Ricerca scientifica, all’Italia quindici finanziamenti Advanced Grants

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Ancora una conferma per la ricerca italiana: lo European Research Council ha annunciato i vincitori degli Advanced Grants destinati a finanziare progetti innovativi e ad alto rischio, in grado di aprire nuove direzioni nei rispettivi campi di ricerca e in altri settori. Dopo gli Starting Grants dello scorso gennaio, dedicati ai giovani ricercatori a inizio carriera, in cui su 397 ricercatori premiati erano 58 quelli di nazionalità italiana, ora su 253 ricercatori esperti sostenuti dai fondi, sono 27 quelli gli italiani. Si consolida il trend delle eccellenze prestate ai centri di ricerca stranieri: il 44% sono infatti operativi all’estero. Alle Università di Padova e Trento sono stati assegnati tre premi a testa, all’Ateneo di Bologna e al Politecnico di Milano ne sono andati due.

raimondiLa professoressa Manuela Teresa Raimondi del Politecnico di Milano, ha ottenuto il finanziamento per il progetto di ricerca BEACONSANDEGG (Mechanobiology of cancer progression). Ordinaria di Bioingegneria, titolare dell’insegnamento di “Tecnologie per la Medicina Rigenerativa” nel corso di laurea specialistica in Ingegneria Biomedica, è anche fondatrice del gruppo di Meccanobiologia e direttrice del Laboratorio di Meccanobiologia e del Laboratorio Interdipartimentale di Live Cell Imaging, ed è riconosciuta come pioniera nello sviluppo di strumenti all’avanguardia per la modellazione cellulare.

La ricerca finanziata dagli Advanced Grants, partendo dallo studio del tumore al seno, svilupperà una piattaforma in grado di sintetizzare la fibrosi tumorale, sfruttando la vascolarizzazione di un organismo vivente. Spiegata in termini più semplici: l’aggressività del tumore al seno è correlata all’irrigidimento fibrotico del tessuto tumorale. Questa fibrosi impedisce progressivamente ai farmaci di raggiungere le cellule tumorali, e attualmente non è riproducibile in vitro. La ricerca della professoressa Raimondi combina la meccanobiologia con la bioingegneria, l’oncologia, la genetica, la microtecnologia, la biofisica e la farmacologia al fine di comprendere i meccanismi di progressione dei tumori più incurabili. E fornirà una piattaforma standardizzabile ed etica per promuovere lo studio di prodotti terapeutici in oncologia.

Una ricerca che si focalizza dunque su una malattia specificamente femminile. Prof.ssa Raimondi, nella ricerca medica in generale quanto è importante affrontare i problemi con un’ottica di genere?

È una tendenza che finalmente sta prendendo piede grazie anche al lavoro di molte scienziate che hanno promosso questa visione, ed è fondamentale. Nel caso della nostra ricerca la decisione non è stata basata su una problematica di genere, ma sul fatto che il tumore al seno è il più diagnosticato in questo momento e avevo bisogno di avere a disposizione il massimo numero di reagenti e la massima competenza sugli aspetti biologico-genetici della ricerca. Peraltro, pur essendo un progetto sul tumore al seno, porterà a un avanzamento sullo studio dei modelli dei tumori solidi in generale, quindi ne trarranno beneficio entrambi i generi. Anche se la ricerca è focalizzata su un tumore che colpisce prevalentemente le donne, i risultati offriranno la possibilità di sfruttamento anche per tumori più specificamente maschili, come il tumore alla prostata. Il bilancio torna a vantaggio della collettività.

Come si costruisce un team di lavoro interdisciplinare efficace? Da cosa dipende la buona riuscita di un lavoro di questo tipo?

È un team soprattutto di bioingegneri, ma ci sono attività per le quali ad esempio la mentalità del fisico, più teorica rispetto a quella degli ingegneri, risulta più efficace. Poi abbiamo una biologa molecolare, figura particolare in un team di ingegneri, ma che possiede delle competenze fondamentali per il nostro progetto. Fatto salvo il curriculum che naturalmente deve essere brillante, occorrono persone molto motivate, appassionate del tema di ricerca, capaci di mettersi in gioco e creare sinergie, e poi c’è anche un tema di bilanciamento di genere che in generale fa funzionare molto meglio qualunque tipo di team.

A proposito di bilanciamento di genere: l’Italia sta facendo abbastanza per attrarre talenti femminili nelle ricerche Stem? Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche?

La situazione sta lentamente migliorando: gli ingressi nelle carriere sono in questo momento abbastanza facilitati per entrambi i generi. I problemi che sussistono sono nell’avanzamento di carriera, nell’ottenimento di posizioni di potere, come d’altra parte avviene anche fuori dall’ambito scientifico. Il soffitto di cristallo esiste. La selezione di carriera è fatta ancora soprattutto da uomini e definisce una problematica che posso solo definire patriarcale, anche se vorrei usare un termine diverso, meno connotato. Ma oggettivamente nelle posizioni decisionali ci sono ancora quasi solo uomini e questo inevitabilmente crea un tema culturale e storico che porta a far prevalere gli avanzamenti di carriera per soggetti di sesso maschile. È un grosso problema nell’accademia, e non solo qui in Italia. Probabilmente ci vorranno ancora un paio di generazioni per risolverlo, ma sarà possibile solo se la meritocrazia diventerà il criterio fondamentale in queste scelte.

Parlando quindi di nuove generazioni: quali sono secondo lei le parole chiave che devono tenere a mente affacciandosi a una carriera nella ricerca scientifica?

Indipendenza scientifica: questa è la chiave. Più è chiara la visione, più sono chiare le inclinazioni, maggiori saranno le possibilità di successo. È importante avere la forza e il coraggio di crearsi un proprio gruppo di ricerca, accedere a finanziamenti in modo competitivo, pubblicare su argomenti nuovi anche scollegati dai propri argomenti di studio e dottorato. Se si aspira a fare ricerca a livelli di eccellenza, bisogna avere il coraggio di fare le valigie e partire per crearsi un network internazionale, e poi chiedere finanziamenti a tutti provando anche decine di volte finché non si riesce a far partire il proprio laboratorio di ricerca. Questo permette di costruire un curriculum forte e indipendente anche economicamente, oltre che scientificamente, quindi di perseguire il tipo di ricerca che si desidera.

L’indipendenza mentale, scientifica ed economica consente percorsi di carriera più efficaci. In Italia abbiamo un po’ la predisposizione al vittimismo, ma se è vero che ci sono difficoltà negli avanzamenti di carriera, anche legati alla scarsità di risorse, è necessario focalizzarsi sul problema e cercare di mettere in pratica i passaggi necessari per risolverlo. Le giovani generazioni devono capire che il mondo è come lo fanno loro. Solo così lo si cambia.

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