Vittoria Franco: “Care ragazze, non arretrate: custodite i diritti per espanderli”

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“Uomo, sei capace di essere giusto? È una donna che te lo chiede. Dimmi: chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso?”

Nel 1791 scriveva così l’attivista francese Olympe de Gouges. Morirà ghigliottinata per aver sfidato il potere con la sua “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”. Eppure oggi le stesse domande tornano tra le strade e nelle piazze del mondo. Dall’Iran a Cuba e all’Italia, la storia delle donne è un filo rosso che attraversa secoli e battaglie: averne cura, oltre che un diritto, è un dovere. Parlare di libertà significa scavare a fondo nel suo significato, conoscerne il percorso e arrivare a riconoscere ciò che libertà non è. Uno sforzo di discernimento che mette in discussione ciò che viene dato per scontato e che, invece, non lo è: i diritti.

Per scegliere chi diventare, per occupare spazio nel mondo, per immaginare quello che non esiste: i diritti passano attraverso rivendicazioni concrete e sono garantiti quando sono effettivi. Non sono dati “per natura” e hanno una dimensione storica perché sono il frutto di lotte e di impegni di diverse generazioni. Scoprire l’esperienza di donne che hanno lottato duramente per le conquiste oggi acquisite; sapere che prima del 1974 in Italia non era possibile divorziare, che prima del 1978 l’aborto era illegale; che fino al 1975 la donna era sotto tutela del padre, del fratello o del marito e non aveva neanche diritto all’eredità; che prima del 1996 la violenza sessuale era un delitto contro la morale e non contro la persona: tutto questo è un monito potente. Per non regredire ma, soprattutto, per continuare ad aver cura.

“Espandere i diritti, non restringerli”: Vittoria Franco, ex presidente della commissione Cultura in Senato e già senatrice per tre legislature, indica una direzione chiara e diretta. Se a sostenere il percorso ci sono i passi che le donne hanno già messo a segno, a indicare la traiettoria sono quelli ancora da fare e “decisivi per una reale parità e una cooperazione con gli uomini nella costruzione di una democrazia effettiva”. Da dove (ri)partire? La filosofa e politica Franco, autrice del libro “Care ragazze” (Donzelli), lo racconta ad Alley Oop e chiama all’appello proprio le più giovani: a loro il compito di vivere le domande, per costruire e rivendicare nuove risposte.

Nel 2011, con il suo libro “Care ragazze”, rivolge alle nuove generazioni un promemoria dei tanti passi che le donne hanno fatto in tema di diritti e un monito verso quelli ancora da fare. Quali sono le domande che indirizza alle sue “care ragazze”?
Questo libro è stato molto importante per me perché l’ho scritto quando c’era un movimento delle donne silente. Le prime pagine dei giornali erano piene di notizie che arrivavano dai palazzi e raccontavano di ragazze minorenni pagate in cambio di prestazioni sessuali o articoli di lusso. Scrivere per me era un modo di reagire a questa regressione. Mi rivolgevo alle ragazze per chiedere loro: “è questo il vostro concetto di libertà? Libertà, invece, non è cercare di autodeterminarsi per crearsi spazio ed emergere nella sfera pubblica in relazione con le altre donne? Qual è la vostra concezione di libertà?”. Lanciare alle giovani ragazze un monito significava per me prendere atto del fatto che il femminismo non aveva fatto breccia nelle nuove generazioni. Era un richiamo, non un maternage: volevo dire loro che quei diritti che sembravano scontati non lo erano affatto.

Dopo 11 anni dal suo promemoria, il monito è stato accolto? Cosa è stato fatto e cosa, invece, c’è da fare?
Gli anni ’70 rappresentano un decennio d’oro in fatto di diritti: è stato fatto tanto, ma non basta. Il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ad esempio, è stato conquistato perché le donne lo volevano. Ciò nonostante, l’elevato numero di obiettori rende inaccessibile un diritto duramente rivendicato: le linee guida sulla pillola abortiva Ru486 approvate dal ministro Speranza, ad esempio, prevedono l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico in day hospital e fino alla nona settimana. Oggi questa direttiva non viene recepita dappertutto, nonostante le strutture pubbliche debbano garantire per legge che le donne che vogliano fare ricorso all’aborto – anche con metodo farmacologico –  possano farlo. Non si tratta del “diritto a non abortire” ma ad abortire: un diritto negativo è un paradosso. Il diritto è sempre positivo: è un “diritto a, per qualcosa”. 

Divorzio e parità salariale hanno rappresentato altre grandi conquiste: grazie alla ministra Tina Anselmi, nel 1977 il parlamento approvò la legge 903/1977 che stabilì per la prima volta il pieno diritto delle donne ad avere la stessa retribuzione degli uomini, a parità di mansione. Eppure oggi le donne continuano ad essere discriminate sul lavoro, con una disparità salariale che in alcuni casi arriva anche al 20%. Le statistiche ci dicono che sono più istruite degli uomini ma, arrivate sulla soglia del mercato del lavoro, vengono penalizzate e sono ancora costrette a scegliere tra famiglia e lavoro. Lo dimostra il fatto che, dopo la nascita del primo figlio, il 25% delle madri lavoratrici rinuncia alla professione perché non ci sono strutture di supporto. Oppure, quando ci sono, sono troppo care. 

Tutto questo limita la possibilità di conquistare sempre più spazio pubblico. È necessario rivendicarlo, attraverso adeguate strutture di sostengo alla famiglia e alla genitorialità: gli asili nido non devono essere una possibilità di conciliare lavoro e famiglia. Ma un vero e proprio sostegno alla cura comune. Per questo è fondamentale anche il congedo paterno obbligatorio, senza cui non può esserci parità nel mercato del lavoro. Non possiamo negare che tanti diritti sono stati conquistati, ma non sono dati per natura: sono stati una conquista lunghissima e faticosissima. Le donne vogliono essere protagoniste ma trovano troppi ostacoli nella loro strada.

Ostacoli consolidati da stereotipi che resistono nel tempo: la battaglia culturale è la premessa per l’acquisizione di nuovi diritti?
Assolutamente sì: gli stereotipi e i pregiudizi ostacolano oggettivamente le scelte delle donne. Pensiamo al gender gap nelle professioni STEM: alle giovani ragazze viene inculcata l’idea di non essere adatte alle materie scientifiche e invece, con una maggiore consapevolezza, le iscrizioni stanno salendo nonostante il pregiudizio. Inoltre, gli stereotipi culturali non solo limitano la vita delle donne ma rappresentano la radice della violenza di genere. La riforma del diritto di famiglia nel 1975 ha abolito la patria potestà ed è stata una grande conquista perché ha sancito la pari dignità dei genitori: tuttavia ancora oggi il movente che legittima la violenza è la convinzione radicata per cui le donne abbiano meno valore e, per questo, contro di loro può scagliarsi violenza fisica, verbale ed economica. Sradicare l’idea che l’uomo sia il dominus della famiglia: sulla violenza di genere bisogna fare prima di tutto una battaglia culturale.

A proposito di battaglia culturale: insieme al gruppo “Per un nuovo mondo comune”, nato per promuovere la cultura e il pensiero delle donne e creare occasioni di confronto, ha lanciato alle donne l’appello “Proteggiamo i nostri diritti”.
Con il nostro appello abbiamo provato a “far aprire gli occhi” prima delle ultime elezioni, una sorta di resistenza preventiva: è importante che in un posto dominato dagli uomini ci siano le donne, ma non basta essere donne per farsi carico dei nostri diritti. L’articolo 3 della Costituzione garantisce l’uguaglianza dei cittadini e questo deve essere il faro: le donne non possono essere relegate alle sole dimensioni di madri e mogli. Una democrazia moderna è una democrazia aperta: le elezioni sono la premessa per renderla tale, ma a ciò si deve aggiungere la difesa delle libertà individuali. I diritti sono la materia che tiene insieme l’Unione europea e quelli dobbiamo seguire per avere un’Italia che non sia escludente e discriminatoria, ma accogliente e inclusiva per tutte le esistenze. E una leadership femminile non la garantisce automaticamente.

È stata ministra ombra per le Pari Opportunità del Pd e, sebbene le donne nei ruoli apicali non manchino, “una leadership femminile non garantisce automaticamente la tutela di determinati diritti”: perché scalfire il muro di cristallo non basta?
Perché il muro del maschilismo non si abbatte da sole: bisogna portare con sé anche le altre e renderle visibili. Le donne nei ruoli apicali non mancano e nella nostra storia abbiamo esempi potenti come quelli di Nilde Iotti (prima donna presidente della Camera) e Angela Finocchiaro (prima ministra delle Pari opportunità italiana). Per fare la differenza, la leadership femminile non può essere conforme al sistema patriarcale. Per questo, una politica femminista fa più fatica a imporsi in un mondo maschile.

Come dovrebbe agire una “politica femminista” in un mondo maschile?
Liberando il tempo delle donne. Non solo essere brave non basta, ma anche le donne brave trovano ostacoli: la corsia dove corrono gli uomini è libera, quella delle donne è invasa da stendini, bambini da portare a scuola, faccende da sbrigare. La possibilità reale di poter stare nello spazio pubblico con tranquillità, dire no alla conciliazione ma accogliere la condivisione: la libertà femminile per me è poter realizzare i propri progetti di vita. Le donne oggi non sono nelle condizioni di poterlo fare. È questo il grande tema: condividere la cura, cooperare.

“Il muro si abbatte insieme”: tante istanze oggi arrivano alle giovani attraverso i social. Qui il rischio è che tutto diventi automaticamente simbolico e legato a un’adesione a un gruppo e a un modo di pensare che trascende l’individuo.
Il rischio è di manifestare un’idea di parità “semplificata” e limitata al fatto che una ragazza oggi possa sentirsi pari al suo gruppo maschile. Quando le giovani donne arrivano a scontrarsi con le prime difficoltà oggettive – come quelle legate all’accesso al lavoro o agli stereotipi sulla scelta della facoltà –  comprendono a pieno che la parità che sentono è dovuta alle battaglie combattute e che non è mai garantita. I traguardi raggiunti non devono occultare le discriminazioni che continuano ad esserci: in questo senso i social possono diventare strumenti funzionali per fare gruppo e aggregarsi.

Qual è il messaggio che oggi vuole rinnovare alle sue “Care ragazze”?
Dei diritti bisogna avere cura e custodirli. Se è possibile regredire su molti aspetti, può accadere anche sul piano dei diritti delle donne: considerate la storia di chi si è battuta prima di voi e non arretrate, come insegnano le partigiane della Resistenza. I diritti non si perdono solo sul piano legislativo, bisogna custodirli per renderli effettivi. Se siamo più brave, ma non abbiamo accesso al lavoro, il diritto all’istruzione perde la sua portata. Farsi carico della responsabilità dei diritti delle donne, per costruirli e ampliarli. Solo così potremo abitare lo spazio pubblico come desideriamo.

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