta: mi sono formata e ho cercato mentori interni ed esterni. Ero determinatissima» ammette. Così, dall’amministrazione è passata al marketing e alle vendite internazionali. Cina, India, Turchia: ha esplorato mercati, firmato accordi, conquistato nuovi clienti, facendo leva su quella passione per la multiculturalità che aveva scoperto da piccola partecipando a un percorso di Intercultura.

È stata una fase intensa, a tratti dolorosa. A seguito di un conflitto con il padre, si è allontanata per tre anni dall’azienda, intraprendendo un’esperienza come headhunter nel settore chimico-plastico in Michael Page. Il rientro è avvenuto nel 2010, su proposta di un consulente esterno. Tornata come responsabile export, ha iniziato a gestire sei Paesi dell’Europa dell’Est. «Sono stati anni trascorsi letteralmente in volo: la mia base era in Francia, ma ogni weekend tornavo a Milano dal mio fidanzato e nel frattempo viaggiavo per raggiungere i mercati est europei. Fino a che, nel 2016, con il peggioramento delle condizioni di salute di mio padre, c’è stato il passaggio di consegne vero e proprio e sono diventata amministratrice delegata».

Innovare, nelle tecnologie e nella leadership

Da allora, Michela Conterno guida un processo di profonda trasformazione. Il padre, tutt’ora presente, è il garante dei valori e della storia, mentre lei è responsabile del rilancio e della modernizzazione dell’azienda. «Ho continuato a valorizzare ciò che di buono già esisteva: la qualità del prodotto e la dimensione internazionale, prima di tutto. E ho innovato, investendo su automazione, digitalizzazione e sostenibilità. Un aspetto, quest’ultimo, che era già parte del nostro dna (l’azienda infatti era nata per trasformare i residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale in nuove risorse, riciclandone i materiali, ndr), ma a cui ho dato forma in maniera strutturata. Il tutto – ammette – con un profondo rinnovamento in termini di leadership».

Anche in questo caso, la nuova ad, si è distanziata da una guida basata su esecuzione e controllo, per abbracciare una dimensione fatta di fiducia e risultati. Meno paternalismo e più responsabilità condivise. Specie oggi, alla luce delle grandi sfide che l’azienda deve affrontare. «In un contesto globale incerto, segnato da tensioni geopolitiche, dazi e instabilità energetica, l’Europa resta un mercato complesso, ma strategico; mentre nuove opportunità arrivano da mercati come l’India, dove abbiamo siglato una partnership con una famiglia imprenditoriale locale» commenta.

E aggiunge: «Oltre all’espansione internazionale, la sfida è continuare a far evolvere la cultura organizzativa, con una visione più olistica dell’impresa, capace di andare oltre la tecnica per abbracciare l’innovazione sistemica». Lati, infatti, è diventata una società benefit, ha ottenuto la certificazione per la parità di genere e ha aperto il suo consiglio di amministrazione a consiglieri indipendenti, per il 50% donne. Anche sua sorella gemella Livia, che inizialmente aveva scelto di rimanere esterna all’azienda per occuparsi di etologia, è diventata azionista e presidente del board con delega agli affari sociali. Non solo, Michela Contorno ha fondato la rete “Women in Plastics”, che conta 130 socie, per rendere più inclusivo un settore in cui il gap di genere è ancora molto forte.

«Nel 2025, in occasione di nostri primi 80 anni di attività, siamo stati riconosciuti dal ministero delle Imprese e del Made in Italy come “Marchio storico di interesse nazionale“. Essere tra le aziende che hanno segnato la storia industriale italiana mi riempie di orgoglio – commenta Michela Conterno – e mi spinge a continuare questo cammino di evoluzione, forte delle nostre persone, di radici solide e di una visione di lungo periodo».

Fabiana Scavolini, l’arte di condividere

È il 1995 quando Fabiana Scavolini, appena laureata in Economia e Ccmmercio all’Università di Bologna, entra in azienda. Inizia nell’ufficio marketing, si occupa di segreteria, pratiche amministrative e commerciali. Nessuna scorciatoia, nonostante il cognome. Perché in un’azienda di famiglia, ogni passo va conquistato. Da allora sono passati quasi trent’anni e oggi è lei il volto di Scavolini S.p.A., marchio simbolo dell’arredamento italiano nel mondo. Dal 2012 è amministratrice delegata e vicepresidente del consiglio di amministrazione. Dal 2018 guida anche Scavolini France Sas.

«Sono cresciuta a pane e basket (la Scavolini è stata dagli anni ’70 sponsor della squadra di basket del Pesaro, ndr), ma di impresa sapevo poco. Ho imparato a conoscere l’azienda, rubando con gli occhi, in affiancamento a diversi collaboratori e a mio padre. Da lui, ho appreso una competenza fondamentale: la capacità di ascoltare chi si ha davanti con interesse attivo» confida Fabiana.

Suo padre, che aveva dato avvio all’avventura imprenditoriale nel 1961 con il fratello Elvino, è tutt’ora in azienda. La Scavolini, però, non è più una piccola realtà di produzione artigianale di cucine. Il progetto industriale è cresciuto negli anni ’60 trainato dall’intuizione della cucina componibile, negli anni ’80 è stato spinto dalla forza della comunicazione e dagli anni ’90 in poi dall’internazionalizzazione.

Dalla Grecia alla Cina, dagli Stati Uniti ai Paesi Arabi, l’azienda esporta oggi in tutto il mondo. Attualmente conta oltre 300 punti vendita esteri che si aggiungono ai 900 in Italia. Nel 2007 è nata Scavolini Usa inc, con sede a New York nell’iconico quartiere di Soho. Nel 2014 è arrivato l’ufficio di rappresentanza a Shanghai, nel 2015, la branch UK, e nel 2018, la controllata Scavolini France sas. I dipendenti sono oggi oltre 720 e il fatturato 2024 è stato pari a 240 milioni di euro.

Oltre i pregiudizi

«Non è stato un passaggio verticale, top down, ma molto circolare e condiviso. Già nel 2001, noi figli con i fondatori abbiamo sottoscritto un patto di famiglia con l’aiuto di alcuni consulenti. Abbiamo capito che servivano regole chiare, perché nel lavoro, prima viene l’azienda e poi la famiglia. Questo lo dobbiamo alle 700 persone che lavorano con noi, all’indotto, ai fornitori» chiarisce.

La scelta che fosse Fabiana, ad affiancare il padre nella conduzione dell’azienda è stata naturale e condivisa con i famigliari, poiché era la persona più coinvolta nei diversi ambiti aziendali, dal marketing alla progettazione al commerciale, sia in Italia che all’estero, lavorando a stretto contatto con lui.

«Non ho sentito particolarmente il peso del genere, più quello della generazione. Da “figlia di” ho sempre dovuto dimostrare qualcosa in più. Ho imparato a mettermi in discussione ogni giorno, senza mai dare nulla per scontato. Questo mi ha portata a valutare le persone sulla base della loro preparazione reale. Giudicare sulle competenze, lasciando da parte i pregiudizi, è un ottimo antidoto anche al gender gap. Non amo le etichette, neanche in questo caso. E non credo esista una leadership migliore di altre solo perché “femminile”. Credo, piuttosto, nelle leadership condivise» assicura.

Far crescere la terza generazione

Con il patto di famiglia, sono stati definiti tavoli, ruoli e responsabilità ben precise dei singoli i membri; insieme a Fabiana Scavolini nel consiglio di amministrazione siedono: sua cugina Emanuela Scavolini, responsabile risorse umane e presidente della fondazione Scavolini e il fratello Gian Marco, che si occupa di qualità e ambiente ed è presidente di Scavolini Usa, mentre suo cugino Alberto Scavolini è amministratore delegato di ernestomeda, azienda acquisita nel 1996. Gli altri quattro cugini sono al momento fuori dall’azienda.

Lo stesso approccio è stato adottato per coinvolgere la terza generazione: dal 2019, i ragazzi della famiglia sopra i 16 anni hanno iniziato a partecipare a un percorso strutturato di orientamento e formazione, con tutor dedicati e anche incontri con imprenditori di altre realtà familiari. Due di loro sono già in azienda: Vittorio Naldi, responsabile commerciale Italia, ed Eleonora Fiumani, all’interno dell’ufficio progettazione mostre.

«Io e i miei cugini crediamo sia importante trasmettere il valore del fare impresa alle nuove generazioni. Una leadership condivisa – assicura Fabiana Scavolini – si costruisce insieme, pezzo dopo pezzo».

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