Più di una donna su tre sul lavoro non si sente valorizzata. Eppure secondo il sondaggio appena diffuso da EY e SWG i tre quarti dei dirigenti intervistati ritengono che un’azienda con una leadership equilibrata dal punto di vista del genere sia più performante. A parole, ma non a livello strategico: per la meta (il 49%) dei dirigenti uomini, l’obiettivo di più donne i ruolo apicali è un impegno da assumersi ma non una priorità. Sarà per questo che il 36% delle lavoratrici tra i 30 e i 50 anni non ritiene adeguatamente valorizzate le proprie competenze e oltre il 40% ritiene inadeguata la propria retribuzione. Lo squilibrio di genere nei percorsi di carriera e nelle retribuzioni è un dato di fatto per una donna su due, secondo il sondaggio, che aveva l’obiettivo di fare un quadro della presenza e del ruolo delle donne all’interno delle aziende italiane.
Dallo stesso sondaggio emerge anche che tanto nella percezione delle lavoratrici quanto in quella dei dirigenti (sia uomini sia donne), in oltre la metà delle imprese i ruoli dirigenziali continuano a parlare principalmente al maschile e, anche laddove hanno acquisito ruoli dirigenziali, le donne si trovano a gestire un numero inferiore di risorse rispetto ai colleghi maschi.
La diversità di genere fa bene al business, ma i carichi di cura la frenano
I tre quarti dei dirigenti intervistati ritengono che un’azienda con una leadership equilibrata dal punto di vista del genere sia più performante. E allora perché questo non succede? Gli ostacoli principali rimangono quelli legati alla conciliazione tra lavoro e attività di cura (per il 46% delle lavoratrici) e la predominanza maschile nei ruoli chiave (per il 48% delle lavoratrici). In effetti ancora nel 2022, e in palese violazione delle norme su lavoro, ad oltre la metà delle lavoratrici tra i 30 e 50 anni (53%) durante un colloqui di lavoro è stato chiesto se avevano intenzione di avere figli o se avessero già carichi di cura. Una pratica che nel nostro Paese è molto diffusa anche tra le grandi imprese multinazionali (57% dei casi).
Ben venga quindi – e ampio gradimento nel sondaggio – la legge “Golfo Mosca” che renda vincolante per le aziende perseguire obiettivi di parità di genere e crea modelli di successo di leadership al femminile. “L’applicazione della legge Golfo-Mosca ha prodotto un incremento della quota delle donne negli organi di amministrazione delle società quotate, che è passata dal 7,4% del 2011 al 36,5% del 2019; la presenza negli organi di controllo è passata dal 6,5% al 38,8%. Tuttavia – spiega Stefania Radoccia, Managing Partner dell’area tax & law di EY in Italia – non possiamo dare per realizzata la parità di genere nei vertici aziendali: tra le donne che ricoprono ruoli negli organi di amministrazione sono AD solo l’1,7% nelle società quotate e lo 0,7% nelle banche; ricoprono la carica di presidente il 3,2% in entrambi i casi”
Ma il tema non è strategico e mancano policy aziendali
Manca però la traduzione in policy aziendali: nel 68% delle aziende non è presente una struttura che si occupi dell’inclusione delle donne; e solo il 21% ne prevede l’adozione nei prossimi anni. Anche perché c’è una percezione diversa rispetto all’urgenza di occuparsi di questo tema: donne e uomini sono trattati con equità secondo il 76% dei dirigenti uomini, contro il 50% delle dirigenti donne. Anche la capacità dell’azienda di promuovere la formazione professionale delle donne é un obiettivo strategico per il 38% delle manager, contro il 57% dei dirigenti uomini. Così quasi il 20% delle manager (16%) ritiene l’obiettivo della parità di genere irraggiungibile, mentre per il 35% delle intervistate ci vorranno più di 10 anni. Un obiettivo che per la metà dei colleghi maschi (49%) non é una priorità, mentre un terzo confida (31%) confida che sarà un assestamento “naturale” da non forzare.
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