Monica Maggi: “Così ho salvato 8mila libri dal macero”

Monica Maggi ha salvato quasi 8mila libri. Li salva dal macero, dalla distruzione, dall’oblio. Li carica su auto e furgoni. E trova loro altre case, nuovi utilizzi e nuove vite. Monica Maggi incanta, perché attraverso i libri costruisce ponti tra le persone e tesse trame di incontri inaspettati, convinta com’è che occorra recuperare la bellezza delle relazioni reali per non cedere all’impersonalità delle tecnologie “massicce e massive”.

Come nasce la sua vocazione al salvataggio dei libri?
Per anni ho fatto la giornalista: prima la cronaca locale dai paesini dell’area Flaminia-Cassia-Tiberina, poi la cultura. Ho lavorato per la carta stampata, per la radio e la televisione. Nel 2009 ho accettato la proposta di aprire una libreria a Morlupo, un comune di poco più di 8mila abitanti nella Città metropolitana di Roma. È cambiato tutto, perché ho toccato con mano ciò che normalmente non si conosce del mondo dei libri: in tre anni ho imparato tantissimo e ho dilapidato i risparmi di una vita, quello che avevo messo da parte con mio marito. Abbiamo speso tutto, perché un’impresa commerciale basata sui libri è perdente.

Una pessima notizia. Perché è perdente?
Se il libro viene trattato come un oggetto commerciale tra tanti è perdente per tutti, anche per le grandi catene. Figuriamoci per le librerie indipendenti, che infatti chiudono. Guardi a Roma Odradek, la Libreria del viaggiatore. Tutti i librai si trovano costretti, a un certo punto, a dover riempire la libreria di eventi, di appuntamenti culturali: un modo come un altro per attrarre clienti. Che entrano, ma non è detto che comprino libri.

E poi i libri non vengono più direttamente dalla casa editrice, bisogna passare attraverso la distribuzione. Il risultato è che al libraio, dei 15 euro del prezzo di copertina, rimangono 2 euro, con cui si deve pagare tutto. E allora quanti libri si possono comprare? Costano sempre di più e i soldi sono sempre di meno. Nel 2012 ho dovuto chiudere i battenti. E ho aperto un’associazione con lo stesso nome della libreria: Libra, ossia libro al femminile. Lì ho cominciato a fare tante attività culturali.

Come Pagine Viaggianti. Ci spiega cos’è e come è nato?
Pagine Viaggianti è un progetto nato nel 2013, ma è diventato così forte – tanto che adesso è il mio impegno 24 ore su 24 – grazie al Covid. All’inizio era soltanto un passatempo. Io lavoravo soprattutto con i centri anziani e nelle scuole con lettura a voce alta, laboratori di poesia e di scrittura.

Con la pandemia ho perso 7 collaborazioni, come è successo a tante persone, ma appena le attività hanno cominciato a riaprire mi sono chiesta: adesso che cosa mi metto a fare? Avevo già 61 anni. Ho ripreso in mano i contatti con il Municipio III e, alla luce del fatto che potevano essere aperte le farmacie, gli alimentari e le librerie, mi sono detta: io ho i libri. Allora mi sono fatta dare un banco al mercato Tufello. E lì, il giorno di Ferragosto di 3 anni fa, è avvenuto il miracolo.

Che cosa è successo?
Al mercato è stato allestito un punto libri, come poi è avvenuto al Foro Contadino nel quartiere Nuovo salario e oggi al mercato Serpentara di via Virgilio Talli, con libri di ogni tipo: arte, letteratura italiana, straniera, storia, filosofia, saggistica, ragazzi, bambini. Non in ordine alfabetico, ma divisi per genere.

In più c’è un bancone centrale, quello che viene rifornito più velocemente e che noi chiamiamo “il mischione”, e un magazzino gigantesco. Perché? Pagine Viaggianti, oltre a donare libri, offre un’alternativa al cassonetto: se qualcuno ha bisogno di gettare volumi, le biblioteche e le scuole non li prendono, le carceri idem. Io dico: portateli da me. Il risultato è che raccolgo libri continuamente. Sembro la Muratella (un famoso canile romano, ndr) dei libri.

Tutto gratis?
Sì, ma molti mi chiedono come possono sdebitarsi. Come associazione, io posso ricevere un tesseramento, 10 euro l’anno, o un’offerta. Libera. Ci sono persone che portano via intere cassette di libri a 1 euro. E per me va bene, perché vanno a segno tre obiettivi: non si buttano i libri, la gente legge e non spende.

Poi ci sono quelli che portano libri e lasciano offerte senza prendere niente in cambio. E chi fa bookcrossing: porta due libri a casa e ne lascia altrettanti. Io raccolgo e smisto.

Verso quali lidi?
Faccio qualche esempio. C’è un’associazione animalista che sta facendo una raccolta fondi. Firmiamo un contratto, per cui io dono loro dei libri, che possono usare come vogliono. Anche per raccogliere fondi. Oppure: ci sono paesini, come Saraceno e San Giorgio Morgeto, in Calabria, che mi hanno chiesto libri per realizzare mini-biblioteche.

Uno stabilimento balneare in Sardegna ha voluto tre scatoloni. Un carcere vicino a Bari mi ha inoltrato una richiesta. Tutti mi pagano solo le spese di spedizione. Oltre all’offerta spicciola del sabato e della domenica nei mercati c’è anche questa possibilità organizzata.

Sono loro a contattarla? Si è sparsa la voce che salva libri…
Ho continue richieste, da parte di chiunque voglia creare una piccola biblioteca. Come quattro scuole medie in Aspromonte. Mi cercano, perché sanno cosa faccio. Sono anche nell’ecorubrica di Ama, la società capitolina dei rifiuti: per il progetto “Il tuo quartiere non è una discarica” una volta al mese sono presente nei municipi pari o dispari. La gente va a buttare il metallo, la plastica, il legno. E i libri. Io mi prendo i libri.

E ci sono anche i social, dove lei è nota con il nome “La libraia felice”…
Una volta per scherzo ho pubblicato su Twitter un paio di foto, ed è successo il finimondo. È diventato un gioco. Io metto le foto delle “pilette”, orizzontali, in modo da far leggere i titoli. Quando manco per un po’, mi domandano: “Quand’è che rimetti le pilette?”. Sembra buffo, ma è così.

E che mondo vede donando salvezza ai libri?
Una persona mi ha scritto: “Tu regali la speranza”. Forse è vero. Si è creata una rete di contatti meravigliosa. Persone che da Twitter e dagli altri social poi arrivano fisicamente nei mercati dove mi danno il banco.

Mi si è spalancato davanti un mondo bellissimo, pieno di persone che trovano nei libri quello che probabilmente ho sempre trovato io, e per cui è nato questo progetto: il sollievo, la consolazione, la compagnia, l’identificazione, la condivisione. I personaggi che ti fanno sognare, il distacco da una realtà che molto spesso è pesante. Un mondo che io già conoscevo a 12 anni, quando leggevo come una disperata, e non è cambiato.

Dunque non è un mondo al tramonto?
Sta scherzando? È un mondo che ha una voglia pazza di bellezza e di stare insieme, anche attraverso qualche citazione, qualche poesia, qualche suggerimento. Siamo sempre più affamati.

Eppure aumentano le case dove non c’è neanche un libro.
Devo riconoscere che le case in cui vengo chiamata per portare via i libri mi fanno stringere il cuore, perché appartengono a una generazione che poteva essere quella di mia madre o di persone poco più grandi di me. Persone che non ci sono più, i cui figli non hanno gli spazi per tenere i libri. Mi chiedo sempre: chissà cosa faranno dei miei libri i miei figli quando me ne andrò. Pensarci è inevitabile. Però a me scrivono anche ragazzi di vent’anni, che vengono al mercato e si riempiono di libri. E non libri leggeri: Sartre, Simone de Beauvoir, Calvino, Hesse, Saramago. Mi dico: meno male.

Non vede una frattura tra generazioni, per cui quello che sta salvando è anche un mondo in via di estinzione?
No. Le zucche vuote ci sono state sempre e ci saranno sempre, non vedo un mondo in via di estinzione e neppure una frattura tra generazioni. Vedo però una grande distrazione in questa tecnologia massiva e massiccia, che si traduce in una difficoltà nello stare insieme. Per questo quando organizzo Onda Poetica sono felice: ci sono sempre almeno 30 persone a leggere poesie. Tutti emozionati, perché forse c’è grande bisogno di recuperare questi spazi comunitari, intorno a passioni reali e non a passatempi temporanei e virtuali. Persone a cui è piaciuto talmente tanto leggere qualcosa, che so, un verso di Chandra Livia Candiani, che adesso vogliono leggerla agli altri. Non c’è altro.

Onda Poetica come funziona?
Ci riuniamo e leggiamo poesia. Cinque minuti per uno, basta che non siano poesie proprie. Abbiamo già fatto dodici edizioni. È cominciata subito dopo lo scoppio della guerra. Ero molto arrabbiata e ho deciso che dovevo fare qualcosa. Ho organizzato 3 giorni a teatro, ci siamo autotassate. Eravamo 52, abbiamo pagato la Siae e abbiamo fatto la prima Onda.

Subito dopo la abbiamo ripetuta in un parco, al mare, in un altro teatro, in uno studio di psicoterapia, nella biblioteca di Sacrofano, di cui ho la direzione eventi, un un centro yoga, in un bosco. Chi vuole mi dà uno spazio. Io organizzo e mi seguono. Partire da ciò che fa bene a me, da ciò che mi fa stare bene, aiuta: le persone capiscono che non sto recitando, che la spinta è semplice e autentica.

Il salvataggio più bello che ricorda?
A casa di una donna, scomparsa a 72 anni. C’erano i figli, uno mi ha detto: “Vieni in questa stanza. Mia madre era insegnante, aveva un sacco di interessi e qui ci sono dei testi sul femminismo”. Ha tirato giù una cartellina che conteneva i verbali originali delle assemblee di via Pompeo Magno e di via del Governo Vecchio del 1974, a Roma, dove si parlava di autocoscienza femminile e si facevano osservazioni punto per punto sul testo sul diritto di famiglia, alla vigilia della riforma. Ho parlato con Giovanna Olivieri della Casa delle donne e mi ha confermato il valore di ciò che ho trovato. Probabilmente glielo cederò per Archivia, ma farò delle fotocopie. Le conserverò nella mia biblioteca personale, accanto a “Noi e il nostro corpo”, “Dalla parte delle bambine”, e altri libri che considero sacri. Quella parte non si tocca.

Anche a casa di un’altra donna, una psicoterapeuta che aveva viaggiato molto in India, c’erano libri un po’ esoterici, molto introspettivi, molto particolari. Il fratello mi ha lasciato una statuina del Buddha. Toccante. La verità è che attraverso i libri ricostruisci l’identikit di chi c’era prima.

Due esempi, due donne. Quanto c’è di femminile nel lavoro che fa?
L’80%. Innanzitutto perché noi siamo grandissimi lettrici. Ma poi anche perché c’è una sottigliezza tutta femminile nel collezionare libri e creare biblioteche. Se mi facessero indovinare, saprei sempre riconoscere di chi è una biblioteca. Per i libri che ci sono, per come sono stati sistemati, per gli appunti che contengono. C’è una specie di metodo di conservazione che è tutto femminile. Gli uomini hanno meravigliose biblioteche, anche molto molto ordinate, ma spesso molto fredde.

Noi donne abbiamo un rapporto d’amore con i libri?
Nei libri delle donne trovo cartoline, dediche, tantissimi fiori secchi. Ho salvato un libro Cuore pieno di rametti di mimosa e stelle alpine. È incredibile. E non è un mondo del giurassico.

Potrebbe vivere con ciò che guadagna da queste attività?
Assolutamente no. È una forma di volontariato, a cui unisco l’incarico alla Biblioteca comunale di Sacrofano, dove ho vinto un bando per curare gli appuntamenti culturali e gli eventi. Vale quattromila euro, e duemila li ho dati alle associazioni che collaborano con me per costruire un calendario che possa essere interessante per il territorio: Uniamo Sacrofano, Amici di Sacrofano, il Comitato del borgo medievale e i Lions di Sacrofano. Questa è la dimensione.

Mio marito è pensionato, a fine mese arriviamo. Ma non mi interessa il guadagno. Io ho azzerato i bisogni indotti, di cui siamo sempre più vittime: no boutique, no cene fuori, ho una vecchia Panda con cui porto i libri avanti e indietro. L’unico lusso che mi concedo è la pappa ai miei cani e gatti, che sono un po’ anziani. Li tratto molto bene. Spesso sono migliori di noi esseri umani.

Il suo essenziale è altro…
Sì. È stare con le persone, organizzare cose belle, recuperare più libri possibile. Mi fa paura che si possano perdere tracce importanti.

Che si perda memoria?
Certo non posso salvare tutto, ma salvo tutto ciò che è possibile. Anche collezioni di francobolli: un generale mi ha regalato circa 250 album di sua sorella. Buttarli è un dolore. Con i libri brutti o illeggibili, che esistono, si possono fare tante cose: alberi di Natale, poltrone, tavolini, installazioni. Si creano altre cose. Le enciclopedie sono perfette per fare le poltrone.

Che cosa va per la maggiore?
Non faccio in tempo a mettere le fotografie dei russi che si accapigliano per averli: Anna Karenina, qualsiasi libro di Dostoevskij. E poi Calvino, i classici francesi come Victor Hugo, Grazia Deledda, Matilde Serao, spesso introvabile. Natalia Ginzburg. Piace molto anche la poesia, un po’ particolare: autrici come Patrizia Valduga, Patrizia Cavalli, Alexandra Pitzernick, Amelia Rosselli. Goliarda Sapienza, soprattutto “L’arte della gioia”, va a ruba. Kiepling, Boll, Brancati, Flaiano, Gadda. E i Camilleri. Alcuni sono affezionati alle case editrici: Einaudi, Sellerio. Sono riuscita a spedire i volumoni, anche spaiati, della Storia d’Italia della Einaudi. La filosofia va tantissimo.

Sembra la descrizione di un universo ostinatamente controcorrente…
Lo è. Ci sono collezionisti di Agatha Christie. Ho da poco messo la fotografia di 24 volumetti di Bignami. Hanno adottato anche quelli. C’è una quarantenne di Mantova a cui mando due scatoloni di libri a settimana. Di vecchia cucina, filosofia, musica. Adesso le sto inviando poesie dei lirici greci. C’è un ragazzo adottato dalle Filippine che viene con il padre e la madre. Era stato a Recanati, aveva visitato la biblioteca di Leopardi e ha avuto una specie di fulminazione: è tornato a casa esprimendo il desiderio di averne una in camera così. Allora sono venuti da me e hanno preso di tutto. L’Eneide, l’Orlando furioso, l’Orlando innamorato, La Gerusalemme liberata. Leopardi in tutte le salse, “I tre moschettieri”. Non avrà neanche vent’anni. Il mondo non è brutto.

Il libro che lei non abbandonerebbe mai.
Probabilmente “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estes e “La gioia di scrivere” di Wislawa Szymborska. Oppure “Noi e il nostro corpo”. Sicuramente un libro di una donna che parla di donne. Perché noi possiamo passare attraverso le mode, i tagli dei capelli, gli abiti, i cambiamenti culturali, emotivi e affettivi, ma siamo sempre noi. E abbiamo bisogno di questo ripasso sul nostro essere sempre noi: i punti di riferimento, fondamentali, di partenza e d’arrivo. Testi che dovremmo tenere sul comodino: le nostre bibbie.

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“Donne di editoria” è un viaggio a puntate di Alley Oop, ideato e curato da Manuela Perrone, tra le professioniste che a vario titolo lavorano nel settore dei libri: editrici, libraie, scrittrici, bibliotecarie, comunicatrici, traduttrici. Tutte responsabili, ciascuna nel proprio ambito, di disegnare un pezzo importante del nostro immaginario e della nostra cultura.

Qui la prima intervista alla libraia Samanta Romanese.
Qui la seconda intervista alla filosofa ed editrice Maura Gancitano.
Qui la terza intervista all’illustratrice Daniela Iride Murgia.
Qui la quarta intervista alla editor Flavia Fiocchi.
Qui la quinta intervista alle libraie Maria Carmela e Angelica Sciacca.
Qui la sesta intervista alla poeta Elisa Donzelli.
Qui la settima intervista alla editor Ilena Ilardo.
Qui l’ottava intervista alle scrittrici Giulia Cuter e Giulia Perona.
Qui la nona intervista alla editrice Mariangela Tentori.
Qui la decima intervista alla editrice Erica Isotta Oechslin.

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  • Rocco |

    Cara Monica, come faccio a contattarti ? Sono il presidente di un’associazione per disabili

  • Elisabetta Poggioli |

    Sono interessata ai vostri argomenti

  • paolo grippo |

    gentile Monica ho centinaia di libri e collezioni complete di periodici come EPOCA PANORAMA CORRIERE DEI PICCOLI ecc vorrei donarle
    Paolo

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