Se le ferie diventano nemiche della salute psicologica

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Le ferie sono tali perché, tra le altre cose, aiutano a ridurre lo stress associato all’attività lavorativa. Allontanano infatti fisicamente le persone da quella che per molti e molte è una fonte di malessere: il proprio lavoro. Un meccanismo evidente ai più, confermato anche dall’American Psychological Association.

Fin qui, sembra tutto estremamente scontato e normale. Quasi banale. Si tratta, verosimilmente, dell’esperienza di milioni di persone nel mondo. Eppure, a ben guardare, si nasconde un’insidia: se le ferie hanno questo potere rigenerante, c’è un problema a monte. Che si chiama lavoro.

Lo mette perfettamente in evidenza Adam Grant, psicologo, divulgatore e professore all’Università della Pennsylvania.

“Le vacanze non dovrebbero essere un momento per rigenerarsi. Dovrebbero essere un momento per celebrare. Se il lavoro esaurisce le persone al punto che queste utilizzano  il proprio tempo libero per riprendersi, forse c’è una cultura del burnout alla base. Un’organizzazione sana non prosciuga le persone.”

Le vacanze come momento in cui finalmente ci si riposa, ci si diverte e rilassa, rimandano a un tempo altro – quello lavorativo, appunto – in cui non ci si riposa, non ci si diverte e, in definitiva, non si sta bene.

Considerando la questione da questo punto di vista, non ha dunque senso domandarsi perché le ferie abbiano un impatto positivo sul benessere psicologico, quanto piuttosto perché il lavoro sfianchi così tanto. Relegare a venti giorni l’anno la possibilità di star bene, ha infatti un impatto distruttivo sulla propria salute psicologica. Se si ha la necessità di una vacanza per sperimentare una qualche forma di benessere, c’è bisogno di fare un passo indietro e analizzare la qualità del proprio lavoro. Come mi fa sentire? Che tipo di malessere mi genera? Stress, ansia, burnout? E soprattutto, perché?

Le ragioni di emozioni ed esperienze di questo tipo sono potenzialmente diverse e le conosciamo fin troppo bene: possono avere matrice relazionale o valoriale, oppure dipendere dalle modalità di lavoro, da bisogni a cui non viene data un’adeguata risposta o da desideri di carriera e crescita non realizzati.

Eppure, molto spesso, al di là delle motivazioni che genericamente si possono individuare, si perdono di vista quelle personali, di cui magari non si ha nemmeno consapevolezza. Oppure, se ne ha contezza, ma si sceglie di ignorarle o – peggio – considerarle normali. Come se facessero parte del gioco, come se il lavoro dovesse intrinsecamente far stare un po’ male.

In un meccanismo di questo tipo, la conseguenza è evidente e del tutto logica: si arriva ad anelare le vacanze che, a questo punto, vengono vissute non solo – e spesso non più – come esperienze di vita, fonte di divertimento, scoperta e momento per stare insieme, ma anche – e soprattutto – come unica occasione per ritrovare il proprio benessere.

Non è sano delegare alle ferie la propria salute psicologica. È invece necessario investire su di essa tutto l’anno. Individuare quale sia il motivo che genera malessere sul lavoro è il primo passo. Prendersi cura di sé e del proprio equilibrio psico-fisico ogni giorno, il secondo.

In questo, un ruolo lo devono necessariamente avere anche le aziende.
Concedere del tempo per recuperare e riposarsi dovrebbe essere parte della quotidianità, non un’eccezione riservata al proprio tempo libero. Una ricerca ha infatti evidenziato come le persone diano il proprio meglio e stiano bene quando intervallano periodi di performance a tranquillità.

Ecco allora che diventa fondamentale – per chi è leader – monitorare il carico di lavoro del proprio team e non premiare solamente il tempo pieno e saturo di attività, ma tutelare anche i “momenti morti”. Questi – come visto – sono infatti funzionali alla ripresa: diventa pertanto strategico, come manager, individuare le occasioni in cui legittimarli.
Per farlo, è possibile dare per primi o prime l’esempio: un segnale forte che comunica che sì, è possibile ritagliarsi occasioni di recupero anche al di fuori delle settimane dedicate alle ferie.

In definitiva la domanda da porsi è una: si vogliono persone che, come prigionieri, anelano all’ora d’aria o si preferisce invece prendersi cura del benessere di chi lavora, garantendo un clima positivo e umano, che abbia potere rigenerante ogni giorno dell’anno?

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