La giustizia riparativa, prevista dalla riforma Cartabia, si concilia con i casi di violenza maschile sulle donne? Il coro delle esperte che si occupano di questa piaga, dalle operatrici dei centri antiviolenza alle giuriste all’ex presidente della Commissione d’inchiesta al Senato sul femminicidio, è unanime: la conciliazione in questi casi non solo non è auspicabile, ma va contro legge, in primis contro la Convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia.
“Nella relazione violenta la donna è vulnerabile”
La giustizia riparativa, afferma la senatrice Valeria Valente, già presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, “non è assolutamente possibile, va contro lo spirito della Convenzione di Istanbul che vieta qualsiasi forma di possibile accordo tra le parti. E la Convenzione è contraria non solo alla mediazione ma anche a forme di conciliazione”.
In linea di principio, aggiunge Valente, “sono favorevole a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e delle pene in carcere, lo spirito della riforma è giusto e andava perseguito. Andavano però fatte eccezioni, tra le quali far rientrare i reati relativi alla violenza maschile. Nella relazione violenta, infatti, la donna è il soggetto vulnerabile ed è evidente che si parta da una posizione profondamente sperequata”.
Una sede possibile di intervento per rimediare a questo errore, secondo Valente, è quella delle possibili modifiche al Codice Rosso. “E’ arrivato il momento di fare un ‘tagliando’ al Codice Rosso che è davvero un disegno di legge molto ampio; attraverso le modifiche, in fase emendativa, possiamo aggiungere e migliorare alcuni aspetti”.
“Sono vietate le forme di mediazione nascosta”
La contraddittorietà della giustizia riparativa rispetto alla Convenzione di Istanbul è sottolineata anche da Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea Onlus. “La giustizia riparativa non è assolutamente contemplata dalla Convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia. Ci auguriamo vivamente che il nostro Paese faccia riferimento per tutto il suo sistema giudiziario solo al quadro giuridico, tra l’altro cogente, della Convenzione di Istanbul. L’articolo 48, infatti, vieta non solo forme di giustizia riparativa ma anche tentativi di mediazione nascosta che si verificano molto spesso nella prassi quando si cerca di far avvicinare un maltrattante a una donna vittima di violenza, dando per scontato che siano pari. Sono pari dal punto di vista giuridico, ma di fatto, dal momento in cui c’è lo sbilanciamento totale della relazione, perché una persona è violenta e l’altra no, non si possono mettere a tavolino assieme”.
Aggiunge Cristiana Coviello, avvocata della rete Reama: “Lo stesso meccanismo che porta alla violenza porta alla disparità di posizioni e di potere. Le violenze, nella maggior parte dei casi, avvengono tra partner ed ex partner. Le relazioni di legame affettivo che hanno portato alla violenza vedono la donna in posizione subalterna. Se queste posizioni sono a monte, per cui una donna come sappiamo ci mette del tempo a uscire dalla spirale di violenza, la vittima nella giustizia riparativa non troverà uno spazio giusto e una giusta collocazione. La partecipazione della persona offesa e della donna non potrà mai essere libera e attiva”.
D’altro canto, prosegue l’avvocata, “credo nei percorsi per gli uomini maltrattanti, credo che siano necessari, per ogni uomo rieducato c’è una vittima in meno. Ma l’uomo prima deve riconoscere di aver sbagliato, poi si potrà discutere di riparazione”.
“Per i mediatori poco formazione su questi reati”
Non solo politiche e operatrici, anche le giuriste avanzano dubbi sulla mediazione nei casi di violenza. Lo spiega Teresa Bene, professoressa di diritto processuale penale all’Università di Napoli Federico II.
“L’ideale della giustizia riparativa – spiega – è certamente innovativo. Tuttavia, rispetto alla violenza di genere sorgono perplessità da vari punti di vista: innanzitutto la Convenzione di Istanbul impedisce qualsiasi forma di mediazione; inoltre, la giustizia riparativa prevede il coinvolgimento di mediatori per i quali è sì prevista la formazione, ma non una formazione specifica rispetto a questo tipo di reati. Al di là dell’esito della mediazione, l’ idea stessa della giustizia riparativa come composizione del contrasto è abbastanza discutibile, considerato che ancora oggi per molti non è chiarissima la differenza tra conflitto tra le parti e vera e propria violenza. Il nodo centrale, in conclusione, è che, operando in questo modo, si presuppone che le parti siano in una posizione di parità, senza considerare come funziona la violenza, e in particolare a violenza domestica”.
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