I grandi dolori ci cambiano la vita. E spesso, ci rendono migliori. Così è stato per Elisabetta Dami, scrittrice da oltre 180 milioni di libri venduti in tutto il mondo, tradotti in 49 lingue diverse. Oggi universalmente riconosciuta come la mamma di Geronimo Stilton, il topo intellettuale e pasticcione protagonista della famosissima serie letteraria, Elisabetta ha creato la sua impresa a partire da una sofferenza intima e profonda: la maternità negata.
Ritrovare il sorriso
«È accaduto tutto quasi 25 anni fa, quando ho scoperto di non poter avere figli. Ho iniziato a fare volontariato negli ospedali, era il tempo di Patch Adams, il medico che si vestiva da clown per donare un sorriso ai bambini in ospedale. Io non sapevo fare il clown, ma mi sono ispirata a lui. Ho preso la penna e ho iniziato a immaginare le avventure di un personaggio gentile e coraggioso, divertente e onesto. La verità è che volevo trovare un modo per alleviare la mia sofferenza e quella di molte altre persone» racconta.
Non avrebbe mai immaginato che una favola nata quasi per caso l’avrebbe portata a diventare madre adottiva di milioni di giovani lettori e lettrici a ogni angolo del pianeta. «Ho scoperto che la narrazione è uno straordinario strumento di unione. Le mie storie parlano di lealtà, onestà, sincerità, amicizia, inclusione, solidarietà e cooperazione. Sono i valori che ho appreso da mia nonna e che voglio continuare a trasmettere ai bambini. Anche oggi, anzi, specialmente oggi» confida a margine degli Sky Inclusion Days con FIGLI ≠ GENITORI, evento sui temi dell’inclusione e della diversità, organizzato da Sky in collaborazione con l’associazione non profit Lidia Dice…
Donna nell’editoria
Così, si è fatta strada nel difficile mondo dell’editoria, in un tempo in cui per le donne era forse ancora più difficile. Nonostante sia nata da un papà che aveva fondato una casa editrice di libri per ragazzi, Elisabetta Dami, ci tiene a sottolineare che non ha avuto nulla in regalo, se non gli insegnamenti. «Mio padre era severissimo: ai tempi non c’erano i computer, mi dava l’incarico di battere a macchina i contratti con la carta carbone e se trovava anche solo un piccolo refuso, mi faceva ricominciare. Andavo avanti anche tutta la notte. Questo mi ha fatto imparare che il lavoro deve essere impeccabile. Non importa quale tipo di impiego hai: devi impegnarti, sacrificarti, fare fatica per raggiungere i tuoi obiettivi».
Una lezione che vale doppio per le donne. «Ogni volta che vedevamo una donna al vertice, con le mie amiche pensavamo: “Ecco, lei deve essere brava il doppio rispetto agli altri se è riuscita ad arrivare fino a lì” – ricorda -. Oggi le cose stanno cambiando, ma dobbiamo ancora lottare per sfondare il soffitto di cristallo. È un messaggio che porto anche nei miei libri con Tea, la sorella di Geronimo, che è poi la vera protagonista: è lei che ha la moto, è lei che fa paracadutismo».
Una vita al limite
La giovane Tea porta in dote molto di Elisabetta Dami, una donna che ha sempre ricercato dei limiti da sfidare, per se stessa e per gli altri. Ha corso tre maratone a New York e la mitica 100 km nel Sahara, ha scalato il Kilimangiaro e intrapreso un campo di sopravvivenza a 25 gradi sotto zero del Maine, si è lanciata in paracadute e ha preso il brevetto da pilota di aerei. È stata finanche adottata da due tribù di nativi americani, il Popolo degli Hopi (nel Clan del Ragno) e il Popolo dei Cherokee (il Clan del Lupo), che hanno riconosciuto in lei la saggezza di chi sa raccontare storie per aiutare i giovani a crescere in modo sano.
Ma qual è il segreto per vivere una vita così straordinaria? «Senza dubbio, la gentilezza. Sono i piccoli gesti di gentilezza che rendono migliori le nostre comunità» assicura. I suoi primi 42 km nella Grande Mela sono d’esempio: «Era un periodo in cui ero molto provata fisicamente. I medici mi avevo detto che non ce l’avrei fatta, ma ho studiato una tecnica che mi ha consentito di arrivare, camminando piano piano, fino al traguardo. La mia forza? Due miei amici maratoneti che, anziché correre, hanno camminato al mio fianco. Hanno fatto un gesto gentile che mi ha resa più forte».
Il potere delle parole
«Non solo – ricorda la scrittrice – quella maratona l’ho corsa avendo sul pettorale il nome di un’associazione, “Il granello”, che rappresenta ragazzi diversamente abili. Così tutti hanno tagliato il traguardo con me». Condividere, quindi, per fare bene insieme. Anzi, meglio. «Possiamo riuscirci solo se non abbiamo paura di chi è diverso, delle situazioni lontane e poco conosciute. Se ci nutriamo di ignoto».
E conclude: «Noi adulti abbiamo una grande responsabilità, specie chi come me scrive: le nuove generazioni crescono con le nostre parole, perciò, impariamo a scegliere con cura come comunichiamo, anche quando parliamo di diversità. Le parole sono fondamentali per creare comunità migliori, più sagge e più coese».
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