Entro agosto 2022 gli stati dell’Unione europea dovranno offrire ai loro cittadini un minimo di 10 giorni di congedo di paternità. Se in previsione di questo passaggio, già da qualche tempo sono stati avviati i necessari aggiornamenti, ci sono Paesi membri che si devono adattare. In alcuni casi introducendo importanti modifiche legislative.
L’avvicinarsi di questa scadenza, ha un po’ rivitalizzato le discussioni e gli studi in materia. In molti sembrano confermare il cambiamento avvenuto, per esempio proprio attorno all’idea di paternità. La maniera di concepirla, già in evoluzione da almeno 10 anni, sembra aver ricevuto una spinta in avanti dovuta alle restrizioni a contrasto della diffusione del Covid e alla conseguente “scoperta” di nuove modalità di lavoro. Pare essersi poi consolidata in certo modo la convinzione secondo cui permettere ai papà di fare i papà è un beneficio sociale, ma risponde anche al cambiamento generazionale. I padri contemporanei godono di maggiore accettazione del loro ruolo di caregivers, probabilmente un po’ causa e un po’ effetto anche delle modifiche da introdurre in tema di diritto del lavoro.
Queste misure potrebbero aiutare a colmare parte delle differenze di genere senza compromettere la tenuta delle economie o le prestazioni dei dipendenti. Gli esempi delle nazioni che da più tempo offrono congedi generosi, Svezia in testa, lo mostrerebbero chiaramente. Periodi di paternità più lunghi non minano le carriere degli uomini che li prendono e impattano positivamente sullo sviluppo nei bambini di modelli di condivisione tra uomini e donne delle responsabilità familiari.
L’esempio della Spagna
Conosciamo da tempo le performance dei paesi nordici. Sono recenti invece le misure avanzate adottate in Spagna, interessanti da considerare per come offrono spunti di riflessione trasferibili alla situazione italiana. Da gennaio 2021 i papà spagnoli possono godere di 16 settimane di congedo da prendere anche in parti, in diversi momenti. Si tratta di un periodo totale più breve rispetto a quello delle eccellenze del nord (lì da anni esistono anche un numero di giorni che possono essere prese da un genitore o dall’altro) che offre però gli stessi benefit a entrambi. L’obiettivo di una politica sociale simile è anche quello di motivare i papà a sfruttare tutto il loro congedo per contrastare decenni di machismo.
Secondo gli studi internazionali, la svolta determinante in questo senso sta nell’offrire il 100% della retribuzione e considerare la paternità un diritto individuale, non per la famiglia. Recentemente la professoressa Irene Lapuerta Mendez dell’Università di Navarra notava che “nessun Paese al mondo configura le ferie come un diritto sulla base familiare e lascia alle coppie capire come sfruttarlo. Perché dovrebbe essere altrimenti quando si parla di assistenza all’infanzia?”
Fin qui alcune buone intenzioni e prospettive. Purtroppo la realtà resta un’altra. Se gli uomini hanno un più ampio ruolo nella cura dei propri figli, predominano tutt’oggi la tendenza a puntare sulla carriera e il timore di perdere opportunità interrompendo per un periodo il proprio lavoro. I numeri continuano poi a rimarcare, succede chiaramente per esempio in Francia, che all’aumentare di figli aumentano le donne che lasciano il lavoro. Di contro, nella stessa situazione, gli uomini tendono a ricevere promozioni perché vengono percepiti come i capofamiglia.
L’Italia rincorre
Partita in rincorsa (era la peggiore), l’Italia si sta avvicinando alle richieste europee. Passati da 3 a 10, nel 2022 i giorni di congedo potrebbero salire a 90 secondo le disposizione del Family Act. Questo aiuterebbe a colmare il gender gap esistente perché punterebbe a equiparare le posizioni di padri e madri sui piano dei costi sostenuti dai datori di lavoro. “L’Italia sta facendo passi da gigante nel processo di equiparazione dei diritti dei lavoratori”, ha commentato Bernardina Calafiori, socio fondatore dello studio legale Daverio&Florio, presentando l’indagine in tema di congedi di paternità in Europa e nel mondo. “Non dobbiamo sottovalutare il costo dell’intera operazione. … è pur vero che questo è il momento di fare scelte coraggiose in linea con gli standard europei, in quanto possiamo contare sul sostanzioso aiuto del Pnrr”. E di destabilizzazione dei parametri conosciuti e coraggio, se qualcosa il Covid ci ha insegnato, dovremmo avere ormai esperienza.
Non si può più aspettare che le cose cambino solo grazie alla buona volontà delle aziende e dei datori di lavoro, per esempio, che agiscono per iniziativa singola nel supportare il desiderio dei dipendenti di fare i padri. Dopotutto si tratta di agire profondamente sulla cultura e sulle aspettative di cui carichiamo un genere rispetto all’altro. Senza dimenticare quanto, in Italia in particolare, non parliamo solo di un tema di pari opportunità, pari retribuzione e trattamento sul posto di lavoro. Ma anche proprio di…posto di lavoro per le donne. Quando hanno un contratto, spesso si tratta di rapporti più deboli, meno tutelati, precari. Così che nel momento in cui si ponga la necessità di occuparsi della cura dei figli, le lavoratrici appaiono meno determinanti nel supporto all’economia familiare (a partire brutalmente dai soldi che guadagnano) e diventano, così, facilmente “sacrificabili”.
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