Sii un leader, comportati da donna!

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Comportati da donna! A giudicare dalle ricerche degli ultimi anni sul modello di leadership vincente per il mondo di oggi, questa frase dovrebbe essere scritta sulle pareti negli uffici e nelle sale riunioni delle aziende. Non solo per controbilanciare l’implicito assunto inverso che influenza ancora oggi immagini, vocabolario e immaginario sulla leadership – ossia che per essere leader occorra essere “veri uomini” – ma anche perché è proprio così: al mondo contemporaneo serve urgentemente una guida che ha molti tratti femminili, ed è tautologico affermare che le donne potrebbero fornirla, mentre lo è meno allargare la prospettiva alla possibilità che anche gli uomini siano perfettamente in grado di apprenderla.

Per non perdersi nella lista delle 17 capacità – sulle 19 considerate necessarie per essere dei buoni leader – che le donne sembrano possedere in media maggiormente degli uomini, proviamo a osservare da vicino tre caratteristiche che ancora oggi rappresentano spesso degli ostacoli all’affermazione delle donne sul lavoro, e che invece farebbero la differenza su benessere, clima e produttività delle persone.

La prima è l’empatia, termine che letteralmente significa “sentire dentro” e si riferisce alla capacità di sentire quel che sente la persona davanti a te. Si tratta di un tratto che usa molte energie, e che quindi non avrebbe ragione di esistere… se non fosse che gli esseri umani hanno bisogno di cura per sopravvivere e non sempre sono in grado di chiederla. L’empatia consente ai caregiver di intuire il bisogno della persona che hanno davanti e di agire di conseguenza, anche senza che la persona (spesso un neonato o qualcuno che non è nelle condizioni di “chiedere”) parli. Gli esseri umani, dunque, comunicano e ricevono emozioni inavvertitamente, in un modo quasi “magico” che è essenziale alla loro sopravvivenza, e questa capacità sembra essere prevalente nel genere femminile della specie che, nei millenni, l’ha raffinata attraverso il compito del prendersi cura.

L’empatia sottostà a un ampio spettro di competenze essenziali alla leadership: dalla comprensione degli altri alla capacità di comunicare, coinvolgere, motivare, far stare bene, collaborare, fare squadra. L’empatia porta con sé anche della complessità, ovviamente: per sua natura, ci avvicina alla persona che abbiamo di fronte, ce la fa vedere meglio e ci espone alle sue emozioni. Rende quindi meno “freddi”:

non si può fingere empatia e, provandola, si tende a reagire in modo più umano.

E’ un bene o un male? L’“emotività” delle donne è da sempre stigmatizzata sul lavoro, accusata di aumentare la complessità e di fare spazio a informazioni considerate improduttive o di difficile gestione. Oggi però ben sappiamo che la velocità e la complessità del lavoro, l’ibridazione tra vita e lavoro, lo stesso lavoro da remoto hanno rotto gli argini che pretendevano di differenziare la persona dal suo ruolo professionale: la scarsità di comprensione della persona nella sua interezza, comprendendone anche l’emozione del momento, è tra le cause all’origine di quella tossicità che spinge sempre più persone a lasciare il posto di lavoro. E fa scappare soprattutto (e prima) le persone che possono scegliere: i talenti che l’azienda non può permettersi di perdere.
Emozioni, quindi, dentro o fuori? Perché a metà non si può e, se siamo tutti d’accordo che saperle vedere e sapervi reagire migliora la qualità della vita e del coinvolgimento delle persone, allora “comportiamoci di più come delle donne”.

La seconda caratteristica che distingue, questa volta addirittura a livello biologico, uomini e donne, è la visione. In estrema sintesi, gli uomini vedono meglio da lontano e gli oggetti in movimento, le donne colgono meglio i dettagli intorno a loro e le cose più vicine. E’ facile immaginare perché: per la caccia è fondamentale sapersi focalizzare sulla preda in movimento e saperla seguire da lontano, per la cura (e la raccolta di frutti, altra funzione delle femmine umane nelle centinaia di migliaia di anni della nostra preistoria) bisogna saper cogliere i dettagli, le differenze, l’inaspettato più prossimo. Una donna quindi, mentre si dirige da qualche parte a fare qualcosa, non può fare a meno di notare una miriade di dettagli, alcuni dei quali la spingeranno a fare delle altre cose lungo la via, ritardando il raggiungimento dell’obiettivo originario ma aggiungendovi risultati di contorno.

E’ utile? Se la regola privilegia la velocità di raggiungimento di una sola e singola cosa, ovviamente no. Se partiamo per un obiettivo prefissato e noto, il focus e la determinazione con cui viene raggiunto rimane il principale parametro di giudizio della capacità del leader. Ma quante volte succede questo oggi, e quante volte, invece, l’obiettivo cambia, si sposta, ed è più importante saper vedere che cosa succede a contorno e sapersi muovere di conseguenza? Saper vedere e collegare le informazioni periferiche, sapersi adattare a un contesto complesso, disordinato e in continuo cambiamento?

Quante volte oggi c’è una sola preda su cui focalizzarsi e quante invece c’è un intero mondo da governare usando mille mani, mille occhi e mille antenne e muovendosi a proprio agio nel… caos?

C’è infine un insieme di competenze che riguarda la capacità del leader di “far lavorare (bene) gli altri”: nella lista di Zenger e Folkman si chiamano “develops others” e “inspires and motivates others”, ma anche “champions change” e “practices self-development”. In una nota ricerca fatta da Popper e Mayseless, queste capacità appaiono chiaramente somiglianti a quelle genitoriali.  La maternità e in generale la capacità di curare e fare crescere gli altri, quindi – come la paternità, se praticata attivamente, ma per ora su queste capacità donna batte uomo quattro a zero – da area di debolezza e “passo indietro” per la carriera delle donne, diventa così palestra di alcuni super poteri che hanno la caratteristica di essere veri e propri moltiplicatori di risorse.

Secondo un recente articolo di McKinsey, solo il 30% dei dipendenti conosce i propri punti di forza e solo il 17% li porta con sé al lavoro. Le aziende stanno dunque buttando via oltre l’80% delle proprie risorse, senza contare l’effetto collaterale di malessere e di disimpegno causato da un parziale coinvolgimento dei talenti delle persone nell’attività lavorativa. Un buon leader – proprio come una madre, secondo Popper e Mayseless – sa vedere interamente le proprie persone, sa fare spazio a tutti i loro talenti, sa quanto sia efficace mostrarsi a sua volta e guidare con l’esempio, sa che i ruoli non sono cappelli che si mettono e si tolgono ma parti di noi, e in ognuno possiamo portare tutti noi stessi. Se lo sapranno fare e sapranno dimostrare che “funziona”, libereranno la possibilità delle persone intorno a loro di farlo a propria volta, quintuplicando (letteralmente) capacità ed energie.

Una bella campagna pubblicitaria di Procter and Gamble del 2014 si chiamava “Come una ragazza”, e ribaltava l’idea che fare le cose “like a girl” volesse dire farle meno bene. Una ragazza che fa le cose a modo suo e lo fa liberamente, esprime talenti nuovi e potenti, anche se sicuramente meno noti di quelli circolanti oggi. Non è ovvio, quindi, che comportarsi come una donna sia ben visto, necessario o addirittura promosso nelle stanze dei bottoni: scriverlo sui muri potrebbe essere un invito a iniziare a farlo, dando consistenza alla ricerca di una leadership nuova ed efficace.

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  • Angelo Zega |

    Penso che la leadership non abbia genere. Spesso si confonde la gestione del potere con la leadership ma non credo sua la stessa cosa. La gestione del potere, questa sicuramente maschile, si basa sulla prevaricazione, sulla forza fisica, sull’arroganza e nel mondo del lavoro è tipica nelle organizzazioni gerarchico/funzionali (tempi e metodi) derivanti dall’ottocentesca rivoluzione industriale. Finalmente stiamo entrando in una nuova era, dove probabilmente non è più necessario produrre, ma gestire con sagacia quello che si è già prodotto in abbondanza a scapito del nostro sgangherato pianeta. Credo che quello di cui abbiamo effettivamente bisogno siano quelle caratteristiche femminili evidenziate nell’articolo (empatia, visione …..), ora credo che poco impoti se a possederle sia un uomo o una donna, quello che penso sia importante è che vengano esercitate con gentilezza e condivisione.

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