Salute psicologica e HR: 3 punti di vista

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Quando racconto il mio lavoro sono sempre pronta a raccogliere testimonianze, opinioni e credenze. Al suono di “salute psicologica” le persone hanno reazioni diverse eppure simili, come ho già raccontato in un precedente articolo.

Recentemente, in occasione di un evento in presenza a cui ho partecipato, mi sono trovata a parlare con molte persone HR del ruolo del supporto psicologico in azienda. Grazie all’atmosfera rilassata e informale della convention – e al fatto di essere vis a vis – sono stati scambi spesso inaspettati. Fonte di riflessione non solo per questo articolo ma, più in generale, per come sta evolvendo – ancora, a due anni dall’inizio della pandemia – la rappresentazione sociale della scienza che studia la mente e il comportamento umano.

In questi ultimi giorni ho suddiviso le reazioni più scettiche rispetto al tema in tre macro categorie. Una ripartizione semplificata che vuole porre l’accento su chi fatica a riconoscere o inquadrare il valore della psicologia a lavoro. Una classificazione, quindi, che non tiene conto di tutta quella parte di HR e aziende (tante) che già hanno introdotto servizi, processi, soluzioni per prendersi cura del benessere mentale delle proprie persone. A loro, non è necessario dimostrare l’impatto positivo della salute psicologica nelle organizzazioni. Lo conoscono e lo sperimentano ogni giorno. Le conversazioni scorrono: si ha la sensazione di capirsi, ci si sorride e ci si scambia sguardi di intesa.

Allo stesso tempo, però, manca quell’ingaggio e quello scintillio che si trovano invece nel dibattito con chi ha più difficoltà a vederlo. Ed è per questo che voglio scrivere di chi (ancora) sta soppesando il valore della psicologia in azienda. La divulgazione che impegna buona parte del mio lavoro è dedicata proprio a loro.

Non ne abbiamo bisogno, stiamo bene

In psicologia esistono quelli che vengono definiti meccanismi di difesa. Ossia atteggiamenti mentali che ci proteggono ma che finiscono per farci percepire la realtà in maniera diversa rispetto a com’è. Uno di questi si chiama negazione. In un presente diverso da quello che stiamo vivendo, potrebbe anche esistere un’azienda fatta di persone che effettivamente stanno bene, ma oggi, con i due anni trascorsi, le difficoltà attuali e l’incertezza all’orizzonte, non si può stare bene. Ed è un’evidenza che non ha nemmeno più bisogno di essere suffragata da dati e numeri. Ecco perché dire che la psicologia non serve perché si sta bene richiama alla mia mente proprio la negazione. C’è tuttavia un aspetto ancora più sottile: la psicologia non si occupa solo di chi sta male, ma anche di chi già sta bene. Previene il malessere e promuove il benessere.

Non (so se) ci credo

Una reazione molto diffusa è quella ambivalente. Persone che sono a metà strada nel loro percorso di consapevolezza e che si stanno guardando intorno. Sono tendenzialmente interessate a scoprire di più ma comunque rimangono scettiche. Intravedono il valore ma sono convinte che non sia sufficiente per occuparsene davvero. Di solito sono HR che ancora faticano a guardare ai dipendenti come persone e che non amano mescolare il piano della vita con quello del lavoro. O gli aspetti personali con quelli professionali. Ritengono che si possa fare a meno della psicologia in azienda perché non sono convinti che la psicologia sia per l’azienda.

Ci credo ma la mia azienda non è pronta

In ultimo, HR che riconoscono il valore della psicologia a lavoro, ma che hanno la convinzione che la propria azienda non sia pronta ad accoglierla. Un dubbio più che lecito, che molto spesso trova conferma in atteggiamenti reticenti da parte dei c-level, che di conseguenza appartengono generalmente alla prima categoria qui descritta.
Al di là del dato di fatto, c’è però comunque una strada percorribile, fatta di piccoli passi nella direzione della consapevolezza. Anche solo affrontare con frequenza un argomento genera un cambiamento: ciò che si tace non viene riconosciuto ed è come se non esistesse. Impossibile, dunque, dargli spazio. Ecco allora che è necessario lavorare ai margini, non rassegnandosi ma provando a portare nella propria azienda piccole, piccolissime iniziative che comincino a parlare di benessere psicologico. Magari vestite – e quindi raccontare e posizionate internamente – con un abito più neutro.

Quello di cui continuo ad avere conferma, giorno dopo giorno, è infatti proprio il fatto che la salute psicologica non sia neutra. Motivo per cui va maneggiata con estrema attenzione, cura e professionalità. Non lo è quando se ne parla tra amici o conoscenti e tanto meno quando la si affronta in azienda. Non lo è perché tocca le persone nella loro intimità e fragilità. E perché è una responsabilità sociale, un diritto innegabile e l’ingrediente imprescindibile per il futuro delle organizzazioni.

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  • Gloria |

    La Psicologia, le psicoterapie possono costituire la vera prevenzione per il benessere umano affiancando le altre branche sia della medicina che dell’alimentazione , che dell’imprenditoria e di tante altre professionalutà che non devono essere disgiunte yra loro.ESsa opera a 360 gtadi anche se naturalmente non è esente da rischi sia morali, deontologici , strumentali.CI vuole soprattutto onestà,obiettività,umanità e una mentalità apertà che sappia guardare al benessere dell’individuo a 360 come previsto dall Agenda 2030 e dal Piano di prevenzione nazionale.Come per tutti i professionisti onesti che non sono strumentalizzati e non appartengono a questo o a quello ma che hanno a cuore il benessere dell’individuo sono stroncati e spezzati continuamente.D’altronde ci vuole una buona educazione e onformazione alle masse che credono in alcuni stereotipi.La strada è molto difficile da pwrcorrere ma per fortuna anche se lentamente si va avanti.Se tutti avessimo come obiettivo il benessere della collettività e non la coltivazione del proprio orticello molte cose cambierebbero

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