Dall’Iran a Cuba, dagli Usa all’Italia la lotta per i diritti (non solo delle donne)

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Le mani veloci raccolgono i capelli biondi legandoli in una crocchia come quella che ogni donna si fa quando c’è un lavoro da fare. Dieci secondi di un video che ha un sapore di normalità, se non fosse per il vociare della folla lì vicino, braccia alzate per protesta e movimenti nervosi di protesta e di lotta. La ragazza è scesa in piazza come migliaia di coetanee in Iran dopo la morte della 22enne curda Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale del Paese per aver indossato impropriamente il velo.

Un simbolo di libertà

Poco importa che la giovane bionda della coda di cavallo non sia Hadith Najafi, 23enne uccisa con sei colpi al viso e al collo durante le proteste, come riporta la Bbc nella sua versione in farsi. Nel mondo delle immagini in cui siamo immersi abbiamo bisogno di simboli che ci traducano la realtà in qualcosa di immediatamente riconoscibile.

Quella coda fatta di corsa e con destrezza ci rende immediatamente partecipi di quanto sta avvenendo in un Paese che sentiamo culturalmente ed emotivamente lontano. Ci fa sentire nostra quella arrabbiata e disperata richiesta di diritti che per noi sono acquisiti: scegliere come vestirsi, cosa dire, con chi e quando riunirsi, come manifestare. Il Paese è al 154esimo posto al mondo per il Democracy Index e la situazione è ancora peggiore rispetto al periodo pre primavera araba del 2010.

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La rivolta nel Paese non è solo delle donne. Le manifestazioni riuniscono scontenti diversi che si stanno canalizzando nella stessa direzione: le fasce più povere della popolazione chiedono condizioni migliori di vita, mentre i ceti medi, i giovani e le donne sono determinati a veder riconosciuti diritti che avevano nel passato. Nei Paesi occidentali arrivano attraverso i social i video dei manifestanti, delle donne che si tagliano i capelli come sfregio contro l’obbligo del velo, dei falò degli hijab. Ogni post lanciato come un messaggio in una bottiglia nel mare di internet sperando che qualcuno lo apra, lo guardi, lo condivida. Che possa muovere la coscienza e l’interesse di chi in altri Paesi può dare supporto, appoggio, condivisione.

Proteste tra Ucraina e Russia

Le pagine dei giornali, intanto, sembrano troppo piene di altre questioni più urgenti. La guerra in Ukraina, innanzitutto, e ciò che sta succedendo in Russia. Le notizie ci riportano immagini e storie di giovani che lasciano il Paese, dopo il discorso di Putin e l’arruolamento di 300mila riservisti da inviare in guerra. Non è possibile parlare di fuga di massa se a uscire dalla Russia sono 260mila uomini su una popolazione di 144 milioni, ma certo è un segnale di dissidenza. Come lo sono le proteste, soprattutto delle donne, che sembrano non aver paura di affrontare la polizia, anche se questo può tradursi in un arresto. Tre giorni fa si contavano già 800 persone detenute per protesta.

I passi indietro degli Usa

E dalla Russia agli Stati Uniti dove la coda lunga della decisione della Corte suprema statunitense ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l’aborto negli Usa. Nei giorni scorsi l’Arizona ha deciso di ripristinare la legge sull’aborto del 1864, rendendolo di fatto non percorribile anche in caso di stupri, gravi motivi di salute o incesti. Non solo. E’ anche prevista una pena detentiva di 5 anni per coloro che aiutano le donne ad abortire, inclusi medici e infermieri, tanto che diverse cliniche hanno deciso di non fornire più il servizio. A riguardo è intervenuta anche la vicepresidente Kamala Harris.

Se gli Stati Uniti fanno passi indietro anche di 150 anni, la vicina Cuba, invece, questa settimana ha visto vincere il sì al referendum per la riforma del Codice della famiglia. Il 67% dei votanti si è espresso a favore dei matrimoni e delle adozioni per i gay.

A che punto siamo in Italia?

E in Italia? Il tema dei diritti è tornato ad essere al centro del dibattito dopo la vittoria delle elezioni da parte di Fratelli d’Italia. Nei brevi ed estivi mesi della campagna elettorale Giorgia Meloni è stata “testata” su alcuni temi e con la dialettica ha saputo surfare sul non detto. Il problema è che in Italia, in tema di diritti, restano ancora aperte molte questioni: la piena dell’attuazione della legge 194 sull’aborto, l’approvazione (mancata nella scorsa legislatura) dello ius scholae, le legge sul matrimonio egualitario, le misure per l’accoglienza di richiedenti asilo, la legge sul cognome materno a seguito del pronunciamento della Consulta, il diritto alla scelta di porre fine alla propria vita quando la sofferenza è intollerabile e quella la regolamentazione delle droghe leggere.

A riguardo l’associazione Pro-Vita scrive: “Il centrodestra ha, ed avrà nei prossimi tempi, una occasione storica per legiferare in modo equo e virtuoso su vita, famiglia e libertà educativa” e aggiunge “l’interesse mostrato da più esponenti della coalizione risultata vittoriosa per la Carta dei Prinìipi di Pro Vita & Famiglia fa ben sperare; anche perché non si può negare come la sconfitta della coalizione progressista sia avvenuta con l’esclusione dal Parlamento, a quanto pare, di figure come Monica Cirinnà e, ancor più, come Emma Bonino, donne-simbolo delle battaglie sui cosiddetti diritti civili“. Si aspettano, quindi, una virata conservatrice del legislatore.

Dalla Francia la premier Elisabeth Borne ha detto di non voler commentare l’esito del voto italiano, ma ha aggiunto anche la Francia dovrà essere attenta “a certi valori come i diritti umani e il diritto all’aborto”. Vale anche la pena ricordare qual è stato il voto delle donne: quelle che sono andate alle urne hanno dato il loro voto a Giorgia Meloni. Secondo le rilevazioni di Swg, il 27% delle donne ha votato per Meloni mentre il 21% ha scelto il PD. Ma il dato che va osservato e su cui dobbiamo riflettere è che il 41% delle donne ha scelto di non votare, il 5% in più della media nazionale degli astenuti che, vale la pena ricordarlo, hanno raggiunto la cifra record di 16,5 milioni.

Più che al cambiamento della Costituzione, che richiede la maggioranza 50%+1 e un referendum popolare oppure i 2/3 del Parlamento (che il governo di destra non ha), sarà importante che l’opposizione in Parlamento e la società civile italiana ponga attenzione che non siano fatti passi indietro rispetto ai diritti acquisiti negli ultimi 70 anni attraverso norme infilate in decreti omnicomprensivi oppure nel calderone della finanziaria. Il vero punto critico sarà proprio questo, oltre naturalmente alle proposte di legge sull’esempio dell’allora Pillon, che potrebbero trovare maggioranze già nelle commissioni parlamentari e avere strada spianata.

Perché ciò non accada è necessario, però, un impegno di ciascuno a essere informato e a seguire i lavori parlamentari per gli ambiti di competenza e di interesse. Solo l’informazione permette di sviluppare gli anticorpi necessari a che non si riducano gli spazi dei diritti.

monica.dascenzo@ilsole24ore.com

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